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Influenza, milioni di italiani a letto: sintomi, variante K e perché la febbre ritorna

Influenza, milioni di italiani a letto: sintomi, variante K e perché la febbre ritorna

Con l’aumento dei contagi stagionali, l’influenza sta colpendo un’ampia fascia della popolazione, spesso con febbre che sale e scende per giorni. Cosa sapere sulla variante K, quando preoccuparsi e come curarsi correttamente

Feste rovinate per milioni di italiani: l’epidemia di influenza sta colpendo duramente il nostro Paese, ma non solo. In tutta Europa il numero dei casi è in crescita esponenziale, tanto che nel Regno Unito l’epidemia di quest’anno è stata soprannominata “Flunami” da influenza (flu in inglese) e tsunami. Come già era chiaro da da quando l’Australia è stata colpita pesantemente, nei mesi scorsi (che nell’emisfero australe erano quelli invernali) l’influenza del 2025 è di intensità superiore alla media degli ultimi anni, e i dati epidemiologici mostrano che la maggior parte dei casi è attribuibile al virus influenzale A di tipo H3N2, con la sottovariante K ormai dominante in Europa e responsabile di oltre l’80-90% delle infezioni confermate.

Nel nostro Paese, nella settimana tra il 15 e il 21 dicembre si sono verificati 950mila nuovi casi, e dall’inizio della fase di sorveglianza siamo già a quasi 6 milioni di italiani colpiti. Non tutto ciò che pensiamo essere influenza, però, effettivamente lo è. Amcli Ets, l’Associazione microbiologi clinici italiani spiega infatti che “Complessivamente, i virus influenzali sono responsabili di circa un quarto delle infezioni respiratorie rilevate, con una prevalenza del “ceppo A/H3N2 presente nel vaccino stagionale, mentre i restanti casi sono attribuibili soprattutto a rinovirus, adenovirus e virus parainfluenzali, oltre al Sars-CoV-2″ di Covid-19. A fronte della contemporanea circolazione di più agenti virali, la diagnosi clinica basata esclusivamente sui sintomi non consente di identificare con certezza l’agente responsabile dell’infezione”. Per essere sicuri quindi di curare correttamente la malattia sarebbe sempre opportuno eseguire un tampone, anche perché il Covid-19 rimane comunque molto più a rischio di complicazioni anche gravi e quindi individuarlo è ancora importante anche ai fini di evitare il contagio ad anziani e fragili.

Caratteristiche di H3N2

Il virus A/H3N2 è un ceppo influenzale noto da decenni e tra i principali responsabili delle ondate stagionali nel mondo; tende a mutare più rapidamente di altri sottotipi, il che può favorire una diffusione più ampia e sintomi più marcati in alcune fasce della popolazione. La sottovariante K di H3N2, emersa nei mesi scorsi nell’emisfero meridionale, ha poi guadagnato terreno anche nell’emisfero settentrionale, imprimendo all’attuale stagione influenzale un andamento in anticipo e con numeri di casi molto elevati. Il quadro clinico tipico associato a questa stagione influenzale è quello classico da “forte influenza ”: la febbre si alza rapidamente, spesso sopra i 38 °C, ma può fluttuare durante il giorno, con picchi serali e cali mattutini che possono durare qualche giorno. Questa dinamica è espressione della risposta immunitaria all’infezione virale e non necessariamente indica una complicazione. Dolori muscolari intensi, tosse secca, mal di gola, brividi e una profonda sensazione di stanchezza completano il quadro, che nei bambini può essere accompagnato da disturbi gastrointestinali come vomito o diarrea. Questa variante dell’influenza però, oltre all’andamento classico, può presentare anche un decorso più lungo e altalenante, con una ripresa della febbre dopo una tregua iniziale, quindi un “doppio picco” dopo una fase di miglioramento, una durata maggior (fino a 9 giorni) e sintomi tenaci come spossatezza e dolori: andamento tipico di un’influenza immunoevasiva.

