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La sanità veneta anti-Covid conquista un pezzo d’Italia

La sanità veneta anti-Covid conquista un pezzo d’Italia

La nomina di Giovanni Pavesi, in arrivo da Vicenza, a direttore generale Welfare della Regione Lombardia porta alla luce un fenomeno nuovo: la scalata euganea ai posti chiave del sistema sanitario italiano.


«Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». La citazione di Agatha Christie è una buona chiave di lettura per decifrare un fenomeno che riguarda la sanità veneta: l’esportazione dei suoi top manager nelle amministrazioni di altre Regioni e nelle posizioni strategiche dell’apparato statale.

Da un anno e mezzo a questa parte, nelle Regioni del centro-destra, ma anche nell’amministrazione centrale dello Stato, sempre più spesso i posti chiave sanitari vengono affidati a medici e dirigenti provenienti dal Veneto. L’ultimo caso riguarda la casella chiave della sanità lombarda: il 18 febbraio l’assessore al Welfare, Letizia Moratti, ha annunciato che «la direzione generale Welfare di Regione Lombardia sarà affidata al dottor Giovanni Pavesi». E pensare che il precedente dg, Marco Trivelli, era stato nominato solo otto mesi prima, il 10 giugno, quando nel pieno delle polemiche per la gestione lombarda dell’emergenza Covid era stato silurato Luigi Cajazzo, poi indagato dalla Procura di Bergamo.

Apriti cielo. La scelta della Moratti ha sollevato parecchi mugugni fra i politici lombardi. E l’ex assessore al Welfare di Regione Lombardia Giulio Gallera, anch’egli da poco destituito (l’8 dicembre scorso, dopo una sfilza di gaffe e scivoloni sul Coronavirus) si è spinto a esprimere pubblicamente il suo disappunto. «La scelta di chiamare a guidare la DG Welfare, e quindi il nostro sistema sanitario, un dirigente sanitario che si è formato e ha svolto tutta la sua carriera in una regione che ha un sistema sanitario molto diverso dal nostro» ha scritto Gallera su Facebook, «costruito su presupposti molto lontani dai nostri ed in cui non è prevista la parità, e quindi la competizione virtuosa, tra pubblico e privato accreditato, mi lascia molto perplesso».

Ma ad arrivare in Lombardia dal Veneto non c’è solo Pavesi, che era direttore generale della Ulss8 Berica, di Vicenza. Il primo manager ad arrivare in Lombardia dal Veneto è stato Lorenzo Gubian. Originario di San Daniele del Friuli, Gubian era Direttore UOC Sistemi Informativi di Azienda Zero, l’ente sanitario cui fanno capo tutte le Asl della Regione Veneto. Dopo che Filippo Bongiovanni, allora direttore generale della centrale acquisti lombarda Aria, era stato iscritto nel registro degli indagati nell’inchiesta sulla fornitura dei camici alla Regione, lo scorso 5 agosto Gubian è stato chiamato a sostituirlo.

Avvicendamenti che hanno invece acceso speranze nei medici lombardi che da tempo denunciano gli squilibri provocati dall’approccio ospedalo-centrico della sanità regionale. Uno dei primi a farsi sentire è stato Stefano Magnone, segretario Regionale di Anaao-Assomed Lombardia, un sindacato che riunisce medici e dirigenti sanitari. «Continua il terremoto al vertice della sanità regionale lombarda: evidentemente, nonostante la tenacia degli operatori, dirigenti medici e sanitari compresi, qualcosa non ha funzionato nella ‘perfetta’ macchina sanitaria regionale» ha osservato in una nota. «Mentre attendiamo di conoscere il nuovo Direttore Generale, di provenienza veneta, cui auguriamo buon lavoro ci poniamo la domanda se l’aver attinto fuori regione non sia una sconfessione del servizio sanitario regionale, dopo anni di autocelebrazione. Non è infatti difficile scorgere nella sanità veneta, per quanto dello stesso colore politico, un modello alquanto diverso riguardo alla centralità della programmazione e dei controlli e dello spazio che il territorio ha sempre avuto rispetto alla rete ospedaliera e al privato».

