Tra le case farmaceutiche è iniziata la corsa per riuscire a vaccinare ragazzi e bambini, dimenticati dalle cronache della malattia ma fondamentali per ottenere l’immunità di gregge (in Italia sono circa il 16 per cento della popolazione). Per gli esperti si è perso tempo. Ma adesso, «Facciamo presto».
Dosi che viaggiano incerte, somministrazioni difficoltose: la macchina per la vaccinazione di adulti e anziani va a rilento. E mentre si osserva con apprensione il suo farraginoso procedere, c’è un pezzo di mondo defilato: quello dei giovani, lasciati in fondo all’anagrafica del diritto di fiala.
Non potrebbe essere altrimenti: a oggi il vaccino anti-Covid è vietato ai minori. Quello di Pfizer–BioNTech è somministrabile dai 16 anni in su, quello di Moderna e di AstraZeneca ai maggiorenni. Ciononostante, molto si muove dietro le quinte. Il tema è riuscire a inoculare ai più piccoli quegli stessi vaccini destinati alle fasce di età superiori. «Quando viene proposto un farmaco, e un vaccino lo è, le case farmaceutiche hanno l’obbligo di presentare un piano di sperimentazione pedriatica successivo a quello dell’adulto» spiega Paolo Rossi, direttore del Dipartimento pediatrico universitario-ospedaliero del Bambino Gesù, a Roma. «Lo scopo è vederne confermata sia la sicurezza sia l’efficacia».
Così le grandi case farmaceutiche intente a combattere la pandemia, accelerano per portare a termine i test di validità di quegli stessi vaccini sulla popolazione più giovane. Per Pfizer–BioNTech lo studio del siero da somministrare ai ragazzi tra i 12 e i 17 anni è in fase 3, ossia l’ultima prima di chiedere l’autorizzazione alla produzione, e sta reclutando i più piccoli. Moderna ha inoculato la prima dose a un ragazzo in gennaio. Ma ci sono anche gli altri: Johnson&Johnson ha già incluso ragazzi dai 12 ai 17 anni nei test del suo prodotto anti-Covid, in fase di approvazione, e tra qualche mese dovrebbero estendere i trial agli under-12. AstraZeneca lavorerà presto a un trial per i pazienti dai 6 ai 18 anni e così si farà per lo Sputnik V. ReiThera inserirà per gradi la fascia d’età pediatrica. Senza contare gli sforzi di tante altre aziende intorno al mondo (sono più di 100 i vaccini in preparazione), come l’indiana Bharat Biotech che comincerà a breve i test sui minori di 12 anni.
Insomma, soprattutto per Pfizer–BioNTech e Moderna sarà questione di poco, prima che immettano nel mercato (americano, per ora) i vaccini per i ragazzi con più di 12 anni. Dopodiché si passerà a classi di età inferiori, secondo un consolidato schema a scalare. E i tempi potrebbero non essere lunghi quanto si temeva. Lo stesso Anthony Fauci, direttore del National institute of Allergy and infectious disease americano nonché immunologo a capo della task force anti-Covid alla Casa Bianca, si è sbilanciato indicando il traguardo della stagione calda. «Possiamo sperare che per fine primavera o inizio estate, saremo in grado di vaccinare i nostri figli» ha annunciato in una recente conferenza stampa.
Tanta rapidità è dovuta anche al fatto che, a differenza dei test sugli adulti, per i «trial» clinici sui giovani non servono troppi soggetti: non si cerca l’efficacia del vaccino sull’essere umano, quanto una risposta immunologica per quella determinata fascia di età. Quindi, mentre nelle sperimentazioni iniziali sugli adulti sono serviti decine di migliaia di volontari, per i giovani ne bastano poche migliaia. «Non mi aspetto differenze sostanziali rispetto agli adulti» dice ancora Rossi. «Da pediatra e immunologo immagino che la loro sia una risposta vivace e forse più duratura».
In Italia vivono circa 9,8 milioni di bambini e adolescenti, il 16,2 per cento della popolazione, e com’è noto non sono tra quelli che pagano di più le conseguenze del Covid, anche se lo contraggono. Secondo i dati sul sito del ministero della Salute (che cita una ricerca pubblicata sul magazine scientifico Nature Medicine in giugno), sotto i 20 anni c’è una suscettibilità all’infezione pari a circa la metà rispetto agli altri. Inoltre nei pazienti pediatrici i sintomi sono più lievi e la mortalità è estremamente bassa: intorno allo 0,06 per cento nella fascia di età 0-15 anni. Il problema principale, semmai, è che contribuiscono a trasmetterlo.
«La domanda da fare è: perché i bambini sono stati rimandati a una sperimentazione successiva? Sarebbe stato meglio testare tutti insieme, grandi e piccoli. Mi rendo conto che le case farmaceutiche procedono a tappe, ma abbiamo perso tempo» continua Rossi. «Da pediatra e da regolatore, perché sono stato 16 anni all’Ema e mi sono sempre battuto contro questo approccio delle fasce di età, dico che non è giusto. Significa ritardare l’arrivo sul mercato per i più piccoli». E in fin dei conti rimandare l’immunità di gregge.
Come ricorda Rossi: «Il retropensiero è che i bambini si infettano ma non stanno male come le persone più grandi, per cui hanno meno bisogno di vaccino. Ma dal punto di vista epidemiologico questo ragionamento non regge: per ottenere un’immunità di gregge, con un minimo del 70 per cento della popolazione vaccinata, devono partecipare tutti, non solo chi è suscettibile alla malattia. Poi è chiaro che va vaccinato prima chi rischia di più, perché i malati intasano gli ospedali e le terapie intensive. Però lo ribadisco: vaccinare i ragazzi è urgente. Facciamolo il più presto possibile».
