Marinella Soldi, la nuova presidente della Rai che non piace a tutti
ANSA/ RICCARDO ANTIMIANI
Televisione

Marinella Soldi, la nuova presidente della Rai che non piace a tutti

La manager voluta da Draghi non va giù ai grillini per la sua amicizia con Renzi (che la voleva amministratore delegato nel 2015). Intanto la vera partita si sposta sulle nomine dei direttori di rete e dei telegiornali. E non mancano le sorprese

A Viale Mazzini la corsa al riposizionamento è già cominciata da diverse settimane e stamattina, dopo il via libera della commissione parlamentare di Vigilanza a Marinella Soldi nel ruolo di presidente della Rai, dal settimo piano in giù era tutto un birignao di «la mia cara amica Marinella» e «la Soldi la conosco da anni, è un'amica». Fuori Marcello Foa, dentro la Soldi, 54 anni, manager dalla lunghissima esperienza nel settore media e telecomunicazioni, in particolare nel gruppo Discovery, scelta direttamente dal premier Mario Draghi scavalcando i partiti e bruciando uno per uno i nomi circolati nell'ultimo mese e mezzo. La Soldi da bambina voleva fare l'astronoma e invece si ritroverà a gestire da presidente gli ingarbugliati equilibri della tv di Stato, lavorando a stretto contatto con il neo ad Carlo Fuortes, dal Teatro dell'Opera di Roma con furore.

In realtà, nonostante gli avvicinamenti in atto, sono pochissimi quelli che in Rai possono giurare di conoscere bene la Soldi e quei pochi che davvero la conoscono si guardano dal rivelarlo, per non urtare la sua proverbiale riservatezza. «Per ora è tanto stimata quanto temuta. Con lei sarà difficile bluffare perché è una che il prodotto lo conosce bene e ha grandi rapporti con il sistema delle media company internazionali», spiega un importante dirigente Rai a Panorama. Del resto, Soldi è approdata nel mondo delle tv nel 1995 e per cinque anni ha fatto parte di Mtv Networks Europe, prima come Business Development Manager a Londra, poi come Direttore Generale di Mtv Italy a Milano e ancora Senior Vice President, Strategic Development, a Londra. Poi per dieci anni è stata amministratore delegato del Sud Europa in Discovery, contribuendo a trasformare il gruppo in una delle media company più rilevanti in Italia, dove ha moltiplicato il fatturato e gli ascolti. Eppure, nonostante un curriculum così prestigioso, la sua nomina ha traballato seriamente, complici i mal di pancia pentastellati e una certa insofferenza nel centro destra, che non ha gradito la nomina di Fuortes ad amministrato delegato e avrebbe preferito Simona Agnes alla presidenza.

«Con il potere non mi sento molto a mio agio, ma amo dare quel che so e quel che ho per far crescere la qualità», disse la Soldi in una delle sue rare interviste. Ma davvero è così «estranea ai partiti» com'è stata descritta in questi giorni da alcuni giornali? «Al massimo è distante dall'attuale Pd lettiano. E per quanto non sia riconducibile a nessuna quota, c'è stata in passato una certa vicinanza con Renzi e ci sono personaggi come Montezemolo che la stimano molto», racconta un importante dirigente Rai a Panorama. E proprio questa presunta vicinanza con Renzi ha reso vischioso il terreno su cui si è giocata la partita della sua nomina alla presidenza. Nel 2015 Renzi propose infatti alla Soldi di diventare amministratore delegato della Rai ma lei, come rivelò a Prima Comunicazione, rifiutò la proposta e rimase a Discovery. Poi il suo nome e quello di Renzi sono tornati ad intrecciarci pericolosamente appena una settimana fa, quando è deflagrata la notizia che l'ex premier era indagato per presunto finanziamento illecito e false fatturazioni insieme al manager tv Lucio Presta: al centro dell'indagine c'erano i bonifici del documentario Firenze secondo meFirenze secondo me, prodotto dalla Arcobaleno Tre di Presta e andato in onda nel 2019 sul canale Nove di Discovery. Secondo il quotidiano Domani, il progetto sarebbe costato 1 milione e mezzo di euro (tra spese di produzione e compenso di Renzi) e Discovery lo avrebbe comprato per poche migliaia di euro. Per inciso, gli ascolti furono un flop clamoroso. Diversi giornali hanno tirato in ballo la Soldi ma quest'ultima ha seccamente smentito ogni suo coinvolgimento: «Ribadisco che la decisione, la negoziazione dei diritti ed ogni atto propedeutico alla realizzazione del documentario sono estranei alla mia persona, in quanto verificatesi successivamente alla mia uscita dal Gruppo Discovery, effettiva dal 1 ottobre 2018». «Ribadiamo che del documentario di Matteo Renzi, in Discovery, si è cominciato a discutere prima dell'ottobre 2018», hanno replicato quelli di Repubblica.

