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I racconti di chi combatte contro la seconda ondata di Covid

I racconti di chi combatte contro la seconda ondata di Covid

Medici ed infermieri raccontano le difficoltà, le differenze e le similitudini tra la prima e la seconda fase dell’epidemia

Il Covid è tornato e ha messo in ginocchio in poche settimane il sistema sanitario nazionale che rischia di collassare. Una seconda ondata devastante e drammatica che ha colto nuovamente impreparato il Paese. Il virus contrariamente a quanto si è portati a credere colpisce anche i più giovani che non sono per la maggioranza asintomatici ma hanno già un quadro compromesso all’esordio della malattia. A raccontarci dalla prima linea l’andamento del Covid alcuni rianimatori della regione Lazio, oggi purtroppo in estrema difficoltà come il resto d’Italia.

«A marzo e aprile il range dei ricoverati in terapia intensiva era tra i 70 e i 90 anni. Adesso è tra i 40 e i 70. Ci sono più giovani che arrivano con polmoniti gravi e alcuni di loro hanno bisogno di un’ossigenazione extracorporea perché la ventilazione meccanica non è sufficiente», racconta Il Prof. Massimo Antonelli Direttore della Rianimazione al Policlinico Agostino Gemelli

Il Covid è più aggressivo rispetto alla primavera scorsa?

«Non è così. Il virus è esattamente come prima, circola molto di più. I dati di laboratorio del pattern genetico non dimostrano sostanziali variazioni».

Quali sono le differenze osservate?

«La differenza sostanziale è che il ovid prima colpiva prevalentemente le regioni del nord. Ora ci sono numerosi casi in tutto il paese. Per fortuna adesso possiamo con il contact tracing condurre un’attività di ricerca per tracciare il ovid più puntuale. In questo modo i pazienti vengono individuati e trattati più precocemente. C’è una diffusione notevole del numero dei contagiati che causa delle criticità. I numerosi soggetti positivi che vengono in pronto soccorso arrivano con diversi livelli di gravità della malattia, il che rende difficile trovare una collocazione per tutti. C’è un grande numero di asintomatici ma allo stesso tempo anche un numero importante di sintomatici che richiedono il ricovero ospedaliero».

Come sono cambiate le terapie farmacologiche rispetto alla prima ondata?

«Le terapie tra marzo e aprile erano fisiologicamente plausibili, ma senza una dimostrata efficacia. Adesso abbiamo dei dati più solidi. A seconda della tipologia del paziente e del quadro clinico che si presenta somministriamo farmaci che hanno dimostrato efficacia in seri studi multicentrici. Prevalentemente vengono usati i cortisonici che hanno dimostrato diminuire la mortalità nei pazienti intensivi e l’antivirale Remdesivir».

«Il quadro clinico dei soggetti positivi al covid è molto diverso rispetto alla prima ondata. I pazienti anche giovani e senza patologie pregresse già all’esordio della malattia arrivano con delle complicazioni polmonari importanti e compromesse» – ci dice Arturi Gnesi rianimatore in un ospedale di Cassino nel Frusinate

Com’è la situazione delle terapie intensive sono sufficienti?

«Le terapie intensive sono in esaurimento e i direttori sanitari non immaginavano una seconda ondata così esplosiva. Molti di loro avevano pensato di rimodulare gli ospedali a seconda dei contagi ma ormai é tardi e sulla piattaforma regionale i posti sono esauriti. In terapia intensiva c’è un’alta incidenza di morte».

Come vengono trattati i pazienti in terapia intensiva?

«Spesso capita che vengano intubati perché non ci sono altre soluzioni per la loro sopravvivenza. I farmaci che vengono somministrati sono rimasti gli stessi della prima ondata e non ci sono particolari integrazioni. Non esiste ancora un farmaco per sconfiggere il ovid che è un virus infimo».

Ci sono stati progressi e nuove scoperte sugli studi fatti per la cura del Covid?

«Nonostante gli studi fatti ci sono ancora molte incognite perché il Coronavirus è anomalo, non si lascia studiare e varia da persona a persona, molto probabilmente per cause genetiche e immunologiche. Abbiamo osservato infatti all’interno di nuclei famigliari persone rimaste immuni al Covid nonostante avessero un loro familiare positivo. La situazione è preoccupante. Ci sono pazienti positivi in isolamento a casa che aspettano di essere ricoverati e pazienti intubati in attesa di un posto in terapia intensiva. Gli ospedali devono essere trasformati in Covid siamo paralizzati, servono nuovi reparti».

«È difficile parlarne, a tratti doloroso. Io dopo la prima ondata del covid sono andato via. È stato psicologicamente devastante, posso affermare di essere stata l’ultima persona ad avere tenuto la mano a molti ragazzi anche giovani che poi sono deceduti – ci racconta con difficoltà un rianimatore del Policlinico di Tor Vergata di Roma – Così dopo 26 anni di lavoro non ce l’ho fatta ed ho lasciato. Ho sempre lavorato in situazioni di emergenza, in elisoccorso ma non ho mai visto niente del genere. Una terapia ancora non è stata trovata ed il virus si è ripresentato in maniera più aggressiva. Un illustre medico mi diceva che molto dipende dalla genetica che incide significativamente sull’immunità al Covid».

Quali sono i soggetti più a rischio?

«Ormai quasi tutti, colpisce anche ragazzi molto giovani ed in buona salute basti pensare a Federica Pellegrini e di Valentino Rossi. La gente dovrebbe evitare di andare in giro come se niente fosse. Siamo in piena emergenza ospedaliera. Ora lavoro in un ospedale convenzionato del sud Italia ed anche qui è ricominciato l’incubo».

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