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La ricrescita felice

La ricrescita felice

Chi è completamente calvo da tanti anni dovrà ancora aspettare. Ma, oggi, far rinascere i capelli persi non è più un’impresa impossibile. Si ricorre a cellule staminali, prelievi di plasma centrifugato, fattori di crescita biomimetici. E dà una mano persino il test del microbiota.


La scienza ha riportato vittorie esaltanti sulle malattie più terribili, è praticamente in grado di resuscitare i morti, sta affrontando con il coltello tra i denti una micidiale pandemia, ma non è mai riuscita a convincere un singolo capello, stanco di questa vita, a «riprovarci». Sulle lucide distese di miliardi di calvi, nulla è mai ricresciuto. Ancora oggi, riconosciamo con sottile perfidia le facce di personaggi noti che ricordavamo «pelati» e ritroviamo con uno scalpo più simile a una marmotta in testa che a veri capelli. Antichi trapianti dai risultati improbabili.

Ma per chi la capigliatura la sta perdendo da poco, e non è ancora pronto per il look alla Bruce Willis, la scienza, sempre lei, offre un repertorio notevole di scoperte, terapie, trattamenti. Al centro degli ultimi esperimenti ci sono le staminali, quelle cellule-meraviglia capaci di dare origine a ogni tessuto del corpo. Al dipartimento di dermatologia dell’Università della Pennsylvania, lo scorso giugno i ricercatori hanno preso staminali pluripotenti e le hanno fatte diventare follicoli dei capelli.

Sedici anni fa si scoprì per la prima volta come farlo, e i giornali dell’epoca commentarono che «finalmente si è trovata una cura per la calvizie, almeno per i topi». Oggi lo stesso risultato (il fatto che siano passati così tanti anni fa capire quanto non sia facile) è stato replicato in cellule umane: dopo 70 giorni, i follicoli ottenuti da staminali pluripotenti hanno generato capelli. Certo, in miniatura. Per riempire un intero scalpo ce ne vorranno di più robusti. Ma gli scienziati parlano di «major step» e la ricerca, pubblicata su Nature, lascia ottimamente sperare per il futuro.

L’anno scorso, poi, ecco trovata la mutazione genetica all’origine della calvizie ereditaria, quell’alopecia che si tramanda come una tradizione di famiglia. A quanto pare è colpa della proteina Map2, considerata una sorta di architetto dei capelli ma che, se mutata, progetta follicoli troppo sottili per dare vita a una vera chioma. A cosa serve saperlo? Al momento a poco ma, come ha affermato Xiangdong Ding (l’autore della scoperta) «con ulteriori studi si potrebbe arrivare a una terapia per le malattie ereditarie dei capelli grazie al “taglia e incolla” del Dna».

Se per ora i supercalvi devono aspettare e avere fiducia, per chi scruta preoccupato allo specchio stempiature e diradamenti, molto accade. Fabio Rinaldi, specialista in dermatologia e direttore scientifico del laboratorio di ricerca HMAP (Human Microbiome Advanced Project) di Milano, ai capelli ha dedicato tutta la sua vita professionale. Lui, che sfoggia con disinvoltura una testa liscia come una biglia («ma quando li ho persi io, in giro c’erano solo terapie assurde, tipo il tuorlo d’uovo»), spiega che il capello è uno degli organi più complessi del corpo.

È, dice, come un aereo che va a tre motori: i fibroblasti, la papilla dermica e i cheratinociti della matrice; e se uno dei tre motori si ferma, l’aereo non decolla. Non solo. Riprodurre il bulbo è un’impresa: «Si possono mettere insieme tante cellule ma è come se mancasse il soffio divino che le rivitalizza». Ovviamente dio c’entra poco, a dare vita al bulbo sono fattori di crescita, proteine, enzimi, recettori. Una regia centrale, insomma. Per questo, al di là dei trapianti (che oggi riescono assai meglio di un tempo, peraltro) sconfiggere la calvizie è più arduo che far ripartire un cuore che ha smesso di battere.

