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Caccia ai farmaci fantasma

Caccia ai farmaci fantasma

Sono centinaia i medicinali di uso comune introvabili con i normali canali di acquisto. Una carenza dovuta alle delocalizzazioni e alle sbagliate politiche industriali delle multinazionali. Si moltiplicano così le speculazioni e i mercati paralleli fuori controllo.


«Sto cercando l’azitromicina, ne avete una confezione?». È questa la domanda cui migliaia di farmacisti hanno dovuto rispondere nelle ultime settimane con un no. Complice la diffusione della variante Omicron, l’antibiotico – spesso identificato con il brand più conosciuto, lo Zitromax del colosso americano Pfizer – è risultato ovunque «irreperibile». Si tratta della punta dell’iceberg. Sono oltre 2.000 i prodotti che secondo l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sono scomparsi dalle nostre farmacie. Alcuni introvabili per problemi industriali, altri perché è cessata la commercializzazione temporanea, altri ancora perché venduti all’estero o, semplicemente, per l’imprevedibile ed elevatissima richiesta. Centinaia quelli di uso comune. Eppure è da anni che un flusso intermittente affligge il mercato. Peccato che si ponga all’attenzione – delle istituzioni e del singolo – solo in momenti emergenziali, come quelli in cui stiamo vivendo, quando mancano anche semplici antibiotici in sciroppo per bambini, è il caso dell’amoxicillina, mettendo in crisi pediatri e genitori.

Da decenni le stime ci raccontano di un’industria farmaceutica in salute. Secondo gli ultimi dati di Farmaindustria, il comparto in Italia continua a crescere (+1% rispetto al 2020), con 67.000 addetti specializzati (dal 2015 al 2020 l’occupazione segna un +12%) e una la produzione che vale 34,3 miliardi di euro, suddivisi fra le 283 imprese del settore (delle quali solo il 43% di capitale italiano). Eppure sotto questo gigante ha preso forma un sistema denso di intrinseche fragilità, come emerge dall’ultimo rapporto Nomisma, che ha evidenziato la necessità di «moltiplicare le fonti di approvvigionamento, slegandosi da Paesi troppo lontani al fine di minimizzare il rischio di impresa».

Al centro della questione la scelta di dislocare i centri produttivi in Oriente, preferiti tanto per la manodopera flessibile quanto per i minori costi. «In una folle strategia di delocalizzazione» spiega Vincenzo Sofo, eurodeputato di FdI-Ecr, «l’Europa ci ha reso quasi interamente dipendenti da India e Cina, che detengono oggi l’80% della produzione dei principi attivi e il 40% dei farmaci in commercio nel nostro continente. Siamo dunque esposti a un rischio di penuria e persino di ricatto geopolitico in caso di crisi sanitarie come quella attuale».

Parallela, ma altrettanto emblematica, la questione che riguarda dispositivi medici e integratori. Questi ultimi sono ormai oggetto di una spasmodica ricerca da parte di no vax e contagiati, alimentata spesso da gruppi Facebook – come #esercitobianco che raggruppa oltre 180.000 persone – ma anche da chat di mamme su WhatsApp o canali chiusi su Telegram che invitano ad assumere dosi massicce di parafarmaci. Impreparati i farmacisti di fronte alla straordinaria richiesta di vitamina C e D, ma anche di lattoferrina e quercitina (per lungo tempo mancanti, a causa di un’impennata di vendite), zinco e resveratrolo (quest’ultimo esaurito in tutta Italia).

«Attualmente sono anche introvabili vari tipi di antibiotici, antiemorragici, antiepilettici, antidolorifici e salvavita e queste carenze impattano enormemente sulla qualità della vita di milioni di italiani» precisa Tiziana Beghin, capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo. Prevedibili ed enormi i disagi per i pazienti, soprattutto i più fragili e delicati, che sono stati obbligati a mutare le cure, a cercare medicinali all’estero – fra le mete più gettonate la Svizzera o la più raggiungibile farmacia del Vaticano. In taluni casi hanno deciso di ricorrere a canali che sfuggono a qualsiasi tipo di controllo, come l’online, dove però non è garantita alcuna sicurezza.

