La Giornata Mondiale del Diabete, istituita da OMS e International Diabetes Federation, è ogni anno un momento di visibilità globale su una patologia che oggi coinvolge oltre 540 milioni di persone. L’edizione del 2025 pone l’accento su un aspetto spesso poco raccontato: il legame tra diabete e lavoro. Il tema scelto dalla IDF, “Know more and do more for diabetes at work”, richiama la necessità di ambienti professionali capaci di sostenere chi convive con una condizione cronica che richiede monitoraggio quotidiano, flessibilità e consapevolezza da parte di colleghi e datori di lavoro. Su oltre 540 milioni di persone con diabete nel mondo, più di 430 milioni sono in età lavorativa. Significa sette adulti su dieci, una quota enorme che trasforma immediatamente la questione in un tema non solo sanitario ma economico, sociale e culturale. In Italia la fotografia non è meno significativa: 4 milioni di persone vivono con il diabete e ogni anno si registrano 80mila decessi legati alle sue complicanze. Dati che testimoniano l’impatto profondo e duraturo della malattia su un sistema che comprende la sanità ma anche la scuola, il welfare, la finanza pubblica e naturalmente il mondo del lavoro, dove troppo spesso si concentrano le difficoltà più silenziose e meno dichiarate. È in questo contesto che a Roma, alla Sala Zuccari del Senato, si è svolto il Convegno con cui l’Intergruppo parlamentare Obesità, Diabete e Malattie Croniche Non Trasmissibili e la Federazione delle Società Diabetologiche Italiane (FeSDI) hanno presentato le priorità nazionali in vista della ricorrenza.
Stigma, discriminazioni e bisogno di ambienti inclusivi
Per molti lavoratori con diabete, la malattia non rappresenta solo un percorso clinico, ma anche un’affermazione quotidiana di diritti. La maggior parte di loro sperimenta infatti ostacoli che nulla hanno a che vedere con la salute, ma molto con la cultura aziendale. Emergono racconti di pause negate, difficoltà nell’effettuare controlli glicemici durante l’orario di lavoro, diffidenza da parte dei colleghi, paura di dichiarare la propria condizione per timore di ripercussioni sul percorso professionale. Lo stigma, come ricordano gli esperti, assume forme sottili ma pervasive: si manifesta nella mancata concessione di permessi per visite mediche, nella rigidità degli orari, negli avanzamenti di carriera che sfumano senza spiegazione. Tutto questo accade nonostante il diabete sia una patologia perfettamente gestibile, soprattutto quando le persone hanno accesso a cure regolari e condizioni lavorative adeguate. Non impedisce nemmeno di eccellere negli sport: basti pensare al tennista Alexander Zverev, che proprio in questi giorni sta affrontado le ATP Finals di Torino: affetto da diabete di tipo 1 dall’età di un anno, è al momento il numero 3 del ranking mondiale, dopo Jannik Sinner e Carlos Alcaraz.
Nel corso del convegno, la professoressa Raffaella Buzzetti, Presidente FeSDI e SID, ha richiamato l’urgenza di una svolta sistemica. «Per far fronte all’emergenza diabete serve una politica sanitaria capace di unire prevenzione, cura e sostenibilità economica», ha dichiarato, sottolineando l’importanza di una governance nazionale in grado di coordinare interventi e responsabilità. Al centro della proposta c’è un tavolo interministeriale permanente, che riunisca Ministero della Salute, MEF, Regioni, società scientifiche e associazioni di pazienti. È un passaggio considerato cruciale per garantire continuità nelle politiche e coerenza nelle risposte.
La questione non riguarda solo il contesto lavorativo. Le persone con diabete presentano infatti rischi più elevati anche sul fronte infettivo. Le malattie infettive, inoltre, possono aumentare temporaneamente la glicemia, rendendo più complessa la gestione della patologia. Per questo il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2023-2025 prevede per le persone con diabete l’offerta gratuita dei vaccini antinfluenzale, anti-SARS-CoV-2, anti-pneumococcico, anti-Herpes Zoster, antimeningococcico, anti-epatite B, MPR e anti-varicella. È un tassello fondamentale, che però deve inserirsi in una visione più ampia e coerente di presa in carico.
Le priorità italiane tra LEA, dati interoperabili e nuove politiche del lavoro
Per costruire davvero un Paese che supporti chi vive con il diabete, servono strumenti concreti. Lo ricorda la FeSDI, che identifica tre pilastri su cui lavorare. Il primo è l’inserimento della visita diabetologica nei LEA, in modo da garantire un accesso uniforme alle cure su tutto il territorio nazionale. Oggi, infatti, l’assistenza diabetologica risulta ancora frammentata: cambiano i tempi di attesa, i modelli organizzativi, la disponibilità delle strutture. Il secondo pilastro riguarda la creazione di un sistema nazionale di dati interoperabili, indispensabile per monitorare in modo omogeneo epidemiologia, esiti clinici ed efficacia dei trattamenti. È uno strumento essenziale anche per prevenire sprechi e duplicazioni, permettendo alle Regioni di condividere e confrontare informazioni in tempo reale.
Il terzo tassello consiste nello sviluppo di un database nazionale in grado di raccogliere e diffondere buone pratiche: telemedicina, presa in carico proattiva, progetti di integrazione ospedale-territorio. Si tratta di esperienze già attive in molte realtà locali, che però necessitano di una cornice comune per diventare modelli replicabili. Accanto a questi interventi sanitari resta però centrale il tema della qualità della vita lavorativa. La Giornata Mondiale del Diabete 2025 chiede esplicitamente di andare oltre la retorica della sensibilizzazione e di entrare nelle aziende, negli uffici, nei luoghi dove le persone trascorrono gran parte della loro giornata. Le associazioni chiedono programmi di formazione per datori di lavoro e colleghi, maggiore flessibilità oraria, spazi adeguati per la gestione della terapia, politiche chiare contro discriminazioni e stereotipi. La sfida è culturale ancor prima che normativa: riconoscere che il diabete non deve essere un ostacolo alla carriera o alla dignità professionale.
In conclusione, la Giornata Mondiale del Diabete si conferma un’occasione non solo per fare il punto sulla malattia, ma per ripensare il rapporto tra salute e società. È un invito a costruire un sistema capace di sostenere, accompagnare e non escludere. Una responsabilità collettiva che riguarda tutti: istituzioni, imprese, scuole, famiglie.
