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Cinque persone su cento sono senza olfatto

Cinque persone su cento sono senza olfatto

Tra tutti i sensi, è il più trascurato dagli scienziati. Ora, uno studio unico al mondo, condotto in Inghilterra su 71 pazienti, fa capire cosa significa aver perso del tutto la capacità di percepire gli odori. Mentre da ricercatori italiani viene la prima mappa cerebrale dei «neuroni annusatori». Perché, nella vita, avere naso è decisivo.


Mi pare di essere dietro un muro di vetro, mi sento depresso, come se fossi in lutto». «Ho 45 anni, ho appena avuto il mio quarto bambino. Ma non sento per lui un legame profondo come per gli altri». «Ho perso le memorie emotive del mio passato, i Natali della mia infanzia, il pane fatto in casa». «Faccio fatica ad accettare gli inviti degli amici che implicano bere o mangiare, prendere un aperitivo, uscire a cena». «Sono diventata ossessionata dalla mia igiene, mi lavo in continuazione. Se qualcuno intorno a me menziona un cattivo odore, sprofondo nell’imbarazzo, ho sempre paura di essere io a puzzare».

Il filo comune che lega questi frammenti quotidiani è l’olfatto, o meglio la sua perdita totale: l’inaspettata e irreversibile impossibilità di percepire odori e profumi. In algido termine scientifico: anosmia. Menomazione poco studiata, tanto sottovalutata quanto diffusa: ne soffre il 5% della popolazione, il che non è affatto poco.

Nel 2010 in Inghilterra è nato il primo centro al mondo dedicato a queste sindromi: la Smell and Taste Clinic alla James Paget University Hospital, a Gorleston-On-Sea (contea di Norfolk). E le frasi che abbiamo riportato sopra vengono da uno studio, unico nel suo genere, condotto lo scorso gennaio dalla University of East Anglia insieme a questa clinica: un’indagine su 71 persone, fra 31 e 80 anni (45 donne e 26 uomini), scaraventate in un mondo sensorialmente in bianco e nero, che ai ricercatori inglesi hanno raccontato come si vive senza odori né sapori (olfatto e gusto sono correlati).

«Volevamo indagare come la privazione dell’olfatto incide su chi ne è afflitto» ha spiegato Carl Philpott dell’Università di East Anglia, presentando la ricerca. «Mentre la cecità o la sordità sono sensi molto investigati, la loro perdita viene diagnosticata e c’è la possibilità di correggere o migliorare, non così per l’olfatto». Le implicazioni per i «senza naso» sono numerose. «Uno dei problemi maggiori è la ridotta percezione del pericolo» continua Philpott. «Non si ha più la capacità di avvertire se un cibo è andato a male, se c’è una fuga di gas o di fumo».

Rischi a parte, a risentirne è la vita, semplicemente: addio piaceri della tavola (nel 95% dei casi), senso di isolamento (64 per cento), difficoltà a relazionarsi con gli altri (59%), depressione (49%), ansia (47%). Pare esagerato? Pensate a quando avete il raffreddore e non sentite nulla, e proiettate questa esperienza per tutta la vostre esistenze. Una desolazione. Alcuni raccontano di essere ingrassati perché spinti verso cibi molto grassi o molto zuccherati, nel tentativo di avvertire di più il gusto. Altri, al contrario, finiscono in una sorta di indolente anoressia. Cibo e pure sesso, ovviamente. Una donna rivela che il suo matrimonio «è andato in crisi con la mia anosmia. Non sentivo più l’odore di mio marito». Infine, lo sbiadire di tanti ricordi. Marcel Proust, se fosse stato anosmico, assaggiando la sua madeleine non avrebbe provato granché. E il suo «temps perdu» sarebbe rimasto tale.

Dietro la scomparsa totale dell’olfatto ci sono tante cause: infezioni virali, infiammazioni, sinusite cronicizzate, tumori, l’uso di certi medicinali, traumi alla testa. «Il sistema olfattivo è composto da milioni di neuroni, i cui prolungamenti, gli assoni, attraversano la struttura ossea della cavità nasale e arrivano al cervello con il loro segnale elettrico» spiega Anna Menini, professore ordinario che alla scuola superiore Sissa di Trieste dirige il laboratorio di trasduzione olfattiva. «In un incidente d’auto, per esempio, un colpo alla testa può spezzare questa struttura ossea e tagliare i “fili elettrici”, gli assoni. Oppure viene danneggiata la corteccia olfattiva».

In alcuni casi i neuroni si rigenerano, in altri si resta olfattivamente «ciechi». «A volte la perdita non è completa, ma gli odori vengono percepiti in maniera distorta, oppure si avvertono odori inesistenti» scrive in uno studio Eric Holbrook della Harvard Medical School. Nella «fantosmia», questa sorta di allucinazione del naso, gli odori immaginari non sono mai piacevoli, anzi fanno piuttosto schifo. «Chi ne soffre» precisa Holbrook «parla di puzza di spazzatura, di palude marcia».

Uno studio di fine gennaio, che fa luce sui misteri dell’olfatto, viene da un team del Cnr di Padova guidato dalla neuroscienziata Claudia Lodovichi (su Cell Reports). Il suo gruppo ha ricostruito il meccanismo alla base della mappa cerebrale degli odori. Dove si trovano e cosa fanno i «neuroni annusatori». La teoria che c’è dietro è complicata, ma Lodovichi promette essere chiara: «In tutti i sistemi sensoriali, la distribuzione spaziale dei neuroni dalla periferia, per esempio dalla retina, al cervello, è mantenuta. Questo ordine crea mappe topografiche che permettono di percepire gli stimoli. Nell’olfatto però non abbiamo un distribuzione spaziale di questo tipo. L’ordine si crea solo nel bulbo olfattivo, la prima “stazione” nel cervello, dove convergono tutti i neuroni che esprimono lo stesso tipo di recettore olfattivo».

