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Chirurgia 4.0: più computer, meno bisturi

Chirurgia 4.0: più computer, meno bisturi

Ricostruzioni virtuali degli organi da operare, con la loro realizzazione in 3D prima dell’intervento, e robot addestrati con l’Intelligenza artificiale stanno dando vita a una medicina rivoluzionaria. Raccontata da Franca Melfi, una pioniera in questo campo.


Non è azzardato affermare che sta nascendo un nuovo modo di operare i pazienti. In fondo la chirurgia non è nuova a profonde mutazioni: la storia ha visto sorgere prima quella che potremo chiamare la chirurgia 1.0, quella cosiddetta «aperta» di cui troviamo la più cruda manifestazione nei campi di battaglia. Poi è stata la volta della chirurgia mininvasiva tradizionale, anche detta laparoscopica. Infine, la chirurgia 3.0 che ha visto protagonisti i robot, con il chirurgo lontano dal lettino operatorio e seduto a una postazione dotata di monitor e comandi. E ora? Comincia l’era della chirurgia 4.0, quella integrata con l’Intelligenza artificiale e i Big data, la possibilità di estrarre da una vasta mole di dati importanti informazioni statistiche. Di fatto è una chirurgia nella quale l’Intelligenza artificiale riconosce la «situazione», simula l’operazione su un modello e impara dai propri errori fino raggiungere gradi di precisione inimmaginabili. Quello che segue è un viaggio nella sala operatoria del futuro in compagnia di Franca Melfi, docente di chirurgia toracica all’Università di Pisa, la prima donna chirurgo al mondo a effettuare nel 2001 un’operazione di toracoscopia chirurgica con un robot, come testimoniava l’articolo Early experience with robotic technology for thoracoscopic surgery pubblicato sullo European Journal of Cardio-thoracic surgery. Divenuta tutor ufficiale europeo per la chirurgia toracica robotica, da allora ha formato una generazione di chirurghi avviando 22 centri in tutta Europa. Quello di chirurgia robotica multispecialistica di Pisa, presso il quale continua a formare giovani allievi, è il primo in Europa per volumi di attività con oltre 1.300 casi di chirurgia complessa. Oggi Melfi è tra i primi chirurghi a usare le simulazioni su modelli che offriranno la possibilità di una chirurgia personalizzata e di precisione, cioè calibrata per le esigenze del singolo paziente.

Professoressa Melfi, che cosa sta cambiando in chirurgia?
«Principalmente, il fatto che grazie a ricostruzioni virtuali al computer in 3D, l’integrazione con i robot e l’uso dell’Intelligenza artificiale possiamo effettuare simulazioni dell’intervento prima ancora di effettuarlo sul paziente. Questo significa pianificare meglio l’intervento con minori traumi e maggiore precisione».

Ci spieghi meglio: è come fare le prove su una ricostruzione virtuale del complesso delle strutture interne del paziente?
«Sì, ma molto più di questo perché, grazie all’Intelligenza artificiale, il robot “impara per tentativi ed errori” dalle simulazioni. Alla fine l’operazione vera e propria sul paziente sarà il risultato di un processo di perfezionamento ottenuto facendo uso di un numero impressionante di dati».

Come si arriva a ottenere il modello?
«A partire da quelle che sono le reali immagini fornite dalla Tac del paziente da operare. Nel mio caso, ho iniziato a effettuare questo tipo di operazioni usando le metodiche di ricostruzione virtuale messe a punto dal laboratorio di ricerca BioCardioLab di Bioingegneria presso la Fondazione Toscana G Monasterio di Massa, nella persona della professoressa Simona Celi. La ricostruzione tridimensionale dà la possibilità di valutare i rapporti della lesione che verrà rimossa chirurgicamente, evidenziare eventuali varianti anatomiche che potrebbero creare difficoltà durante l’intervento, esaminare la situazione da diverse prospettive. La ricostruzione delle immagini, insieme alla loro stampa 3D, permette una pianificazione dell’intervento limitando possibili complicanze intraoperatorie».

Può farci esempi specifici di operazioni appena fatte in questo modo?
«Sì, abbiamo applicato queste tecniche al caso particolarmente complesso di un paziente con tumore dell’apice polmonare destro. Sono interventi complessi dove la riduzione della massa tumorale è considerata un successo quando si taglia oltre il 50 per cento. In questi casi però la formazione di tessuto fibroso cicatriziale rende particolarmente difficoltosa la dissezione vascolare, costringe a un intervento a «cielo aperto» con notevole trauma. Ecco, grazie alla ricostruzione virtuale e l’integrazione con il nostro sistema robotico è stato possibile evitare il trauma di una toracotomia».

E ci sono invece casi nei quali le simulazioni le hanno rivelato qualcosa che non avrebbe notato con le tecniche finora in uso?
«Ah sì, assolutamente. Per esempio, nel caso di un giovane uomo con una grossa lesione del mediastino anteriore».

Mmm… vicino al pericardio e dunque al cuore…

«Era un tumore del timo di circa nove centimetri a ridosso dell’arco aortico e del tronco venoso anonimo. Il paziente era stato controindicato a una chirurgia mininvasiva per gli stretti rapporti con due importanti strutture vascolari e il dubbio che fossero infiltrate dal tumore. Le ricostruzioni mi hanno dato modo di evidenziare come non ci fosse infiltrazione ma soprattutto di valutare i rapporti della massa tumorale con le strutture circostanti. In altre parole è stato possibile simulare l’intervento ed evidenziare piccoli vasi non rilevati con l’imaging tradizionale. Il paziente ha potuto beneficiare di una chirurgia robotica mininvasiva precisa con tre piccole incisioni inferiori al centimetro e di una degenza post operatoria breve senza apertura dello sterno».

Queste ricostruzioni le hanno insegnato qualcosa sul Covid-19?
«Durante la pandemia ho dovuto operare pazienti intubati: il polmone appariva fragile con aree bollose e altre consolidate. In due pazienti con tumore polmonare post infezione da Covid-19 ho riscontrato un parenchima polmonare simil-fibrotico soprattutto alle basi, segni evidenti della pregressa infezione. Sono tutti episodi recenti e quindi mi è difficile valutare cosa accadrà nel medio lungo termine anche perché a oggi gli studi condotti sono in numero esiguo. Uno studio dell’Università di Basilea ha documentato segni di diffusa emorragia, microembolismo e infiammazione dei piccoli vasi periferici del polmone, come pure la presenza in altissimo numero di cellule mediatrici dell’infiammazione, in particolar modo monociti e macrofagi. Quindi in pazienti con pregressa infezione Covid-19 mi aspetto una fibrosi tissutale e un’insufficienza respiratoria. Il danno parenchimale indotto dalle cellule iperespresse a causa dell’infezione, se da una parte aiutano a combattere l’infezione, dall’altra stimola la fibrosi tissutale, fenomeno che evolve nell’insufficienza respiratoria. Analoghi reperti sono stati riscontrati anche in altri organi, come il cuore, il tessuto nervoso e il rene. Risulta fondamentale comprendere i meccanismi alla base del danno microscopico da coronavirus per individuare le terapie immunomodulanti più appropriate».

Come immagina la chirurgia nei prossimi dieci anni?
«Verso una crescente miniaturizzazione dei sistemi robotici. Ma è solo uno dei fattori chiave della rivoluzione, gli altri hanno questi nomi: advanced imaging, machine learning, Big data, virtual simulation e tissue analysis. Significherà essere sempre più precisi in chirurgia e prevenire errori grazie alla possibilità d’insegnare più efficacemente e a distanza a generazioni di giovani chirurghi».

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