'A misura d’uomo' di Roberto Camurri. L’intervista
L’esordiente del momento racconta storie e personaggi nella polvere della provincia emiliana
Roberto Camurri ha un forte accento emiliano, di quelli che ti fanno stare bene e sanno di autentico. Come autentico è il suo primo romanzo e più di questo il paese da cui proviene, Fabbrico. Non un luogo di fantasia, ma il suo piccolo centro nella provincia emiliana.
Ora vive a Parma ma non perde occasione di tornare “a casa” per sentirsene di nuovo parte. La lontananza ha fatto sì che la sua storia fosse lì ambientata e che i suoi personaggi, ben caratterizzati, rispecchiassero il carattere di quella terra.
Nonostante la sua intenzione iniziale fosse quella di appioppare un titolo molto altisonante (che mai rivelerà) al libro, il risultato finale è quello di pagine “A misura d’uomo” (NN editore), perché le storie in esso contenute parlano ad ognuno di noi.
Una storia raccontata attraverso una sfaccettatura di punti di vista che poi ricomposti vanno a dare la prospettiva su Fabbrico e sulle storie interconnesse di Davide, Anela, Valerio e tutti i personaggi che qui si incrociano.
Incontro Roberto che mi accoglie sprofondato in una poltrona di pelle, circondato da libri e con la voglia di raccontarsi. È l’esordiente del momento, ama Stephen King tanto da farsi ispirare dal racconto Premium Harmony (incluso nella raccolta Il bazar dei brutti sogni e che ha dedicato a Carver) e proprio da Carver è stato guidato nel modo di scrivere, come quando punta il riflettore su un personaggio per poi spegnerlo senza farcene sapere più nulla.
D: Ogni capitolo è contraddistinto da un elemento naturale (sassi, polvere, erba fino ad arrivare all’albero e al mare), come mai questa scelta?
R: Sono tutti racconti che all’inizio avevo scritto pensandoli distinti. In casa editrice mi sono sentito poi dire che avevo scritto un romanzo vero e proprio, cosa di cui mi sono reso conto anche io nella fase di rilettura. Lavorandoci sopra è venuto fuori in maniera preponderante il tema di Fabbrico sullo sfondo e da lì abbiamo poi pensato che i racconti dovessero avere titoli che li legassero alla terra e che riverberassero anche nelle emozioni che volevo sottolineare nel singolo racconto. Ecco perché Pelle nel racconto di Maddalena e Paolo, Sassi all’inizio, Asfalto per l’oppressione dell’afa e del caldo e così gli altri.
D: Sembra che ci sia anche un percorso nei titoli: dall’elemento più terroso attraverso la neve il ghiaccio il disgelo a quelli più vitali come l’albero e il mare. Era questo che volevi raffigurare?
R: Da Sassi per arrivare a Neve è quasi una discesa nel dramma che poi si lascia andare negli ultimi capitoli, in cui la tristezza che pervade tutto il romanzo si apre anche alla speranza personale quando si tira il fiato grazie ai due elementi vivi della fine come l’albero e il mare.
D: La tua scrittura rivela una sensibilità molto femminile che colpisce: hai questa capacità di immedesimarti o sono pensieri che derivano dalla vicinanza di figure femminili della tua vita?
R: Mi piace essere riuscito a raccontare in un certo senso la complessità di un essere umano. Non mi sono confrontato con nessuno. Dico sempre che non è un romanzo autobiografico, ma devo confessare che per ogni tipo di racconto parto da una suggestione reale: ad esempio, ad un certo punto la Bice si alza apre la finestra e guarda la nevicata e in quel momento è mia nonna, smettendo subito dopo di esserlo. Forse quindi mi sono sintonizzato su quello, sui personaggi femminili della mia vita che si relazionano con le loro azioni dando però poi la mia interpretazione per quel determinato gesto.
D: Sembra che il tuo occhio alle volte zoomi su una scena grazie alle storie private raccontate fino a quando te ne allontani per far poi entrare l’Italia con i problemi legati all’attualità e questo non te lo aspetti. Come mai questa decisione stilistica?
R: Anche questa è legata al mio essere di Fabbrico. Noi a Fabbrico non abbiamo una giornata dedicata al santo patrono, perché cade il 15 agosto, quindi un giorno che è già di festa. Ma festeggiamo la Battaglia di Liberazione, quindi non è un discorso di attualità quanto piuttosto una memoria storica. Il 27 febbraio c’è il corteo e se sei di Fabbrico lo vuoi vivere: io per esempio prendo la giornata di ferie e partecipo al corteo con mia figlia perché voglio che lei sappia di Fabbrico questa precisa cosa. Il mio è un romanzo giocato sulla contrapposizione e la contraddizione interna a noi.
D: In ogni capitolo c’è sempre l’assenza di qualcosa e di qualcuno enfatizzata dalla dimensione della provincia: quanto ha tolto e quanto ha dato ai personaggi la provincia?
R: Io dico sempre che mi sono accorto di amare Fabbrico quando sono andato a Parma. Quando sono a Parma ho dentro un vuoto che si riempie solo quando torno a Fabbrico da cui però dopo qualche giorno devo scappare. Quando mi domandano di Fabbrico rispondo con questo esempio: è come quando mia moglie mi chiede “perché mi ami?”. Io non so cosa risponderle perché qualunque cosa le risponda non sarà mai giusta, non lo so dire a parte un “ti amo perché ti amo”. E amo Fabbrico perché non lo so spiegare. È come l’odio e l’amore, come quando litighi sempre nel tuo matrimonio, ma nel momento più difficile, come quando si avvicina una scomparsa o il distacco, ricordi tutti gli anni trascorsi insieme come i più belli di tutta una vita. Tutto questo è finito nel libro.
D: A Fabbrico cosa hanno detto del tuo libro?
R: Subito mi hanno detto “ah, hai scritto un libro, e dove posso trovarlo?”. E allora pensavo alla cosa più ovvia, cioè che esistono le librerie. Solo dopo ho capito cosa intendessero: era per tutti inconcepibile che uno di Fabbrico potesse scrivere un libro che finisse in una libreria. Poteva invece trattarsi di un concetto legato al crowdfunding con cui pubblicavo le mie copie. L’ambizione potevano accettarla, il fatto che uno diventi scrittore invece no. Iniziato a leggerlo poi tutti mi hanno detto che indubbiamente lì dentro c’è Fabbrico.
D: Quando si scrive un romanzo simile la cosa difficile è caratterizzare perfettamente i personaggi e tu sei riuscito a renderli reali, come hai fatto?
R: Smettendo di pensare che dovevo caratterizzarli. Evitando di farmi trascinare dalle cose che dicevano, che facevano e provavano. Quando ho smesso di dirmi “devo fare così per avere questo risultato” mi sono usciti tremendamente reali.
D: Quale dei tuoi personaggi ami di più?
R: Sono molto umorale. Ci sono momenti in cui sono Valerio, altri in cui sono Davide e altri ancor in cui sono Maddalena. E dei momenti in cui vorrei andare al bar della Bice, dei momenti in cui vorrei essere Giuseppe. Un po’ di me è in ogni personaggio e contemporaneamente ci sono cose che fanno che io non farei mai mentre altre azioni potrebbero essere mie. Anche questo non è voluto.
Grazie Roberto.
A misura d’uomo
di Roberto Camurri
NN editore, 2018