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Rosso, moderno, anzi yuppie

Rosso, moderno, anzi yuppie

LE SERIE STORICHE DI PANORAMA

Dopo le elezioni regionali in Emilia Romagna, Panorama è andato a ripescare nella sua collezione in archivio, due articoli degli anni Ottanta che raccontano come la sinistra stesse cambiando pelle e abbandonando i vecchi cliché. Emergente, individualista, professional: ecco il ritratto scritto da Dario Di Vico che racconta il nuovo ceto e di come si stess sviluppando nella provincia emiliana. Un gruppo di sociologi coordinati da Nando Dalla Chiesa lo ha studiato e ha scoperto che…

Articolo pubblicato il 21 aprile 1985


Emergente ma non rampante. Individualista in economia e progressista in politica.Crede nel mercato e nella professionalità, ma non disdegna i valori della solidarietà e dell’ associazionismo. Per più di un terzo proviene da famiglie operaie e contadine. Questo è l’ inedito identikit dello yuppie e emiliano, come viene fuori dai risultati di una recentissima indagine condotta a Reggio da una équipe di ricercatori dell’ Istituto superiore di sociologia di Milano. «Dalla famosa marcia dei 40 mila a oggi i ceti emergenti, coccolati dalle forze politiche che se ne sono contesi i favori, hanno avuto persino l’ onore delle terze pagine dei quotidiani. Ma più che di vere radiografie si è trattato spesso di ritratti impressionistici» osserva Nando Dalla Chiesa, che ha coordinato i lavori della prima ricerca empirica condotta in Italia sui comportamenti e le aspettative di un gruppo sociale che degli yuppie americani ha quasi tutte le caratteristiche. L’ indagine commissionata dal Pci di Reggio Emilia ha preso in esame l’ intero arcipelago delle nuove professioni del terziario e dell’ industria. Dai quadri intermedia ai pubblicitari, dagli informatici ai consulenti fiscali. E ancora: dagli specialisti delle nuove branche della medicina (oncologi, dietologi) ai public relation men, dai nuovi tecnici del business turistico ai money manager. Per i ricercatori «Reggio è un ottimo punto di osservazione. E’ un caso tipico della nuova provincia italiana: la cittadina emiliana grazie a un reddito procapite superiore agli otto milioni e mezzo e a una media di risparmi pari a 11 milioni rappresenta insieme con Varese, Parma e Aosta una delle zone del Paese che sono riuscite a coniugare vitalità economica e livelli di benessere diffuso». Alla domanda se quello reggiano può essere un test significativo di una tendenza nazionale, le risposte dei ricercatori sono di estrema cautela. Se infatti, a detta loro, ci sono fondati motivi per pensare che lo yuppie italiano non sia uno sfrenato reaganista come il suo omologo d’ Oltreoceano è anche vero che i forti elementi culturali e di tradizione presenti in Emilia sconsigliano affrettate generalizzazioni. «Anche perché» sottolinea Dalla Chiesa «oggetto della nostra indagine è un fenomeno sociale che vede affiancarsi alle vecchie professioni liberali nuove figure dotate di un forte spirito di auto imprenditorialità. E come tutti i fenomeni sociali contiene in sé un’ alta dose di variabilità». Che ci sia una tendenza al “far da sé” lo attestano i dati sul titolo di studio, ottenuti comparando300 yuppie reggiani con un campione di 150 appartenenti a quelli che per comodità i sociologi impegnati nell’ indagine hanno chiamato “ceti storici” ovvero avvocati,medici, insegnanti, notai. I laureati sono presenti in maniera più consistente nel secondo gruppo, mentre la percentuale scende dal 57 al 35 per cento nel caso dei nuovi professionisti. A titolo di studio formale più basso, però, corrisponde da parte di questi ultimi un maggiore dinamismo culturale. Più corsi di perfezionamento professionali, più esperienze di studio e lavoro all’ estero al posto di titoli accademici da far ammuffire nei cassetti. Un dato che viene ribadito anche dalla maggiore conoscenza delle lingue. Un emergente su due non ha bisogno dell’ interprete per comunicare in inglese. La mobilità sociale è un’ altra delle costanti che si incontra nell’ esaminare i nuovi ceti. Innanzitutto in termini di estrazione sociale:il 24,4 per cento proviene da una famiglia operaia, così come più del 15 