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60 anni di pillola (tra vecchie paure e nuove formule)

60 anni di pillola (tra vecchie paure e nuove formule)

Nel 1961 sbarcava, in Europa, il primo contraccettivo orale. Oggi, molto è cambiato: l’anticoncezionale contiene ormoni naturali ben più leggeri, ed entro l’anno ne arriverà in commercio una versione ancor più avanzata. Eppure, le donne italiane la usano poco (siamo ultime tra i Paesi del continente). Anche per resistenze dure da sconfiggere…


In pochi millimetri, tondi e bianchi, c’era finalmente la promessa di una sessualità libera da conseguenze, retropensieri, preoccupazioni. Era il 1961 e in Europa arrivava Anovlar 21, la prima pillola anticoncezionale della storia. Le donne americane la usavano già da un anno (negli Usa si chiamava Enovid), quelle italiane aspettarono, per la vendita autorizzata, il 1976. La novità piacque a circa il 20 per cento circa della popolazione femminile. Non numeri elevati, in verità. Ma si era ancora in bilico tra timori e rivendicazioni, fiducia nella medicina e resistenze a «ingoiare» qualcosa che andava a modificare ritmi e cicli del corpo. E poi c’era la Chiesa, che ovviamente disapprovava.

Nel 2021, le cose sono diverse. Di compresse, pastiglie e capsule ne consumiamo ogni giorno quantità a volte spropositate, senza farci eccessivi problemi. E quella del Papa, in fondo, è solo un’opinione fra le altre. Eppure oggi le donne che prendono la pillola per evitare gravidanze indesiderate sono ancora meno: il 14 per cento (la media europea è del 21,4 per cento, in Belgio, Olanda e Lussemburgo si arriva al 40). Con differenze regionali notevoli: Sicilia, Calabria Basilicata e Campania sono agli ultimi posti, tra il 5 e l’8 per cento (17 per cento nelle regioni del Nord, in Sardegna – società matriarcale, forse per quello – addirittura il 29 per cento).

Dopo 60 anni, insomma, la pillola da noi non è mai davvero decollata. Nonostante sia sempre meglio dosata nella sua composizione, ed entro fine anno siano in arrivo formulazioni ancora più leggere e personalizzabili. In quest’era pandemica, poi non ha certo aiutato la paura che la pillola anticoncezionale mal si accordi con il vaccino anti-Covid e, anzi, quasi ne diventi complice nel provocare rari casi di trombosi venosa profonda. «Sono arrabbiatissima. Una mia paziente è andata nei giorni scorsi a farsi vaccinare, e quando ha detto che prendeva la pillola il medico si è rifiutato di farle l’iniezione» si sfoga Franca Fruzzetti, responsabile dell’ambulatorio di Endocrinologia cinecologica e Controllo della fertilità alla Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’ospedale Santa Chiara, Pisa. «Pretendeva un certificato di “via libera”. Evidentemente quel medico non legge, perché tutte le società di ginecologia e la stessa Ema sono concordi nel dire che la pillola anticoncezionale non è una controindicazione per alcun vaccino. Ma molti miei colleghi mi hanno risposto che anche loro hanno avuto problemi del genere».

Proprio allo scopo di tranquillizzare nei confronti del siero di AstraZeneca, però, si è spesso detto che il pericolo trombosi è inferiore a quello rappresentato dalla pillola contraccettiva… Quindi, quest’ultima aumenta davvero – di suo – l’eventualità di eventi trombotici? «L’estrogeno e il progestinico che contiene possono far salire questo rischio di due-tre volte rispetto alla popolazione di controllo, ossia donne dai 16 ai 50 anni» risponde Fruzzetti. «Ma in questa fascia di età il rischio spontaneo di trombosi è estremamente basso, direi raro, 2-4 casi l’anno ogni 10 mila. Anche nelle peggiori casistiche si sono raggiunti numeri di 12 donne ogni 10 mila annui. Con pillole con certi progestinici o estrogeni naturali il possibile rischio è poi ridotto ai minimi termini».

In ogni caso, nessun ginecologo la prescrive alla leggera. Afferma Anna Maria Paoletti, ordinario (fuori ruolo) di Ginecologia e ostetricia all’Università di Cagliari: «Facciamo sempre un’anamnesi accurata per sapere se la donna abbia casi familiari con problemi di coagulazione, o una predisposizione personale, se ha avuto gravidanze difficili, aborti ripetuti o complicanze che possano far pensare a una trombofilia. In quei casi meglio non darla o darne una che contenga solo progestinico e non estrogeno».

