Ognuno nella sua casella, secondo la nuova geometria sociale creata da questa imperiosa pandemia. I sani, almeno finora. I malati, in bocca al lupo. Gli anziani, fragili bersagli. I bambini, fortunatamente risparmiati. Le donne, meno vulnerabili. Gli uomini, più a rischio. E poi, loro. Una maggioranza silente e trasversale che cammina per le strade, entra in supermercati e farmacie, sale sui mezzi pubblici, si sposta per lavoro. Non sono malati, perché stanno bene. Non sono sani perché il virus si è annidato dentro di loro, pur senza dare segno di sé.
Gli asintomatici. Magari noi che scriviamo, o voi che leggete. Il vicino di casa, il collega di lavoro (se ancora lavorate in ufficio), l’amico che salutate a distanza. Inconsapevoli diffusori del virus, finora sfuggiti a test e tamponi. Impossibile avere una stima precisa di quanti siano, certo non pochi. E sono la chiave di volta della pandemia. Identificarli significherebbe stroncare una buona fetta dei contagi sottotraccia.
Uno dei primi a sollevare il problema (che oggi sta esplodendo) è stato Sergio Romagnani, immunologo clinico all’Università di Firenze: in una lettera ai vertici della regione Toscana, lo scorso 15 marzo, avvertiva che «tra il 50 e il 75 per cento delle persone infettate da Covid-19 è completamente asintomatica ma rappresenta una formidabile fonte di contagio». La percentuale, in quel caso, si riferiva ai 3 mila abitanti di Vo’ Euganeo, sottoposti a tampone. Per la precisione, in chi aveva meno di 50 anni gli asintomatici erano risultati del 71 per cento, e del 57 per cento sopra i 50 anni. Spiega Romagnani a Panorama: «In Corea del Sud, il 27 gennaio, non appena hanno avuto sentore dell’epidemia i Centers for disease control coreani hanno deciso uno screening di massa. Hanno scelto il migliore kit di un’azienda e hanno fatto 300 mila tamponi in sette settimane, individuando tutti i positivi e i loro contatti, e trovando ottomila contagiati». Tra gli altri risultati: la percentuale degli under 50 infettati ma senza sintomi era pari al 59,3 per cento, tra gli over 50 del 21,8. E il 30 per cento dei giovani tra 20 e 29 anni era positivo pur senza sintomi. Estendendo queste stime all’Italia, alcuni esperti calcolano che possano esserci 140 mila persone che hanno il virus a loro insaputa.
Da noi, al momento, i tamponi vengono fatti solo a chi arriva in ospedale con sintomi già evidenti, seguendo pedissequamente le prime indicazioni dell’Oms (che oggi, peraltro, dice «test, test, test!»). «È stato un errore strategico» commenta Romagnani. «Intanto, la direttiva iniziale dell’Oms ha fatto sì che molte regioni non si siano approvvigionate di kit diagnostici. E poi, “tamponando” solo i sintomatici, sono sfuggiti alla diagnosi medici e infermieri, una fonte di contagio terribile negli ospedali. Anche se ora, dopo la mia lettera e alcuni contatti diretti, il governatore della Toscana ha deciso di allargare lo screening con i tamponi». Quello che ci preme sapere, fra le varie domande, è se un asintomatico sia solo qualcuno che non ha ancora i sintomi ma prima o poi li mostrerà, o una sorta di «supereroe» che mai verrà sfiorato dalla malattia. La scienza su questo è chiara: il fortunato (e sciagurato, visto che porta a spasso il nemico senza saperlo) può non sviluppare mai l’infezione. Il coronavirus non gli dichiara guerra e il suo sistema immunitario non «overeagisce».
