Gorillaz, Cracker Island: la recensione
Un altro grande album della creatura di Damon Albarn. Tra i pezzi migliori, quelli che vedono ospiti la leggendaria Stevie Nicks e Beck
Ai Gorillaz non si richiede alcuna coerenza. Da più di vent'anni fanno quello che vogliono come vogliono, Sia a livello di musica sia sul piano "visual". Ovvio che intorno alla loro musica non ci sia più quell'alone di novità di inizio millennio.
Detto questo, Cracker Island è bello, quasi tutto giocato sui tempi medi. Tra suoni contemporanei e scelte vintage, un parco giochi dove vale tutto: perdersi nel passato o cavalcare il presente. Così, senza regole. Persi tra Londra e la California dove il disco ha preso forma. La title track è intrigante, ma avrebbe potuto anche essere meglio di così se al basso di Thundercat fossero stati concessi più spazio e volume.
Funziona il synth pop di Oil che vede la partecipazione (riuscita) di Stevie Nicks una delle più belle ed intense voci americane di sempre: l'incontro con Damon Albarn è decisamente una delle vette dell'album.
A pari merito Silent Running, altro gran pezzo pop che si avvale della vocalità di Adeleye Omotayo, uno dei membri dello Humanz Choir fondato dagli stessi Gorillaz.
In questo album Albarn e soci riescono anche nell'impresa di contenere Bad Bunny special guest in Tormenta, creando un piacevole effetto crossover tra il reggaeton e l'attitudine British pop di Damon. Volendo indicare il pezzo migliore, difficile non puntare su Skinny Ape, in cui risuonano i Blur ed il resto della carriera precedente dei Gorillaz, con Albarn al suo meglio come vocalist. Divertenti anche le atmosfere volutamente 70/80's di Tarantula.
A chiudere, Possession Island con Beck, una perla semiacustica di grande bellezza. Se vi piacevano i Blur di 13, questo brano ne ricorda da vicino le splendide atmosfere.