Toni pesanti, che riecheggiano anche nelle parole del dottor Andrea Mangiagalli, medico di famiglia a Pioltello e promotore del gruppo Medici in prima linea. «L’arrivo in Lombardia di manager da una regione con un modello sanitario diverso è l’ammissione indiretta che il modello lombardo, così come è stato concepito nella parità pubblico-privato, non ha funzionato» dice a Panorama. «È chiaro che una figura come quella di Giovanni Pavesi potrebbe spostare gli equilibri nella modalità di erogazione delle cure dal punto di vista pubblico e quindi portare alla ricostruzione da zero del nostro modello sanitario. Tra l’altro, i nostri colleghi di Vicenza ci dicono che Pavesi è una persona aperta al dialogo e che da loro ha lavorato bene. Tant’è vero che nella regione da cui viene le cure primarie sono 10 volte superiori alle nostre, perché il modello veneto ha nella centralità delle cure primarie il suo fulcro. Se si fa funzionare bene il territorio, gli ospedali fanno solamente il secondo livello di cure e non vengono sommersi dalle banalità».

Mangiagalli nutre grandi aspettative: «Speriamo che quello che Pavesi ha imparato in Veneto lo porti qui da noi. Arrivando con un modello collaudato completamente diverso da quello lombardo, se non farà tabula rasa del nostro sistema, poco ci mancherà». E aggiunge, ironico: «Speriamo solo che l’aria lombarda non lo trasformi».

Già, il sistema sanitario veneto… A detta degli osservatori più attenti, se la regione euganea ha fronteggiato egregiamente la prima ondata della pandemia, è stato merito del suo modello di sanità pubblica basato sulla medicina territoriale (oltre che dell’attenta regia del professor Andrea Crisanti). Un modello vincente, che ora stanno prendendo ad esempio anche altre regioni. Dopo la vittoria del centro-destra alle elezioni del 27 ottobre 2019 in Umbria, la presidente Donatella Tesei ha chiamato a Perugia un veneto, il leghista Luca Coletto. Già assessore alle politiche sanitarie della Regione Veneto e sottosegretario al ministero della Salute nel primo governo Conte, dal 21 novembre 2019 Coletto è assessore alla Salute della Regione Umbria. E non è finita qui. Un mese dopo la sua nomina, Coletto ha chiamato a Perugia come suo braccio destro un altro veneto: Claudio Dario. Dopo aver diretto la Usl 9 di Treviso e l’azienda ospedaliera di Padova, Dario era passato alla Asl di Trento. E il 30 dicembre 2019, l’assessore Coletto lo ha strappato ai trentini per assegnargli la Direzione Salute e Welfare della Regione Umbria.

Quattro mesi dopo essere diventato presidente della Regione Sardegna, anche Christian Solinas aveva cercato, il primo agosto 2019, di portarsi a casa un veneto come commissario straordinario di Ats Sardegna. Si trattava di Domenico Mantoan, che tre giorni dopo la nomina aveva rinunciato all’incarico, ritenendolo «incompatibile» con quello di direttore dell’Area Sanità e Sociale del Veneto. Tempo tre mesi e, il 7 novembre 2019, Mantoan era diventato presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco, l’Aifa.

Una carriera lampo, quella del manager veneto: neanche un anno dopo, lo scorso 2 novembre, Mantoan è stato nominato direttore generale dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, di cui era commissario da due mesi. A qual punto, Mantoan ha dovuto lasciare la poltrona di direttore generale della sanità veneta e rimettere anche il mandato come presidente di Aifa. Ma chi è andato al suo posto? Un veneto, ça va sans dire. Il 3 dicembre scorso, il professor Giorgio Palù, ex Ordinario di Microbiologia nonché ex direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova, è diventato presidente dell’Aifa.

Giovanni Pavesi, Lorenzo Gubian, Luca Coletto, Claudio Dario, Domenico Mantoan, Giorgio Palù: gli indizi della scalata veneta alla sanità italiana sono ben più di tre. Agatha Christie direbbe che siamo di fronte a una prova?

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