«Quello che accade ci dimostra come il sistema sia molto meno solido di quanto vorremmo credere» rivela un «insider», Luca M., che da decenni lavora nel settore. Effettivamente, la sostanziale debolezza era già stata messa in evidenza durante i primi mesi della pandemia, quando dispositivi di protezione – dalle semplici mascherine chirurgiche fino alle Ffp2, ma anche gel disinfettanti e saturimetri – erano stati oggetto di una richiesta spasmodica, che aveva provocato un aumento di prezzo fuori controllo. «Due anni fa» continua l’insider «riuscire a farne arrivare una partita dalla Cina era come vincere al lotto: per quanto i costi all’origine fossero duplicati, restavano sempre irrisori rispetto alla possibilità di venderli a grossisti farmaceutici».

La Repubblica popolare cinese era infatti l’unica possibilità per reperire quanto l’Italia aveva rinunciato da tempo a produrre per questioni economiche. «Perché impegnare un’industria con mascherine il cui valore è pochi centesimi, quando comprarle già pronte consentiva addirittura di risparmiare?» si chiede polemicamente il broker. Non è solo una questione economica, aggiunge Sofo: «Il Covid ci ha messo di fronte all’evidenza drammatica che la salute sia un bene comune fondamentale che non può essere lasciato in balia delle logiche di mercato, ha bisogno di uno Stato che ne tenga le redini, riportando l’industria farmaceutica al ruolo di esecutore e non di creatore del fabbisogno sanitario. In questi due anni Ema ed Ecdc (rispettivamente l’Agenzia europea del farmaco e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, ndr) hanno mostrato tutti i loro limiti. Ora la strada è inevitabilmente quella della sovranità europea nel campo sanitario».

Non è una riflessione isolata. «L’industria farmaceutica» commenta Beghin «contribuisce a salvare milioni di vite, ma funziona ancora con una logica del profitto portato all’estremo, che certo non la assolve da molte colpe». A tutto questo si affianca il mercato parallelo di alcune medicine, che vengono trattenute da grossisti e depositi per rivenderle all’estero dove il loro costo è ben superiore e permette alti margini di guadagno. Panorama ha potuto visionare in esclusiva la lista aggiornata di un’attività specializzata nel commercio all’ingrosso che opera in Campania e rastrella ogni mese medicinali da depositi e grossisti italiani per poi farli arrivare in Gran Bretagna, ma anche in Francia e in Germania.

Fra le 92 voci che compongono l’elenco colpiscono alcuni «salvavita» come l’Humalog (insulina fondamentale per i diabetici), analgesici potentissimi come il Palexia (introvabile nel dosaggio da 50 mg nelle farmacie) o farmaci per gli asmatici (come il Duovent). «Fino a cinque anni fa si trattava di un mercato molto redditizio, che portava guadagni fino al 20% sul prezzo del farmaco» aggiunge il broker farmaceutico. «Le cose adesso sono cambiate: le regole sono molto più stringenti, e tante industrie hanno chiuso i rubinetti. Resta comunque un business da milioni di euro».

L’Unione europea cerca di organizzarsi per affrontare il problema. «Vogliamo imporre obblighi di notifica più ampi in caso di carenze e ritiri dei farmaci, impegni vincolanti per l’approvvigionamento e un ruolo più incisivo dell’Ema» anticipa Beghin. Fra le iniziative in cantiere, un gruppo direttivo all’interno di Ema con specifici compiti al controllo. Intanto nei corridoi del ministero della Salute circola voce che, a fine febbraio, l’azitromicina tornerà disponibile. Lecito domandarsi chissà per quanto.

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