per cento da ambiente contadino. Altrettanti sono i figli di insegnanti o impiegati di concetto e un buon 20 per cento è cresciuto in una famiglia dove il padre svolgeva un’ attività commerciale o artigianale. Ma la mobilità non riguarda solo salti generazionali.Infatti oltre il 55 per cento svolgeva prima dell’ attuale un’ altra attività: in prevalenza, gli emergenti prima di rivelarsi tali erano, nell’ ordine, impiegati o insegnanti, commessi od operai. E secondo i ricercatori proprio questa tendenza a salire nella scala sociale presenta aspetti di novità. Non più gli arrampicatori sociali di un’ altra fase di grande mutamento nella geografia delle classi sociali,gli anni Sessanta del boom alla Alberto Sordi, ma un atteggiamento più equilibrato in cui convivono un certo gusto del rischio con una memoria associativa e riformista. Un atteggiamento pacato ma con una forte dose di fiducia in se stessi. Infatti oltre il70 per cento degli intervistati si percepisce in movimento verso l’ alto sia per reddito sia per status e il 60 per cento ritiene di avere maggiori opportunità di crescita lavorando da solo o tutt’al più in società con altri professionisti. Del resto ad animarli è un certo spirito di frontiera: quasi due terzi hanno scelto il lavoro che fanno per vocazione, contro solo un 6 per cento che lo ha fatto per abitudine. Ma la cartina di tornasole dell’ orientamento complessivo degli yuppie padani viene dalle risposte ai quesiti riguardanti i problemi della società italiana. Se il giudizio sul sistema retributivo vigente è negativo, contiene però una doppia valenza. Si criticano infatti gli eccessi nell’ appiattimento ma anche gli squilibri. Oltre due terzi degli intervistati preferisce parlare di giungla retributiva più che di vero appiattimento, come hanno fatto finora le associazioni dei quadri intermedi.In sostanza, se con un occhio si guarda al proprio merito, non si chiude l’ altro occhio su alcune palesi ingiustizie. Tra i problemi della società italiana al primo posto nell’ opinione degli emergenti figurano la mafia, la camorra e la criminalità organizzata. Addirittura davanti alla disoccupazione. Così come l’ evasione fiscale precede nettamente la diffusione della droga. Mentre fa significativamente capolino nei primi posti la corruzione della classe politica. Componendo con queste tessere un ipotetico mosaico, secondo Dalla Chiesa ne viene fuori un’ immagine più da cittadino che da padre. Un atteggiamento a cui certamente non è estraneo l’ ambiente emiliano,dove le emergenze più acutamente avvertite nelle metropoli sono temperate da una struttura sociale più flessibile e da una “rete protettiva” più estesa. Dove l’ aria emiliana si fa sentire ancor di più è sul piano delle scelte politiche: l’ emergente,richiesto di indicare l’ area politico-culturale in cui si riconosce, si tinge apertamente e senza riserve di rosso. Una percentuale di poco inferiore al 60 percento si colloca in un’ area socialcomunista, contro un 18 per cento abbondante che si dichiara di ispirazione laica e un 9,6 per cento che non nasconde i suoi riferimenti democristiani. Gli yuppies leggono più quotidiani e periodici i quanto facciano i “ceti storici” e sono allo stesso tempo grandi consumatori di telegiornale stampa specializzata. Infatti oltre il 73 per cento consulta abitualmente un quotidiano e una percentuale di poco più bassa è un affezionato spettatore dei programmi televisivi di informazione. Tra i quotidiani le preferenze vanno allaRepubblica, al Resto del Carlino e, meraviglia, ai quotidiani di partito. Tra i periodici fanno la parte del leone i rotocalchi di storie e di notizie (Gente,Panorama, ecc.) ma un significativo exploit riguarda le pubblicazioni di aggiornamento professionale e le riviste specializzate. In complesso, un profilo culturale molto alto che rafforza l’ ipotesi dei professionisti del terziario comegruppo trainante, per certi versi opinion leader. Dalla Chiesa conclude così: «Quando si ragiona sull’ importanza dei ceti emergenti è riduttivo fare i conti solo sulla loro rilevanza quantitativa. Non si deve dimenticare che costruiscono modelli,forgiano valori». Insomma sono loro la punta avanzata del cambiamento.

