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Chi vuol bene alla scuola italiana?

Chi vuol bene alla scuola italiana?

Ancora una volta la scuola è travolta da polemiche, toni eccessivi da parte di tutti, fantasmi del passato e sguardo rivolto all’indietro. Sono dinamiche che infiammano il clima ma che non mettono al centro la scuola italiana che ha cento anni, li dimostra tutti e avrebbe tanto bisogno di un ripensamento generale. Invece si grida soltanto

Non c’è pace per la scuola, ma non c’è nemmeno futuro se l’interesse è sempre e solo polemico. Nei primi due mesi del nuovo anno abbiamo letto, nell’ordine, prima una lettera di una mamma finlandese e annesse infinite polemiche sterili, poi una dichiarazione infelice del ministro Sangiuliano che rivendicava Dante come primo esponente del pensiero di destra italiano e annesse infinite polemiche sterili. Ora la circolare della preside del liceo fiorentino Annalisa Savino che solidarizza con chi ha subìto violenza, spiega cosa sia il fascismo e genera l’immediata risposta piccata del ministro Valditara, con annesse infinite polemiche sterili.

Non ce n’è, la scuola italiana finisce al centro dell’attenzionemediatica e politica solo quando c’è da alzare la voce per rivendicare antiche posizioni, dialettiche di scontro, agitazioni identiche a se stesse da cinquant’anni, riduzionismi e slogan, toni eccessivi da parte di tutti coloro che ne parlano, facendone parte o osservandola.

Certo, se scoppia la polemica, se ne parla e la tentazione di intervenire a gamba tesa c’è, da parte di tutti, sempre, ed esporsi non è un male, anzi talvolta è necessario e aiuta a fare chiarezza. Non tutti gli interventi peraltro sono volti alla polemica, alla distruzione, ma proprio per evitare la cronaca che oggi fa fare clic e domani non esiste più, una riflessione più ad ampio raggio evidenzia che la somma di tutti questi argomenti è il nulla. La scuola ne esce ridotta a mero campo di posizionamento politico e manca totalmente di quell’approccio serio, critico e problematicodi cui necessita un sistema che compie cento anni proprio nel 2023 e che ha bisogno di menti dedicate, tanti soldi e mesi di discussione pubblica.

Questo è il dramma della discussione intorno alla scuola: si twitta, si scrive, si urla, ma non c’è nessuno che organizzi degli stati generali per ripensare la scuola, nessuno nemmeno che li invochi.D’altronde, non se ne è quasi parlato in campagna elettorale, quando è sempre facile promettere, figurarsi ora.

La circolare della preside Savino è netta, prende posizione nei confronti di un fatto violento, alza i toni sul fascismo e sulla sua genesi e inevitabilmente alza un polverone che supera la discussione nel merito della questione. Però quanto sarebbe opportuno che la scuola fosse in prima pagina perché, a un quarto di secolo ventunesimo quasi concluso, porta in aula un sistema pensato nel e per il secolo precedente. E non solo, viene ogni annoriproposto nello scontento generale e, ciononostante, non si fa nulla per ripensarlo. Nulla, perché una partita di nuove lavagne, un’oretta di educazione civica a costo e competenze zero, verifiche con Kahoot e qualche nuovo indirizzo nell’offerta dei licei è il nulla.

Il problema è tutto qui: presidi, ministri, docenti universitari, insegnanti, studenti, genitori, tutti dovrebbero essere coinvolti in questo processo e richiederlo a gran voce e ricordare sempre, al termine di ogni intervento sulla polemica di giornata sempre nuova, che servono stati generali sulla scuola per dare agli studenti gli strumenti che meritano e che la costituzione garantisce loro.

Una scuola con docenti preparati e appagati della loro professione, non una scuola-museo con stipendi inadeguati e livelli di preparazione affidati al caso. Una scuola con ambienti sicuri e confortevoli capaci di superare il concetto di classe chiusa e organizzata in sezioni, non una scuola-museo con assetti organizzativi immobili pensati prima dello sviluppo neuroscientifico. Una scuola con curricoli che valorizzino passione, amore per l’uomo e le sue scoperte, insegnamenti che consentano di fare pace con il pianeta e con l’altro, non una scuola-museo fondata su un’idea di erudizione manieristica.

Una scuola fatta di parole e non di sigle, una scuola fatta dialogo e non di circolari.

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