Anche per questa vicinanza a Renzi, i grillini hanno provato ad «impallinarla» («in realtà speravano di fare presidente l'ex consigliera Beatrice Coletti ma era una speranza che coltivavano solo loro», ironizza il dirigente Rai), tanto che in commissione di Vigilanza stamattina almeno quattro voti non favorevoli alla nomina di Soldi sono venuti dalle file della maggioranza. Saranno stati i 5 Stelle? Resta un fatto che il parere positivo ha avuto appena due voti in più di quelli necessari, complici tre assenti, un leghista in isolamento causa Covid e due esponenti di Fratelli d'Italia, ancora irritati per il fatto che l'opposizione è fuori dal Cda Rai, «cosa mai avvenuta in epoca repubblicana», commentano. Il partito della Meloni dava per scontata infatti la riconferma di Giampaolo Rossi in cda, Forza Italia e Lega hanno invece puntando su Simona Agnes, provocando di fatto uno strappo nel centro destra evitando però lo scontro con Draghi. «Anche in questo caso la Lega ha dimostrato che il senso di responsabilità viene prima dell'attaccamento alle poltrone», ha commentato il capogruppo leghista in commissione di Vigilanza Rai Massimiliano Capitanio. «Ai nuovi vertici Rai chiediamo attenzione alla qualità dei prodotti, valorizzazione delle risorse interne, una proiezione internazionale anche grazie al nuovo polo di Milano, senza mai rinunciare al racconto del nostro meraviglioso territorio. Ora aspettiamo i vertici in Vigilanza per un sereno e costruttivo confronto».

Tra piano industriale, riposizionamento strategico e contratto di servizio, per i nuovi vertici l'agenda iniziale sarà piuttosto impegnativa, ma tutti sanno che prima c'è una partita più importante da giocare, quella delle nomine. L'obiettivo primario per molti partiti è quello di riuscire a sostituire al Tg1 a Giuseppe Carboni, da tutti etichettato come 5S, e il grande sogno della Lega è quello di piazzare Gennaro Sangiuliano, attuale direttore del Tg2. «Ma pur di togliere il primo tg ai grillini potrebbero accordarsi su Antonio Di Bella, uno dei pochi nomi capaci di mettere tutti d'accordo», sussurra a Panorama il dirigente Rai. La Lega poi punta su Marcello Ciannamea, l'attuale direttore dei Palinsesti stimato da molti, come futuro direttore generale della Rai al posto di Alberto Matassino. Ma Ciannamea è in pole anche per la direzione di Rai1, dove però potrebbe restare Stefano Coletta (forte dei buoni risultati ottenuti in questi due anni) o arrivare Mario Orfeo (che ha rapporti trasversali). Quanto a Rai2, dovrebbe restare Ludovico Di Meo (secondo quanto risulta a Panorama potrebbero però affidargli la direzione generale di San Marino RTV) ma sono in ascesa i nomi di Paolo Corsini e Angelo Mellone (entrambi stimati dalla Meloni, che punta ad ottenere per uno dei suoi la presidenza della commissione di Vigilanza Rai). Rispetto a Rai3, pare conclusa l'esperienza di Franco Di Mare alla direzione della rete (tornerebbe così alla conduzione) mentre per il Tg3 si fa il nome di Simona Sala, attuale capo del Gr Rai, al posto di Orfeo. Forti degli ottimi ascolti, il direttore e condirettore della Tgr Alessandro Casarin e Roberto Pacchetti resteranno al loro posto. Alla direzione generale dovrebbe invece arrivare Paolo Del Brocco, che lascerebbe Rai Cinema nelle mani dell'ottima Silvia Calandrelli, che per altro ha rapporti consolidati con Fourtes guidando da lungo tempo Rai Cultura. A proposito del nuovo dg Rai, il manager è stato subito etichettato in quota Franceschini-Bettini-Veltroni ma in realtà è stimato da tanti in ambito culturale ed è ben visto da Gianni Letta, ha lavorato bene anche con Gianni Alemanno e Virginia Raggi, e pure Carlo Calenda lo apprezza (molto meno i sindacati). Più trasversale di così, non si può .

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Francesco Canino