Un nuovo trattamento (con il Centro cardiologico Monzino in prima linea nella sperimentazione) promette di dimezzare il livelli di colesterolo cattivo nel sangue. E basterà fare due punture all’anno.
Nell’estenuante guerra di posizione che la scienza conduce contro il primo killer dell’uomo, l’infarto, è forse giunto il momento della cavalleria. La svolta decisiva, quella che potrebbe cambiare il destino di milioni di malati, si basa sul meccanismo dell’mRNA – divenuto celebre per essere alla base della tecnologia dei vaccini anti-Covid – e si chiama Inclisiran: altrimenti detto «vaccino anti-infarto» secondo la definizione che ne ha dato il padre della cardiologia moderna, il 92enne Eugene Braunwald.
Prodotto da Novartis, promette di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari gravi dimezzando i livelli di colesterolo «cattivo», quello Ldl (o a bassa densità): viene somministrato due volte l’anno tramite iniezione sottocute, ed è al centro di uno studio internazionale che coinvolgerà oltre 10 mila pazienti in tutto il mondo. Il trial vede in prima linea anche l’Italia, con il Centro Cardiologico Monzino di Milano, istituto di eccellenza per il cuore.
«La novità più travolgente di questo farmaco, e non uso questo termine a caso, è il fatto di poter essere somministrato con un’iniezione ogni sei mesi» afferma Piergiuseppe Agostoni, direttore del Dipartimento di Cardiologia critica e riabilitativa del Monzino, ordinario di malattie cardiovascolari all’Università degli Studi di Milano e «principal investigator» dello studio su Inclisiran. «Questo approccio cambia il mondo della malattia cardiovascolare: la prima causa di insuccesso della terapia con le statine, che al momento restano il principale baluardo farmacologico contro l’infarto, è infatti la scarsa aderenza alla cura da parte dei pazienti. Chi deve prenderle ogni sera spesso le dimentica, sbaglia ad assumerle, le sospende o le assume due volte nello stesso giorno, e questa poca “compliance” ha effetti molto nocivi: dopo un infarto si calcola che fino al 40% delle prescrizioni vengano disattese, con conseguenze che si possono immaginare. Con il “vaccino” il problema è superato».
Il nuovo farmaco, che in precedenti studi ha dimostrato di abbassare del 50% i livelli di colesterolo Ldl anche in pazienti in cui la massima dose tollerata di statine non riesce a raggiungere il target, sta suscitando grande interesse da parte non solo dei medici, ma anche dei malati. «Sono tantissimi i pazienti che ci contattano per poter essere inseriti nel trial» continua Agostoni.
«Al momento noi ne abbiamo reclutato solo alcuni, persone che in passato hanno già avuto un evento cardio-cerebro-vascolare, ma non sappiamo se hanno ricevuto il farmaco attivo o il placebo, trattandosi di uno studio randomizzato in “doppio cieco”. Non ci stupiremmo se, come può avvenire per questi studi avanzati, venisse interrotto in anticipo – prima di aver arruolato tutti i malati – per la cosiddetta “evidenza di grandi benefici”. Tradotto nella pratica, per dare a tutti la possibilità di avere miglioramenti».
Il vaccino anti-infarto funziona con un meccanismo di «silenziamento genico» che va a colpire l’mRna: «Silenziando una sequenza di Rna messaggero a livello dell’epatocita (la cellula del fegato, ndr), attraverso una serie di meccanismi a cascata, porta a una riduzione importante dei valori di colesterolo» spiega Massimo Mapelli, membro dello staff dello studio al Monzino. «Da qui il parallelismo con i vaccini anti-Covid che, seppure con meccanismo diverso, sfruttano l’mRna, una sorta di dizionario in grado di tradurre quanto è scritto nel nostro materiale genetico».
Venendo iniettato sottocute, il principio attivo si dirige direttamente verso uno specifico bersaglio-target: anche per questo ha bassa tossicità e provoca meno effetti collaterali delle statine. Queste ultime, che riducono i livelli di colesterolo in eccesso, sono prescritte a milioni di italiani: secondo dati Aifa, vengono assunte da una persona su dieci, e la spesa annua per la sola atorvastatina (una delle sei molecole in uso) ammonta a 257 milioni di euro. Possiamo pensare che verranno superate dal nuovo farmaco, e quindi mandate in pensione, o solo affiancate da Inclisiran? Difficile da prevedere. «Intanto bisogna dire che le statine, oltre ad agire sul colesterolo, hanno importanti effetti nella stabilizzazione delle placche aterosclerotiche» precisa Marianna Volpe, responsabile dell’Unità di Riabilitazione Cardiologica dell’Irccs Policlinico San Donato di Milano.
«Quindi giocano una partita cruciale nella prevenzione cerebro vascolare, oltre a ridurre i fattori che intervengono nella cosiddetta “cascata infiammatoria”. Proteggono i vasi sanguigni, indipendentemente dai valori di colesterolo, e nei pazienti ad alto rischio è necessario utilizzarle anche per questo. Ritengo che Inclisiran non riuscirà a breve a sostituire le statine, ma sicuramente potrà essere un validissimo aiuto per pazienti selezionati».
O anche, nel prossimo futuro, per chi non tollera le statine, che portano in dote non solo benefici ma effetti collaterali non trascurabili, oltre a essere una terapia complicata da adattare al paziente: «La strategia a base di statine» prosegue Volpe «viene tagliata su misura su ogni persona, è una cura “sartoriale”: non ne esiste una standard uguale per tutti. Questo fa sì che trovare la dose adatta del giusto tipo di statine sia un lavoro lungo e complesso, e che deve avere la totale collaborazione del paziente. Ci sono poi gravi effetti collaterali provocati dalle statine ad alte dosi, dalle alterazioni epatiche alla miopatia fino alla rabdiomiolisi, patologia che può portare insufficienza renale. In questo momento, per ovviare al problema usiamo altri farmaci come l’ezetimibe o i nuovissimi inibitori del pcsk9, cioè gli anticorpi monoclonali. Un domani potremmo usare Inclisiran».
Facile quantificare i vantaggi, anche in campo economico, se la sperimentazione dovesse avere successo; secondo l’allarme della Sipre, Società italiana per la prevenzione cardiovascolare, negli ultimi due anni si è riscontrato un aumento del 20-25% di tutte le patologie cardiovascolari, soprattutto nei pazienti colpiti da Covid-19. Numeri che avranno grande impatto nei prossimi mesi e anni sul Servizio sanitario nazionale: «Quella con Inclisiran è una cura al momento costosa» conclude Agostoni «ma se lo studio dovesse andare a buon fine, il prezzo verrà negoziato tra l’azienda e i vari enti regolatori. Il costo andrà messo a confronto con sei mesi di una qualsiasi altra terapia, oltre a considerare il risparmio in termini di cura di infarti e ictus. Potrebbero esserci notevoli benefici, in tutti i campi. Noi ce lo auguriamo».