Per usare un’immagine, è come se in questa stazione di smistamento arrivasse un gomitolo di mille tinte, e lì tutti i fili con lo stesso colore (ossia lo stesso recettore per lo stesso odore) si unissero in una sola matassa. «Noi abbiamo identificato le molecole che, nel bulbo olfattivo, legano i recettori olfattivi e permettono la separazione dei “fili in matasse monocolore”, creando la mappa olfattiva. In modo molto elegante, il recettore olfattivo dirige i prolungamenti neuronali nel cervello, creando quell’ordine spaziale necessario per discriminare gli odori intorno a noi». Scoperta con prospettive importanti. Sapere cosa si guasta in questo circuito potrebbe aiutare nell’Alzheimer e nel Parkinson, dove la perdita dell’olfatto è il primo segnale che qualcosa non va. E anche per i «senzanaso», capire in quale punto questa mappa è alterata è un passo avanti per una possibile terapia.


«Il bulbo olfattivo è nella parte arcaica del cervello, collegata all’amigdala e all’ippocampo, aree cerebrali coinvolte con le emozioni. Gli odori rallegrano la nostra vita in maniera immediata» riflette Lodovichi. La potenza dell’olfatto emerge in un capitolo del libro più popolare di Oliver Sacks, L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello: nel caso clinico intitolato Il cane sotto la pelle, il neurologo racconta di uno studente, Stephen, che, dopo un’overdose di anfetamine si svegliò un giorno con un naso «da segugio»: un’iperosmia che lo rese di colpo in grado di avvertire il minimo odore, ovunque; preda di un’esaltante frenesia percettiva, «potevo respirare le emozioni delle persone, capire se avevano paura o erano allegre, potevo ritrovare ogni strada di New York semplicemente annusandola».

Il superpotere durò tre settimane. Un mattino Stephen fece un bel respiro, aspettandosi il nuovo lunapark sensoriale, ma si ritrovò dentro la solita realtà odorosamente sbiadita. Dopo anni, diventò un medico e uno stimato collega di Sacks. Ma, per tutta la vita, provò una profonda nostalgia per quei venti giorni trascorsi in un mondo di percezioni frenetiche, primordiali e travolgenti.

Così l’intelligenza artificiale potenzierà le difese del nostro organismo

È la nostra prima linea di difesa e la migliore che abbiamo. Combatte virus, batteri, parassiti, cellule del nostro stesso organismo che, prese da manie di grandezza, si trasformano in cellule tumorali fuori controllo. Non sempre è efficace, certo. Talvolta il sistema immunitario non riesce ad averla vinta contro i «nemici» e, a tutt’oggi, medici e scienziati non sanno perchè. Come mai un malato di cancro ce la fa e un altro soccombe? Perché su un paziente l’immunoterapia (una delle più promettenti armi in ambito oncologico) funziona e su un altro fallisce? Perché il sistema immunitario non riesce a prevenire una malattia devastante come l’Alzheimer?

Domande fondamentali, finora senza risposta. Capire in tutta la sua complessità quella meravigliosa macchina che è il sistema immunitario è delle maggiori sfide della medicina. Le difese del nostro organismo sono un universo popolato da un’infinità di cellule con nomi, compiti, interconnessioni incredibilmente intricate. È un sistema miliardi di volte più complesso del genoma umano, la cui mappatura (nel 2000) segnò una svolta storica. Sarà mai possibile mappare, in modo analogo, il sistema immunitario così da comprenderne meglio il funzionamento?

L’impresa, improba fino a pochi anni fa, è ora possibile grazie all’avvento dell’intelligenza artificiale. È l’obiettivo della partnership tra Microsoft e l’azienda di Seattle Adaptive Biotechnologies: decodificare il sistema immunitario per rilevare, attraverso un semplice esame del sangue, un’ampia gamma di malattie, infezioni, disturbi autoimmuni e tumori fin dal primo stadio. Come si farà? Per capirlo, facciamo un passo indietro: il sistema immunitario «adattativo», ossia quello che impara a combattere ogni infezione che ci colpisce (l’altro è quello innato) è formato, semplificando molto, da due tipi di «soldati»: i linfociti T e i linfociti B. Ogni linfocita T ha, sulla sua superficie, un recettore che mira e colpisce uno specifico bersaglio, chiamato antigene. Un virus o un batterio, per esempio, rappresentano degli antigeni.

L’idea alla base dello sforzo Microsoft/ Adaptive Biotechnologies è ottenere, grazie al machine learning dell’intelligenza artificiale, una mappa di tutti i recettori dei linfociti T e dei loro antigeni, ossia i «nemici» che, negli anni, hanno incontrato e combattuto. In altre parole, la storia del sistema immunitario di ogni persona racchiusa in una goccia di sangue, analizzata da sistemi di calcolo ultrapotenti. Le battaglie passate, ma anche la situazione attuale: il sequenziamento del sistema immunitario potrebbe rivelare quali malattie, o entità estranee, l’organismo sta affrontando e su cosa sta allenando i muscoli, per così dire.

Questa mappa universale dei recettori dei linfociti T e degli antigeni dovrebbe permettere diagnosi più accurate e tempestive a partire da un semplice prelievo (accessibile quindi anche in Paesi in via di sviluppo). Decodificare il sistema immunitario sarà, questa almeno è la grande promessa, un formidabile passo avanti per curarci meglio e, soprattutto, per evitare di ammalarsi.

Daniela Mattalia

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