Ma far ricrescere una chioma svogliata, se la dipartita è recente, è possibile soprattutto da quando si sono individuate le vie metaboliche ed enzimatiche che guidano il percorso di un capello. Fattori di crescita che si prendono dal plasma, come in una moderna ricetta alchemica dove però di magico non c’è nulla, e di scientifico tutto. «Ai miei pazienti dico che potranno tenere quello che hanno in testa per un certo numero di anni, rallentare il processo di caduta e stimolare nuovi capelli» spiega Rinaldi.

La formula prevede l’utilizzo di Prp, ossia «plasma ricco di piastrine» ottenuto con un prelievo di sangue dallo stesso paziente. «Lo centrigufo, trattengo il plasma che contiene tantissime piastrine, le rompo in modo che liberino i fattori di crescita specifici della pelle e in grado di stimolare i bulbi piliferi». Oggi, poi, il plasma può anche essere ottenuto in laboratorio, in grado di liberare fattori di crescita biomimetici, identici a quelli naturali. «Nel mio laboratorio uso il plasma ricavato dal sangue e lo abbino a prodotti sintetici» specifica l’esperto.

I risultati ci sono, e si constatano a occhio nudo. «Li ho pubblicati nel 2013 sul British Medical Journal, dimostrando che i capelli si riformano. Certo, non è che ci riempio tutta la testa, ma è una delle tecniche che più sollecita la ricrescita». Se volete cimentarvi con un rimedio più «casalingo» che sfrutta lo stesso principio, esiste un gel che si compra in farmacia, si tiene su tutta la notte, una volta la settimana per cinque settimane: trasporta attraverso la cute sostanze che «incoraggiano» la crescita del capello, un po’ come avviene in laboratorio, seppure in tempi più lunghi.

La mossa successiva sono le famose staminali: non ancora in grado di trasformare una testa d’uovo in una foresta amazzonica, come si diceva all’inizio, ma, in alopecie recenti, capaci di stimolare il bulbo pilifero. In questo caso si prende un po’ di tessuto adiposo ricco di staminali (sempre dallo stesso paziente, una sorta di mini-liposuzione) lo si centrifuga e si ottiene una certa quantità di siero ricco di staminali, che poi si inietta nella testa. Suona impressionante? Non più di tanti altri trattamenti estetici.

In alternativa, si utilizza la pelle superficiale che contiene cheratoniciti e fibroblasti. È come fare una sbucciatura: si prende la parte superiore dell’epidermide, le cui cellule staminali vengono iniettate nel cuoio capelluto. «In questo momento noi stiamo sperimentando una nuova tecnica senza prelievo di pelle: strappo una decina di capelli sani, ottengo le cellule staminali di cui ho bisogno e le inietto. A breve pubblicheremo lo studio». Il metodo dà buoni risultati, non sui calvi totali però. «Ho provato su di me, mi sono ricresciuti 600 capelli, ma nel mio caso non aveva molto senso».

Anche il microbiota, uno dei più recenti filoni di ricerca, c’entra assai con la salute dei capelli. «Il ruolo dei batteri che vivono nel nostro intestino è fondamentale» conclude Rinaldi. «Un microbiota della cute in disbiosi, cioè non più in equilibrio, può provocare patologie autoimmuni come l’alopecia androgenetica». Rimedi possibili? Test del microbiota, e poi integratori con prebiotici o post-biotici specifici e mirati.

In tutto questo fermento di bulbi piliferi, cellule staminali, plasma centrifugato, resta un’amara considerazione: con tutti i peli che possediamo qua e là, perdiamo gli unici cui teniamo davvero. Quelli sulle gambe, per esempio, vanno estirpati con puntigliosa ostinazione e mai si esimono dal riapparire.

Ci sarà magari un buon motivo legato all’evoluzione, forse la nostalgia del Pleistocene quando i nostri progenitori sfoggiavano una folta e protettiva pelliccia. Ma otto milioni di anni dopo, siamo sinceri, in che modo i peli sotto le ascelle potranno mai aggiungere valore alle nostre esistenze?

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