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Quelle cure rimaste nella rete della burocrazia

Quelle cure rimaste nella rete della burocrazia

Da otto mesi un dispositivo medico non può più arrivare a un ospedale del Piemonte perché è cambiato il nome del fornitore. Anche se il produttore è lo stesso.


Mentre il dottore studia, l’ammalato muore; si diceva una volta. Oggi il proverbio potrebbe essere aggiornato così: mentre l’ufficio acquisti cincischia con moduli e mail, il paziente aspetta di curarsi. Siamo in Piemonte. Più precisamente negli uffici del servizio Farmacia di un importante ospedale. Dove, da otto mesi, i dipendenti addetti all’amministrazione non riescono ad aggiornare una semplicissima anagrafica clienti. Un lavoro che, in un qualsiasi altro contesto produttivo, avrebbe richiesto non più di due giorni e che invece i «solerti» dipendenti del dipartimento si stanno rimpallando da luglio 2022. Moltiplicando per di più scartoffie e incombenze per la malcapitata azienda produttrice di un necessario dispositivo medico, costretta a riaccreditare, per le imperscrutabili ragioni di quella bizzosa divinità che è la burocrazia italiana, il proprio prodotto nonostante sia in uso da ben 10 anni presso lo stesso presidio sanitario. Prodotto prima distribuito da una multinazionale con sede negli Stati Uniti e oggi venduto direttamente dalla società che ne detiene il brevetto.

Un cambio fornitore di una semplicità disarmante che attende solo di essere inserito nel sistema gestionale dell’ospedale con un paio di clic. Ma, invece, in Piemonte è diventato oggetto di una lunghissima e dispendiosa sessione di verifica che meriterebbe ben altri protagonisti e ben altri campi d’indagine. Anche perché ci sono medici, e pazienti, che aspettano che la struttura acquisti questi dispositivi – per una cifra comunque irrisoria rispetto alle grandi poste di bilancio di una Asl – per iniziare o proseguire le cure.

E poco importa che l’azienda produttrice offra il prodotto a un prezzo notevolmente inferiore rispetto a quello praticato dagli americani. Gli uffici del servizio Farmacia conoscono ragioni che la ragione non conosce: e così, oltre a una serie infinita di certificati e autodichiarazioni, la ditta in questione è stata costretta a ripetere nuovamente l’assessment clinico. Ovvero una procedura che prevede una lunghissima e complicatissima trafila di questionari, ricerche e studi per farsi ripetere dai camici bianchi quel che tutti sanno, tranne i burocrati dell’ospedale: e cioè che il dispositivo funziona bene a livello terapeutico.

Possibile che per un singolo aggiornamento di un’anagrafica cliente -una questione esclusivamente di natura amministrativa – si debba perdere tutto questo tempo? Chiaro che no, ma la vicenda piemontese è sintomatica della farraginosità e delle caotiche procedure che imperversano nel Sistema sanitario nazionale e hanno poi dato origine al meccanismo infernale del payback. Cioè dell’obbligo di restituzione, da parte delle aziende fornitrici di apparecchi sanitari, di una bella fetta di fatturato ottenuto lavorando con le Asl che hanno sforato il budget. A pagare stavolta (in ballo c’è un miliardo di euro di rimborsi da corrispondere entro poche settimane) sarà il mondo imprenditoriale privato, ma perché nessuno indirizza i riflettori sulle mancanze e sulle bizzarrie del pubblico?

Le inefficienze dello Stato non dovrebbero essere destinate a una zona d’ombra di impunità e rassegnazione.

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