Il Covid-19 ha aggravato la situazione di due milioni di italiani affetti da sindromi «rare». Già trascurati dal Servizio pubblico, sono finiti in un limbo, senza un Piano nazionale per le proprie patologie.
In tempi di Covid, tutte le attività ambulatoriali e di screening ritenute «non urgenti», sono state sospese. Mesi in cui chi non fosse malato di coronavirus o di altre emergenze è rimasto senza assistenza medica. Alcuni di questi malati «invisibili» sono pazienti affetti dalle cosiddette malattie rare. Che rischiano, se la seconda ondata dovesse nuovamente travolgere la sanità, di tornare in fondo alla lista degli «ultimi». Dimenticati da un governo che, per loro, non ha mai fatto granché.
«La pandemia, concentrando l’attenzione sui grandi numeri, ha messo in ombra le già forti problematiche di chi vive le condizioni di una patologia “dai piccoli numeri”» sottolineano dall’Omar, l’Osservatorio sulle malattie rare. Che poi tanto piccoli non sono. Una malattia, infatti, si definisce «rara» quando la sua prevalenza, intesa come il numero di casi su una data popolazione, non supera una soglia stabilita: nella Ue è fissata allo 0,05%, cinque casi su 10.000 persone. Le patologie rare diagnosticate oscillano tra le 7 e le 8.000, numero che cresce con l’avanzare della ricerca genetica, e di queste solo 300 hanno una cura.
Stiamo parlando non di pochi malati: due milioni di persone in Italia e decine di milioni in tutta Europa, secondo i dati della rete Orphanet. Ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati dalle oltre 200 strutture sanitarie diffuse in tutta la Penisola. L’80% dei malati è in età pediatrica (meno di 14 anni). I bambini soffrono, più di frequente, di malformazioni congenite (45%), di malattie delle ghiandole endocrine, del metabolismo e di disturbi immunitari (20%). Tra le malattie rare quelle ematiche sono numerosissime.
Una risorsa fondamentale per la cura di gran parte di queste patologie sembra essere il plasma e i suoi derivati. Una delle conseguenze della pandemia da Covid-19 è stata proprio una carenza consistente di donazioni e i dati recenti, riportati sul sito del Centro nazionale sangue, registrano un calo del 20% nelle donazioni nei primi tre mesi del 2020: un deficit che sarà ancora più evidente tra nove mesi/un anno, considerati i tempi della lavorazione.
«A causa del coronavirus molti si lamentavano di non poter uscire. Io ancora oggi non posso andare all’ospedale perché sono più debole ed esposta al contagio. Perciò ho rinviato tutte le visite di controllo che dovevo effettuare» racconta Patrizia, 48 anni, colpita dalla sindrome di Leiden, che provoca un’eccessiva coagulazione del sangue.
Persino più drammatica la situazione di Serena Bartezzati, malata di cistite interstiziale (diagnosticata dopo dieci anni dai primi sintomi), che vive con il marito, affetto anch’egli da una rara patologia dell’esofago. «Lui ha dovuto aspettare sei mesi la visita di controllo post-operatoria, mentre io per colpa del Covid sono rimasta senza terapia per venti giorni. È stata durissima».
Per dare una qualche risposta a queste criticità alcune società farmaceutiche si sono attivate, cercando di arrivare direttamente ai pazienti. È il caso di CSL Behring, azienda biotecnologica leader nella ricerca e produzione di farmaci per malattie rare: ecco che per chi soffre di emofilia ha attivato un servizio di consegna a domicilio dei farmaci.
Ma è una goccia nel mare della disorganizzazione assistenziale sul territorio, amplificata da una carenza normativa che si trascina da almeno tre anni e, per molti di questi malati, significa un drammatico abbandono da parte delle istituzioni: alla fine, gli unici su cui possono fare affidamento sono i familiari e le associazioni di volontariato.
È durissima con il governo il presidente dell’Osservatorio malattie rare Ilaria Ciancaleoni Bartoli: «Ho letto con piacere l’annuncio del ministro della Salute del 7 settembre scorso sull’aumento dei fondi alla sanità. Peccato però che, stando alle anticipazioni, i malati rari non siano nemmeno citati nelle intenzioni di impiego degli stanziamenti del Recovery fund. E il lockdown ha azzerato anche le minime attenzioni riservate prima a questo tipo di patologie: nulla si è più saputo del promesso Piano nazionale malattie rare, niente sull’aggiornamento statistico dello screening neonatale, né sul nomenclatore tariffario degli ausili e delle protesi, ormai obsoleto».
Eppure, come dice a Panorama l’onorevole Fabiola Bologna, ex Cinque stelle, dell’intergruppo parlamentare per le malattie rare, il ministro della Salute Roberto Speranza aveva assicurato, in audizione alla Camera, che sulla ricerca per le malattie rare qualche fondo sarebbe stato stanziato. Promesse da marinaio? Lo teme la senatrice Paola Binetti, dell’Unione di centro: «La legge quadro sulle malattie rare è ferma alla Camera da mesi» dice a Panorama. «Al di là delle belle parole di Giuseppe Conte sulla collaborazione di tutte le forze politiche, il governo non fa toccare palla a chi non sia della maggioranza. Si figuri che al ministero non si sa ancora a chi siano state affidate le deleghe per questi temi».
Il motivo, forse, per cui si attende da ben quattro anni l’approvazione di un nuovo Piano nazionale per le malattie rare, fermo a quello, non finanziato, scaduto nel 2016. «In questo momento ci si può immaginare come si sentano malati rari: esposti a un rischio, alle prese con una patologia importante, senza armi per difendersi. Quest’epidemia passerà, ma le 8 mila malattie rare su base genetica non passano mai. Chi è malato raro, lo resta tutta la vita» continua Ciancaleoni.
Per alcune di queste malattie di tipo genetico è fondamentale lo screening neonatale, ora obbligatorio solo per quelle di tipo metabolico, come spiega Daniela Lauro, presidente dell’Associazione dei famigliari di malati di Sma (atrofia muscolare spinale: indebolisce progressivamente le capacità motorie ed è la prima causa di morte genetica infantile). «Lo scorso febbraio è stato approvato anche l’emendamento proposto da Lisa Noja che stabilisce un termine preciso entro cui il ministero della Salute ha l’obbligo di completare il processo di ampliamento del panel di malattie diagnosticabili tramite screening. Tale scadenza sarebbe stata a giugno. Certo, sappiamo che l’emergenza del Covid ha ritardato i tempi, ma lo screening esteso anche alla Sma, così come ad altre malattie rare genetiche, non può più aspettare».