Se la «relazione pericolosa» pillola-vaccino non esiste, e il pericolo trombosi è sovrastimato, restano altri timori resistenti da anni, come quello di un incremento del rischio di cancro al seno. Metà studi sostengono che esiste se l’uso prosegue per più di 10 anni, l’altra metà lo nega. Difficile, per noi che medici non siamo, capire dove sta il vero.

«Qualche settimana fa abbiamo fatto proprio una relazione su questo tema» continua Fruzzetti. «L’aumento del rischio stimato in un recente studio è circa il 20 per cento, ma anche qui bisogna ragionare per numeri assoluti: clinicamente, significa un solo caso in più su 7.690 donne per un tumore che, non dimentichiamo, è multifattoriale. Inoltre è un rischio che si interrompe quando la donna smette la pillola».

Molto più importante è la protezione, dimostrata in modo inconfutabile, che la pillola ha nei confronti di un altro nemico delle donne: il cancro all’endometrio e alle ovaie, quest’ultimo assai più «cattivo» di quello al seno. Qui la riduzione del rischio di ammalarsi va dal 50 al 70 per cento; la protezione è tanto maggiore quanto più dura l’assunzione della pillola, e prosegue, come una dote personale, fino a dopo vent’anni da quando la si interrompe.

Quindi, una donna di 40 anni che vuole costruirsi una difesa contro il cancro alle ovaie, può prendere a questo scopo l’anticoncezionale? Sì, valutando la scelta con il proprio medico.

Le pillole moderne sono comunque cambiate parecchio rispetto a tanti anni fa, quando gonfiavano il seno (evento gradito in molti casi) e qualche chilo lo regalavano. Una volta contenevano un solo tipo di estrogeno – etinilestradiolo – molto potente, 50 microgrammi, ora la dose va da 15 a 30, con una riduzione – fino all’annullamento – degli effetti collaterali (tensione mammaria, gonfiore, cefalee). E va ancora meglio con le formule a base di estrogeni naturali. «Molte hanno paura di ingrassare» dice Paoletti «ma non è un aumento di peso, semmai una ritenzione di liquidi dovuta agli estrogeni, che si contrasta bevendo acqua e camminando di più».

Oltre al suo uso principale, oggi la pillola è prescritta anche per altro: acne, cefalea prima del ciclo mestruale, o ciclo irregolare o troppo abbondante, eccesso di peluria. In questi casi può essere presa in modo continuativo, saltando la pausa dei sette giorni in cui le mestruazioni «tornano». E comunque molte ragazze, soprattutto sportive o atlete, la assumono senza interruzione per semplificarsi la vita. Fanno male, si è chiesto un articolo del New York Times lo scorso aprile? In realtà la pausa dei sette giorni fu decisa a tavolino dai suoi inventori, John Rock e Gregory Pincus, negli anni Cinquanta, per un paio di motivi: per farla sembrare più «naturale», qualcosa che simulasse il ciclo femminile, e vincere le resistenze dei cattolici; e per confermare alle donne che funzionava davvero. Quindi no, non ci sono motivi scientifici per non prenderla senza interruzione.

Infine, la «nuova» pillola. Quelle attuali sono più di una: alcune formulazioni contengono progestinici ed estrogeni di sintesi (come l’etinilestradiolo), altre estrogeni «naturali», prodotti dalle ovaie. «Entro l’anno arriverà una terza pillola, ora in fase di registrazione» aggiunge Paoletti «a base di un tipo di un estrogeno prodotto in modo naturale dal feto durante la gravidanza. Circola nella madre solo in quei nove mesi. Si chiama estetrolo, e ha un’attività estrogenica molto inferiore rispetto allo stesso ormone prodotto dalle ovaie, l’estradiolo».

E il famoso «pillolo», l’anticoncezionale maschile di cui si parlava qualche anno fa? In fondo, si diceva, la responsabilità della contraccezione femminile va condivisa con i propri compagni… In realtà già Pincus, negli anni 50, tentò di mettere a punto una formula «per lui», iniettando progesterone ad alcuni pazienti psichiatrici, ma non ne venne fuori niente di che. Sempre in quel periodo un’azienda farmaceutica americana mise a punto un composto sperimentato sui carcerati di un penitenziario: funzionava, ma si scoprì che era incompatibile con l’assunzione di alcol. Non se ne fece più nulla. Un paio di anni fa, infine, si testò sui macachi il composto EP055. Da allora, è calato il silenzio.

«Oggi, per quanto riguarda il “pillolo”, è tutto fermo, le case farmaceutiche non ci investono più» conferma Paoletti. Del resto, durante l’atto sessuale l’uomo produce da 40 a 120 milioni di spermatozoi, con in testa un’unica idea fissa: fecondare l’ovulo femminile. Convincerli a lasciar perdere, evidentemente, non è così semplice.

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