Chi l’ha detto che il soul e il funk siano generi solo per artisti angloamericani? La musica raffinata e coinvolgente del collettivo italiano Stereonoon, che ha pubblicato da poco il suo primo album in studio, Places We Can Go Hide, è la conferma che il groove scorre anche nelle vene dei nostri artisti. Rispetto all’EP del 2021, che si avvale anche della prestigiosa chitarra di Mark Lettieri (Snarky Puppy), l’album ha sonorità più moderne, in cui la componente nu jazz si mescola con naturalezza a elementi pop e neo soul. Il disco è stato registrato tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 tra Modena, Verona e Milano. La produzione, il mix e la masterizzazione sono stati curati da Max Tozzi, che nel disco suona il basso, le tastiere e le chitarre, mentre Anna Polinari ha cantato tutte le linee vocali principali e le armonizzazioni dei cori.
«Il progetto è nato durante la pandemia e aveva un respiro internazionale proprio perché eravamo confinati in casa», ci ha raccontato Max Tozzi. «In quel periodo, paradossalmente, eravamo molto più vicini a persone lontane, fuori dai nostri confini. Una delle cose che ci hanno detto subito è: “perchè non cantate in italiano, visto che è un periodo florido per la musica italiana?”. Purtroppo l’italiano non aiuta per certi tipi di musica, come il soul e il rock, che sono nate in inglese e costruite su quelle metriche». L’ospite internazionale di Places We Can Go Hide è Xantoné Blacq, straordinario musicista londinese, per anni a fianco di Amy Winehouse, che ha impreziosito due tracce, 18th Of July e Talk Is Cheap, con i tasti del suo pianoforte e del suo piano elettrico: «Ho suonato diverse volte con Xantoné Blacq, che ho conosciuto grazie a un insegnante di di Vicenza, con il mio precedente progetto Cinemavolta, oltre ad averlo accompagnato in alcune masterclass in scuole di musica. La scorsa estate Xantoné era in Italia e così abbiamo registrato insieme 18th Of July e Talk Is Cheap: è un onore avere un musicista del suo calibro nel nostro progetto». Nel brano It don’t mean c’è un omaggio a J Dilla, uno dei produttore più geniali nella storia dell’hip hop, con un approccio ritmico particolarissimo, mentre Everyone says strizza l’occhio alle atmosfere disco: «Ci piaceva l’idea di un brano ballabile e dal sapore disco, che facesse muovere il piedino, ma anche tutto il resto. Il ritorno della disco è una tendenza che va avanti da diversi anni, tanto che la cassa in quattro è stata quasi una costante dell’ultimo Sanremo, anche se ho notato che in Italia, anche quando un brano è ballabile, è sempre paludato da una sorta di operazione culturale».
Nonostante la recente affermazione di artisti di valore come Ghemon, Davide Shorty, Serena Brancale e Ainé, da noi la musica funk/soul è sempre rimasta un fenomeno di nicchia: «In Italia abbiamo problemi con le armonie un po’ più complesse, di derivazione jazz. Appena ci sono accordi un po’ strani, l’italiano, che è molto affezionato al giro di do, fa la faccia del tipo “che è sta roba?”». Places We Can Go Hide è nato durante il periodo della pandemia, per questo le canzoni hanno avuto quasi un ruolo terapeutico per Max Tozzi e Anna Polinari: «Nell’album abbiamo lavorato in maniera diversa rispetto al precedente Ep: io ho scritto tutta la parte armonica e melodica e Anna ha costruito dei testi sopra alle musiche in cui si sentiva rappresentata. Per quanto riguarda il titolo, il posto in cui ci andiamo a nascondere è la musica. In quel periodo molto difficile, in cui chiunque ha dovuto ricostruirsi e fare i conti con se stesso, la musica è stato il nostro modo per riappropriarci di tutto quanto, il luogo in cui ci siamo nascosti e, al tempo stesso, mostrati agli altri».
RispondiRispondi a tuttiInoltra |