Uso degli antibiotici? Solo su prescrizione medica

Gli antibiotici non servono contro l’influenza, nemmeno quando è sostenuta dal ceppo A/H3N2 o dalla sua variante K, perché si tratta di un’infezione virale. Ricorrere agli antibiotici ha senso solo in circostanze ben precise, quando all’infezione influenzale si sovrappone una complicanza batterica accertata o fortemente sospettata dal medico.In pratica, gli antibiotici si usano solo se il medico ritiene che non sia più solo influenza. Succede soprattutto quando, dopo alcuni giorni di malattia, il decorso invece di migliorare peggiora nettamente. Un altro scenario è quello di febbre alta e persistente oltre i 4–5 giorni, soprattutto se associata a tosse produttiva con espettorato denso o maleodorante, dolore toracico, difficoltà respiratoria o peggioramento marcato delle condizioni generali. Sono situazioni che possono indicare una polmonite batterica, una delle complicanze più temute dell’influenza. Gli antibiotici possono essere necessari anche in caso di otiti, sinusiti o bronchiti batteriche, ma solo quando i sintomi sono chiaramente indicativi e non spiegabili dal solo virus. In particolare, secrezioni purulente persistenti, dolore intenso localizzato o segni sistemici importanti orientano il medico verso una causa batterica. Quello che va evitato è l’uso “preventivo” o “per sicurezza”. Assumere antibiotici durante l’influenza non accelera la guarigione, non abbassa la febbre virale e non previene le complicanze. Al contrario, espone a effetti collaterali inutili e contribuisce al problema globale dell’antibiotico-resistenza, rendendo questi farmaci meno efficaci quando davvero servono. La febbre può essere trattata con farmaci antipiretici quando supera una soglia che causa malessere significativo. L’obiettivo non è “azzerarla”, ma renderla tollerabile. La febbre è parte della risposta immunitaria e abbassarla continuamente senza motivo non accelera la guarigione. Fondamentale è invece l’ idratazione. Con la febbre si perdono molti liquidi, anche senza rendersene conto. Bere regolarmente acqua, tisane o brodi aiuta a evitare disidratazione, calo di pressione e peggioramento della sensazione di debolezza. Anche quando l’appetito è scarso, piccoli pasti leggeri contribuiscono a sostenere l’organismo.

Evitare il ricorso al Pronto Soccorso

Il pronto soccorso non è il luogo adatto per gestire l’influenza non complicata. L’influenza, anche con febbre alta, dolori marcati e forte spossatezza, è nella grande maggioranza dei casi una malattia autolimitante. In assenza di segni di gravità, l’approccio resta domiciliare o affidato al medico di medicina generale, che conosce la storia clinica del paziente ed è in grado di valutare l’evoluzione nel tempo. In pronto soccorso, invece, si viene valutati per escludere emergenze, non per seguire il decorso di una malattia virale comune. C’è poi il tema dei tempi di attesa. Nei periodi di picco influenzale i pronto soccorso sono spesso sovraffollati. Chi arriva per febbre, tosse e dolori influenzali rischia di attendere molte ore senza ottenere un beneficio concreto, se non la conferma di ciò che già si sospetta: un’influenza in fase acuta. Un altro aspetto cruciale è il rischio di contagio. Il pronto soccorso riunisce persone fragili, anziani, immunodepressi, pazienti con patologie cardiovascolari o oncologiche. Recarsi lì con l’influenza significa aumentare il rischio di trasmettere il virus a chi potrebbe sviluppare complicanze serie. È uno dei motivi per cui, durante le ondate influenzali, si insiste sull’importanza di restare a casa se non c’è un reale bisogno di cure urgenti.

La stagione influenzale 2025-2026, dominata dal virus A/H3N2 e dalla sua sottovariante K, conferma ogni anno anche l’importanza della sorveglianza epidemiologica e delle buone pratiche di prevenzione, compresa la vaccinazione, soprattutto per chi appartiene a gruppi a rischio. Anche se le mutazioni del virus possono ridurre in parte l’efficacia dei vaccini, la protezione contro le forme gravi rimane significativa e può limitare ospedalizzazioni e complicazioni.

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