Abu Bakr Al Baghdadi
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Al Anbari, la grande offensiva di primavera dell'Isis

Il Califfato annuncia un’ondata di attacchi in tutto il Medioriente in nome del defunto numero due dell'organizzazione

Per Lookout news


L’hanno chiamata “Offensiva Al Anbari” in onore al numero due del Califfato, Abu Ali Al Anbari, potente comandante iracheno dello Stato Islamico, morto presumibilmente in seguito a un attacco di un drone USA nel marzo di quest’anno.

 Cominciata il 30 aprile 2016, si tratta di una delle più grandi campagne militari lanciate dello Stato Islamico negli ultimi tempi, soprattutto considerato il momento difficile che vive il Califfato sin da quando, nell’autunno del 2015, ha iniziato a subire una serie di pesanti sconfitte sul campo, tali da danneggiare non solo l’immagine ma anche l’economia complessiva del gruppo.

 L’Offensiva Al Anbari ha colpito duro soprattutto nel settore iracheno, in particolare a nord di Mosul, dove le milizie curde sono state prese di mira e i jihadisti hanno sfondato la linea di difesa di Tel Skuf, uccidendo un soldato americano e prendendo posizione nei villaggi di Baqufa e Masqalat.

In contemporanea, l’Offensiva ha colpito Baghdad con autobombe, ma anche l’Egitto, dove sono stati uccisi otto soldati dell’esercito intorno al Cairo, e la Libia, dove lo stesso Al Anbari era stato inviato per dar vita alla provincia libica del Califfato e dove - secondo alcune fonti - avrebbe trovato la morte. Qui i jihadisti hanno conquistato Abugrein, cittadina a metà strada tra loro roccaforte di Sirte e Misurata.

 Nonostante le schermaglie quotidiane, la situazione in Siria resta invece pressoché congelata, grazie soprattutto ai buoni uffici della Russia, che garantisce ad Aleppo e a Damasco una sostanziale tenuta del cessate-il-fuoco, anche se scontri isolati si ripetono a ogni ora del giorno e della notte così come gli attentati, che non si contano più.

Non è così nel settore di Hama-Homs, dove invece si combatte sotto piogge di bombe degli assadisti, che però mirano ai ribelli e non direttamente allo Stato Islamico, anche se si segnala un attacco missilistico contro un convoglio ISIS a Deir Ezzor. Mentre la Turchia afferma di aver bombardato postazioni ISIS intorno al confine siriano, dove scambi di colpi di mortaio cadono ogni settimana dall’una e dall’altra parte.

 Insomma, con la primavera il ritorno di fiamma dello Stato Islamico si è fatto sentire pesantemente proprio perché teso a “omaggiare” uno dei più importanti creatori del Califfato di Al Baghdadi, l’uomo che ne ha seguito i passi più di chiunque altro.

 

Il mistero sulla morte di Al Anbari
Come ogni nome di battaglia dei miliziani, Al Anbari è uno pseudonimo che ne identifica la provenienza. In questo caso, la provincia di Anbar, che lo qualifica dunque come un iracheno. Nonostante ciò, Al Anbari è un personaggio avvolto da mistero. Non solo è stato dato per morto in più occasioni, ma il suo nome di battaglia è stato attribuito a più persone.

 La sua uccisione per mezzo di un raid aereo era stata data per certa già a ottobre 2015, poi a dicembre e infine a marzo 2016. Oggi sarebbe implicitamente confermata dal Califfato stesso, visto che ha dedicato a lui quest’ultima serie di attacchi. Resta una deduzione, ovviamente, ma la propaganda del martire non sembra confermare la tesi.

 Alcune fonti giornalistiche confondevano Al Anbari con Abu Ala Al Afri, al secolo Abdul Rahman Mustafa al-Qardashi, iracheno di Tal Afar (provincia di Ninive), nominato successore temporaneo del Califfo nei giorni in cui il leader ISIS era stato dato per morto (notizia poi smentita). Al Afri era subentrato proprio ad Al Anbari quale plenipotenziario in Siria, poiché quest’ultimo si era recato in Libia per dar vita alla provincia libica del Califfato.

 Il 25 marzo 2016, infine, il Segretario della Difesa Ashton Carter aveva annunciato dagli USA la morte di un uomo chiamato Abdulrahman Mustafa al-Qaduli, che sarebbe avvenuta il giorno precedente. Il profilo corrispondere al numero due del Califfato, mentre il nome non trova una corrispondenza certa.

 Secondo fonti più accreditate, infatti, il vero nome di Abu Ali Al Anbari è Kazem Rachid al-Jbouri, sì originario della provincia di Anbar ma soprattutto influente membro della potente tribù Jbouri. Ex funzionario dei servizi iracheni ai tempi di Saddam Hussein e poi uno dei leader di Al Qaeda in Iraq, Al Anbari è stato prima nominato a capo della sicurezza personale del Califfo Al Baghdadi, quindi posto al comando dei servizi segreti dello Stato Islamico, in ragione della sua grande esperienza militare, fino a divenire plenipotenziario in Siria.

 Veterano delle battaglia di Falluja e Ramadi contro gli americani, il suo ruolo nella guerra del Medio Oriente è cresciuto velocemente. L’ascesa di Al Anbari da semplice ufficiale baathista agli alti ranghi della gerarchia ISIS lo ha catapultato velocemente in posizioni di prestigio, fino ad arrivare a sedere al fianco di figure come Izzat Ibrahim al-Douri, ex braccio destro di Saddam (era il “Re di fiori” nelle carte dei militari americani) e leader del partito Baath, e Abu Ahmed Al-Alwani, promosso a capo del consiglio militare di ISIS e vicinissimo al Califfo.

Conclusioni
Sia come sia, l’Offensiva Al Anbari dimostra che le forze residue dello Stato Islamico ci sono e che il gruppo riesce ancora a tenere testa agli eserciti mediorientali, grazie alla propensione al suicidio dei propri uomini e alla grande disponibilità di armi e mezzi. Certo, una vera campagna militare contro lo Stato Islamico condotta sul terreno da truppe occidentali comporterebbe la sparizione dell’organizzazione in meno di un mese, ma in attesa di ciò il Califfato può sopravvivere tranquillamente.

 Di certo, non basterà recidere la testa del serpente per annientare lo Stato Islamico. Che si uccida il numero due Al Anbari o che muoia lo stesso Al Baghdadi, infatti, il fenomeno jihadista proseguirà con sempre maggiore enfasi. Poiché, sfortunatamente, le idee incendiarie propagandate dallo Stato Islamico sopravvivranno agli uomini che le hanno portate avanti. Così come dopo Al Qaeda è nato l’ISIS, dopo il Califfato di Al Baghdadi ne potrebbe nascere un altro, perché il movimento jihadista è ben più ampio e diffuso di quanto sia stato dipinto sinora e non si arresterà neanche di fronte alla sconfitta sul campo.

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Luciano Tirinnanzi