A Hollywood piace l’action movie al femminile. Cinque dei film più attesi hanno per protagoniste donne forti e grintose. Come Liu Yifei guerriera nel nuovo Mulan, che a Panorama dice: «Mi sono trasformata in uomo. E mi è pure piaciuto».
Fusto, ganzo, manzo, macho, bisteccone, sciupafemmine, eccetera, eccetera. Prima ancora dell’avvento dei supereroi, i protagonisti dei film d’azione venivano identificati con termini coloriti e virili, in linea con il loro compito abituale: salvare il mondo, roba da uomini veri. Chi si sarebbe mai aspettato che un giorno il femminismo avrebbe assediato e insidiato perfino la loro roccaforte felicemente maschilista? È quello che succede nell’anno Domini 2020: i quattro più costosi cinecomics hanno tutti protagoniste donne. E non basta: oltre alle attrici, sono donne anche le registe. Evento due volte clamoroso, visto che una statistica impietosa ha certificato che nel 2019 fra i 100 film di maggior successo, soltanto 12 erano stati dirette da donne.
Abbiamo già visto Birds of prey – e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn (protagonista e produttrice Margot Robbie, regista l’ex giornalista cinese Cathy Yan); prossimamente toccherà a Wonder woman 1984 (in cui la donna-meraviglia è interpretata ancora da Gal Gadot, ex miss Israele, guidata ancora da Patty Jenkins) che ha surclassato il record di incasso femminile per il primo Wonder woman, 821 milioni di dollari, e ora anche quello del salario per il sequel: 9 milioni di dollari. Ancora, ci sarà Black Widow con Scarlett Johansson (regia dell’australiana Cate Shortland che dopo aver dovuto dividere il set in ben otto film, avrà finalmente la sua avventura personale); vedremo anche Gli Eterni, un nuovo supergruppo che dovrebbe raccogliere l’eredità degli Avengers, con Angelina Jolie, Salma Hayek, Gemma Chan, dirette dalla cinese Chloé Zhao, laureata in science politiche. Non è sufficiente? C’è anche Charlie’s Angels, attualizzazione di una serie tv di culto degli anni Settanta (protagoniste l’americana Kristen Stewart, e le inglesi Naomi Scott e Ella Balinska; regista l’attrice Elizabeth Banks). Dulcis in fundo, Mulan, versione live di un film animato del 1998, quando ancora si chiamavano cartoni. Sarebbe dovuto uscire in Italia il 26 marzo, ma con i cinema sigillati fino al 3 aprile causa coronavirus, è stato posticipato.
È il film più femminile di tutti (donne anche i due più importanti collaboratori della regista neozelandese Niki Caro, la prima assistente, e il direttore della fotografia) e in fondo il più attuale, anche se la prima versione della storia è stata scritta nel VII secolo. Infatti non solo parla della Cina, ma per una incredibile coincidenza, la protagonista (Liu Yifei, modella, attrice, cantante) è nata proprio a Wuhan, l’epicentro dell’epidemia che sta mettendo in ginocchio il mondo… A tal proposito dice a Panorama: «È straziante anche solo il pensiero. Ma sono orgogliosa dei miei concittadini che si sono chiusi in casa per non infettare gli altri».
Anche se ha ancora l’aspetto di una adolescente, la nuova Mulan compie 33 anni il 25 agosto (è nata lo stesso giorno, mese e anno di Blake Lively). Parla un ottimo inglese perché ha studiato quattro anni a New York, dopo il divorzio dei genitori. Suo padre è un professore, sua madre una danzatrice, per cui lei sa alternare ai passi doppi i calci rotanti delle arti marziali.
La ricerca della protagonista del film è durata un anno e lei è stata scelta fra mille aspiranti. Che provino ha dovuto affrontare?
Dall’aeroporto di Los Angeles mi hanno portato direttamente allo Studio, anche se non avevo chiuso occhio nel volo da Pechino. Ho bevuto molto caffè per svegliarmi e fatto meditazione per essere focalizzata. Ero in una stanza piccolina, ma dovevo far finta che fossi appena scesa da cavallo in mezzo alla natura. C’era anche una scena in cui dovevo sembrare sporca: l’unica soluzione è stata quella di impiastricciarmi con l’ombretto.
Perché pensa che la leggenda di Mulan sia significativa ancora oggi?
È una storia drammatica ed epica, una ragazza che si traveste da uomo pur di poter combattere per il suo Paese. In Cina è molto conosciuta, ma è una storia universale, perché parladi emozioni umane. Mulan è la rappresentazione dell’onore e del coraggio, ma per me è anche il desiderio di scoprire se stessi e realizzare i propri sogni.
È costato quasi 300 milioni di dollari, e ha l’etichetta di film più costoso mai diretto da una donna. Ne era spaventata?
No, onorata. Ho sempre pensato che gli attori, di qualunque Paese siano, dovrebbero puntare alle migliori opportunità, per essere visti dal maggior numero di persone. Il fatto che Disney mi abbia concesso fiducia ha in realtà allentato la pressione.
Pensa di assomigliare a Mulan?
Un’attrice deve essere una guerriera. Avanzare anche se non sa cosa l’aspetta. Io voglio sempre superare i miei limiti, vivere nel presente e imparare da ogni giorno.
Successo a parte, che cosa si augura per il suo film?
Che diventi un esempio positivo per le ragazze di tutto il mondo, anzi per tutte le donne. Spero che le spinga a credere ai propri istinti, e a diventare quello che sognano, cioè se stesse.
La sua Mulan è un mix di forza e vulnerabilità…
Sì, in lei convivono le emozioni, non una cosa o l’altra. E un’attrice deve mostrarle entrambe.
Com’è riuscita a rendere «maschile» la sua voce, come richiesto dal personaggio che interpreta?
Abbassando la mia! E quando me lo dimenticavo interveniva la regista che mi diceva: «Yifei, più bassa…».
Più emozionante lavorare con Jet Li o con Gong Li?
Oddio, Gong Li è una vera regina del cinema. Ma quando ci parli non ti rendi conto che è una superstar, perché è calda, umana. Jet Li, invece, è un complice: l’avevo già incontrato 13 anni fa in uno dei miei primi film, Il regno proibito, dove c’era anche Jacky Chan. Mi aveva molto aiutato, non sapevo andare a cavallo e mi aveva insegnato le basi. Stavolta però ho dovuto allenarmi per tre mesi.
La sua attrice preferita?
Sono due, entrambe eleganti e con sguardi sognanti: Audrey Hepburn e Vivien Leigh.
