“Il carcere mi ha salvato la vita”. Fabrizio Corona nonostante sia in prigione da più di un anno (dal 25 gennaio 2013) continua a far sentire la sua voce. A corollario della pubblicazione delle sue memorie dal titolo “Mea culpa” l’ex re dei paparazzi rilascia una lunga intervista, per iscritto, al Corriere della Sera nella quale si confessa a cuore aperto raccontando come l’esperienza della prigione lo stia cambiando. “Mi ha fatto tornare con i piedi per terra – spiega Corona a proposito del carcere – È riuscito a fermare un treno in corsa perenne da anni che ultimamente aveva perso sogni, equilibri e alzato troppo l’asticella del limite. Mi ha fatto scoprire il senso della realtà, insegnato a star bene con me stesso e messo nelle condizioni di proseguire nel migliore dei modi lungo la strada della vita quando tornerò libero”.
Quattordici anni e due mesi è la somma degli anni di galera da scontare per una serie di reati per i quali è stato condannato. Con una serie di riduzioni si è arrivati a circa sei anni che, però, sono un periodo lunghissimo per chi, come lui, è stato abituato a vivere un’esistenza al massimo senza rinunciare mai a nulla. Adesso, però, le cose sono cambiate. La prima classe è solo un ricordo lontano e le privazioni del carcere lo stanno aiutando a fare un bilancio della sua vita.
“Sono sempre lo stesso, il dna non lo puoi cambiare – precisa Fabrizio al CorSera – Però sono migliorato, in tante cose. Sono più vero, più lucido e più uomo.”
Di certo non si può dire che si sia lasciato andare, anzi. Da dietro le sbarre non è stato fermo un attimo e sta concretizzando dei progetti, tra i quali il libro, dei quali va molto fiero.
“Faccio moltissimo – dichiara al Corriere – Quando ero a Busto Arsizio ho inventato un portale innovativo per i detenuti, ho raccolto circa 70 mila euro per loro, ho scritto un libro, ho lavorato come portavitto e sono riuscito dal carcere a mandare avanti la mia azienda senza farla fallire e mi sono mantenuto in forma allenandomi per almeno un’ora al giorno. Ho sempre tenuto vivo il cervello e ho ripulito l’anima”.
E in quel non luogo e non tempo che è la prigione quello che più gli manca non è tanto e solo la libertà, ma qualcosa di molto più importante. “Mi manca tantissimo mio figlio – dice – e mi mancano da morire le emozioni quotidiane che la vita ti dà. Qui, in parte, è come essere morti”.
La prima cosa che farà al primo permesso? “Vado a scuola a prendere mio figlio. È un anno che mi immagino questa scena, e so che solo quando lo vedrò uscire mi renderò conto di quante cose ho buttato nella mia vita, quante cose ho veramente perso”