Primomaggio e Formaldeide

Dareste nomi così a un figlio e a una figlia? C’ è un’ intera regione dove lo fanno in molti.

Articolo pubblicato il 26 novembre 1984

di Luigi Vacchi

Lei, Insalatina, lui Iseppe Nalin. Di cognome fanno Fogli e sono sorella e fratello. Iseppe Nalin avrebbe dovuto essere Giuseppe Stalin, ma allo stato civile non avevano accettato quel nome doppio. O Giuseppe soltanto, o niente. E così il padre era dovuto ricorrere a quell’ estemporaneo camuffamento dei nomi. Lui Rovero e loro Libera e Racnoide. Racnoide? Sì, perché i genitori un giorno avevano sentito pronunciare quel nome di una membrana del cervello (veramente è aracnoide) e gli era piaciuto tanto. E poi Oleoblitz. Quando era nato, suo padre non aveva voluto imporgli il nome di un santo e aveva giurato che l’ avrebbe chiamato come la prima insegna che avesse incontrato per strada quel giorno. Oleoblitz, appunto. Nomi strani, balordi,strampalati di Romagna raccolti e raccontati da Tino Dalla Valle, giornalista e dirigente industriale di Ravenna nel volume La Romagna dei nomi (Il Girasole). Nomi di Romagna, ma con qualche incursione nei dintorni. A Modena, per esempio, dove tre sorelle (dette le tre biondine) si chiamano Una, Noce, Moscata. Oppure a Reggio Emilia dove nell’ onomastica locale la triade Fermo, Vado e Torno non ha riscontri.«Per raccogliere tutti i nomi del libro» dice Dalla Valle “ho impiegato 30 anni diricerche e confronti, ho consultato archivi parrocchiali e dello Stato civile, hobattuto le campagne dove le memorie si conservano ancora intatte. Un lavoro soltantocurioso e divertente? Non credo. Sono convinto che anche attraverso l’ onomasticapassi la storia di una terra, di una piccola patria quale penso che sia la Romagnacon tutta la sua fantasia, le sue passioni”. Certo, questa piccola patria non è lasola Italia a ospitare nomi “folli”, ma è sicuramente unica per quantità, estro,inventiva e anche aggressività. E così per estro e inventiva a Riccione da un padreAvio nascono i fratelli Lene, Redi, e Nica. A Cotignola le sorelle Agarista eFerrera. In un paese vicino, Ornevole e Jella. A Civitella di Romagna, Durtles, cheavrebbe dovuto essere Edurtleg, vale a dire il nome Geltrude letto allo specchio, main comune non l’ avevano accettato, così che i genitori erano ripiegati su quellosgangherato Durtles. Nascono i nomi della grande stagione anarchica, rivoluzionaria eanticlericale romagnola. Tipo le tre sorelle Folla, Unita, Vittoria (“Una quarta”dice Dalla Valle “che doveva chiamarsi Certa, non è mai nata e buon per lei”). E nonè mai nato neppure Scoppiò, che nelle intenzioni dei genitori avrebbe dovuto farecompagnia alle sorelle Micca e Mina. Ma ben nati erano Risveglio, Ribelle, Vindice,Demos, Lavoro, Primomaggio, Collettiva, Scioperina, Pravda, Rude Pravo (il quotidianodel partito comunista cecoslovacco), fino al nome che è l’ affermazione totale eradicale di una fede: Ante, cioè contro. Contro lo Stato, contro le istituzioni, lasocietà, contro tutto insomma. Antavleva, invece, non ha niente a che fare con Ante.In romagnolo significa “non ti volevo” e lo porta una ragazzina di Sant’ Alberto cheil brutale genitore non si aspettava. Dall’ altra parte dello schieramento romagnolo,quello dei cattolici professanti “che qui” dice Dalla Valle “vivevano come in unazona di frontiera”, come “in partibus infidelium”, ecco controbattere con unacascatella di Consòla, Fidalma, Esus (Jesus), Palmorino (dalla domenica delle palme),Adorando, Circoncisio, Trasfigurazio, Concezio, Purif (da purificazione), Litania,Chirie Eleison, che tuttavia non riescono a scalfire l’ incività vagamente blasfemadi Arcidio, Antidio, Negadio, Diavolinda, Satana (col suo imperfetto anagrammaNantas), Otteo (corruzione di Ateo), ecc. Sempre in chiave antireligiosa ma conmotivazioni “filosofiche” e “scientifiche” perché attinte al fiorire del pensieropositivista, sbocciano Algebra, Quadrato, Linneo (dal grande naturalista svedese)fratello di un’ Oliesa, Radio e Ulna (due fratelli da due ossa del braccio). Il primopremio lo vince però un tripudiante Formaldeide imposto a una mite bambina ormaidivenuta signora che gli amici pietosamente chiamano Aldeide. Ma che cosa resta oggidi questa scintillante onomastica con cui le famiglie romagnole intendevanoprofessare convinzioni politiche o religiose e gridare col nome dei figli fin chequesti vivevano rabbia e protesta. “Resta” risponde Dalla Valle “ogni tanto unnecrologio sui muri della città con qualcuno di quei nomi che tutto sommato fannosobbalzare. Quella che Tullio De Mauro, ordinario di filosofia dei dialetti a Roma,ha chiamato l’ italianizzazione selvaggia ha portato a un penoso livellamento anchedei nomi”. Ma Dalla Valle non dispera. Ha trovato una perla rara e recentissima, unEdnarder nato non molti anni fa presso Savignano. “Per mio figlio” ha detto il padre”volevo un nome che nessuno avesse”. E c’ è riuscito.

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