C’è qualcosa di profondamente rivelatore nel modo in cui il piacere si racconta oggi. Per decenni è stato nascosto, deformato, censurato o banalizzato. Era materia da sussurro o da battuta, mai da analisi.
C’è una frase di Susan Sontag che ritorna come un’eco quando si parla di desiderio: “Il corpo è il luogo dove tutto accade.” È lì, tra il silenzio e la vibrazione, tra la pelle e il dato, che il piacere contemporaneo trova la sua grammatica più vera. Non è più un istinto, è un linguaggio. Non è più un mistero, è una conoscenza.
E, nel 2025, il piacere torna a essere ciò che sempre è stato: un codice culturale, una forma di linguaggio che attraversa società, tecnologie e identità.
La più recente ricerca condotta da LELO e AstraRicerche nel 2024 segna un punto di svolta. Quasi la metà di chi conosce i sex toys (49,4%) dichiara di volerli usare in futuro. È un dato che racconta più di un’abitudine: racconta una mutazione antropologica. I nuovi utilizzatori non cercano più trasgressione ma consapevolezza. Il piacere non è più l’oggetto del desiderio, ma lo strumento per conoscersi, per esplorarsi, per comunicare. È la traduzione fisica di un bisogno di libertà che ha cambiato pelle.
La sociologia del desiderio
A utilizzare sex toys oggi è il 35% degli italiani, in prevalenza uomini tra i 25 e i 44 anni, spesso in coppia (65,4%). Non si tratta di un fenomeno marginale né di un feticcio da nicchia urbana. È piuttosto una nuova normalità, più diffusa tra laureati, residenti nelle grandi città e appartenenti alle classi medio-alte. Il piacere diventa dunque segnale di alfabetizzazione emotiva, una forma di capitale culturale.
E poi ci sono i benefici, dichiarati apertamente: il 37,2% dice che rendono il sesso più giocoso, il 35% più soddisfacente, il 34,8% più fantasioso. Ma il dato più significativo è un altro: il 26,1% afferma di conoscere meglio sé stesso grazie a essi. In un mondo che tende a tradurre ogni cosa in algoritmo, il corpo torna ad avere una voce — e lo fa attraverso la tecnologia.
Il piacere, insomma, non è più un’esperienza nascosta, ma una competenza. Una pratica che si apprende, si studia, si discute. Gli italiani cercano informazioni, confrontano materiali, leggono recensioni: il 55,4% lo fa su Google, il 32% su siti di e-commerce, e il 46,1% acquista online. Non è un impulso: è un processo.
Il piacere 4.0: tra intimità e intelligenza artificiale
Il Futurist Report 2025 di LELO va oltre la statistica. Mostra un panorama dove l’intimità si ibrida con la tecnologia, generando nuove forme di relazione e di consapevolezza. Il 66% dei Millennial e il 60% della Gen Z si dichiarano perfettamente a proprio agio nell’integrare la tecnologia nella propria vita sessuale. Ma il vero colpo di scena arriva dai Baby Boomer: quasi il 40% afferma di essere aperto a sperimentare la dimensione del piacere digitale.
Non è più, dunque, una questione generazionale, ma culturale. È il segno di un’umanità che sta imparando a condividere emozioni anche attraverso il codice binario. Dai chatbot relazionali ai sex tech interattivi, fino ai dispositivi che connettono coppie a distanza, il piacere si fa rete, si fa dato, si fa memoria. Eppure, come sottolinea il futurista Tom Cheeswright nel rapporto, “il livello massimo di intimità resta riservato al contatto analogico”.
La tecnologia non sostituisce il corpo, lo riscrive. E in questo nuovo alfabeto digitale, l’intimità diventa performance emotiva e conoscenza di sé.
Il tabù che non arrossisce più
Paradossalmente, il piacere non è mai stato così pubblico, eppure così fragile. La nuova vergogna non riguarda più l’atto, ma il linguaggio con cui lo si racconta. Le nuove generazioni non arrossiscono di fronte al sesso, ma si irrigidiscono quando devono parlarne seriamente. È la forma più sottile del pudore contemporaneo: la consapevolezza che, nell’epoca della connessione continua, l’intimità è rimasta l’unico spazio davvero privato.
Secondo la ricerca LELO, solo un quarto degli intervistati si dice “molto a proprio agio” nel discutere di piacere con un partner o con amici. Gli altri tacciono, osservano, si informano in silenzio. È una trasformazione antropologica: prima comprendere, poi normalizzare. Il piacere, come tutte le grandi rivoluzioni culturali, inizia dal linguaggio.
Quando il design diventa desiderio
E poi c’è la bellezza. Quella che non nasconde ma sublima, che non eccita ma incanta. In questa nuova cartografia del piacere, l’estetica è parte integrante della rivoluzione. Non a caso, LELO è oggi uno dei brand più premiati al mondo per il design dei propri dispositivi, con riconoscimenti che spaziano dai Red Dot Design Awards agli IF Design Awards, passando per gli A’ Design Awards e i Good Design Awards. Oggetti nati per durare, pensati per essere guardati prima ancora che usati. Perché la forma è parte del desiderio, e l’estetica non è più un vezzo ma un linguaggio del corpo.
A interpretare questa dimensione estetica c’è anche BiBiO, marchio giapponese fondato da una giovane donna che ha scelto di riscrivere il confine tra sensualità e arte. I suoi anelli in resina, vibranti come pietre di Yves Klein, nascono per essere indossati come gioielli, non nascosti nei cassetti. “It is not a sex toy”, dichiara il packaging, eppure è proprio in quell’ambiguità che risiede la sua forza: ridefinire il desiderio attraverso la bellezza.
BiBiO e LELO rappresentano due facce della stessa rivoluzione. La prima ne incarna la grazia, la seconda la struttura. Entrambe raccontano di un piacere che non ha più bisogno di giustificarsi.
Antropologia del desiderio connesso
Forse il vero tabù del nostro tempo non è più il sesso, ma la libertà di viverlo senza doverlo spiegare. Il piacere, oggi, è un prisma: riflette chi siamo, cosa desideriamo, come comunichiamo. Non è più solo fisico, ma cognitivo, estetico, culturale. È il terreno dove corpo e mente tornano a parlarsi — e dove la tecnologia, per una volta, non separa ma connette.
Nel 2025 il piacere non è più un segreto da nascondere, ma un linguaggio da imparare. È una forma di conoscenza, un gesto politico, un atto estetico. È il nuovo modo di abitare il corpo.
E forse, proprio per questo, non è mai stato così umano tanto che l’unico vero atto rivoluzionario rimasto è imparare ad ascoltarlo.