«Come in altre malattie virali, per esempio la mononucleosi, l’infezione può decorrere in maniera asintomatica, o con segnali lievi e quasi inavvertiti, specie nelle persone con una soglia del dolore alta o che sono portate a minimizzare» spiega Nicola Petrosillo, direttore del Dipartimento clinico all’ospedale Spallanzani di Roma. In alcuni casi, poi, la riduzione o la perdita dell’olfatto è l’unico segnale dell’infezione (la fonte è la British Association of Otorhinolaryngology). Altro dubbio: ma chi non starnutisce né tossisce, in che modo diffonde il contagio? «Anche solo parlando, si emettono goccioline di saliva dalle prime vie aeree, che viaggiano fino a un metro. O con il contatto della mani» risponde Petrosillo. Oppure condividendo un oggetto, o toccando una superficie che poi non viene disinfettata. «Un soggetto asintomatico ha una carica virale e infettiva minore di chi tossisce o ha una polmonite in corso» specifica Petrosillo. «Però, non sapendo di averla, può trasmettere l’infezione».
Inoltre, anche nella fase di incubazione, quando una persona sta ancora bene, il virus entra e si attacca alle nostre cellule dove inizia a replicarsi. La carica virale cresce fino a una concentrazione tale da provocare l’infiammazione a naso, faringe e poi polmoni. Più si è giovani, in ogni caso, maggiore è la probabilità di avere la forma silente di Covid-19. I bambini, per esempio, sono un caso emblematico. La tenera immagine del pargolo in braccio al nonno, in questo caso, si accende di una luce inquietante. E dunque, che facciamo, tamponi di massa a tutti (sull’esempio del Veneto)? «Non si possono fare i tamponi a 60 milioni di italiani» ammette Romagnani, «ma si dovrebbero fare a categorie selezionate: medici, infermieri e personale sanitario, come che sta accadendo in Emilia-Romagna e Toscana. E ancora: cassiere dei supermercati, conducenti dei mezzi pubblici, chi lavora nelle case di riposo, agenti dell’ordine, tutti quelli esposti a contatti multipli e prolungati, che rischiano di diventare una terribile fonte di contagio pur stando bene». Richiesta pressante condivisa da tutti gli esperti: il 25 marzo, in una lettera al governo 300 scienziati italiani hanno chiesto più test per le categorie a maggior rischio.
Attualmente il test del tampone richiede sei-sette ore, prima di dare il risultato. Una multinazionale con compartecipazione italiana, la DiaSorin, ha però messo a punto un test molecolare che fornisce la diagnosi in un’ora. «Approvata dalla Fda, può dare risultati quasi subito, senza bisogno di mandarlo nei laboratori attrezzati» precisa Romagnani. «Un test così servirà anche quando, superato il picco, bisognerà “tornare a vivere”. Capire quali sono gli asintomatici potrebbe prevenire nuovi focolai».
Infine, giusto per aggiungere un pizzico di invidia per chi si prende il virus senza fare un plissé, l’asintomatico non solo non si accorge dell’intruso dentro di sé ma sviluppa gli anticorpi proprio come chi guarisce dopo una maratona nei reparti di terapia intensiva. Per lui funziona come avviene con la vaccinazione: si è protetti senza la malattia. Certo, nel caso del coronavirus non si sa quanto facciano davvero da scudo gli anticorpi. Se siano cioè protettivi per anni, capaci di riconoscere il nemico qualora si ripresentasse, o anticorpi di memoria breve, semplicemente la spia dell’avvenuta infezione.
In ogni caso, gli asintomatici non sono solo pericoli ambulanti. Analizzarli servirà per capire altre cose sul coronavirus. Da loro si potrà stabilire meglio la potenzialità di trasmissione del coronavirus, ossia l’indice R0: quanti soggetti può contagiare un asintomatico rispetto a chi mostra i sintomi? E poi si potrà capire in modo più approfondito la patogenesi della malattia. Perché alcune persone non sviluppano l’infezione e altri rischiano la vita? Ecco, dire grazie agli asintomatici ci sembra troppo. Ma che almeno non vadano in giro a fare danni, sia pure inconsapevolmente, e si rendano utili alla scienza.
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