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Nanni Moretti nel suo film "Tre piani" (Foto: 01 Distribution)
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Tre piani, che delusione il film di Nanni Moretti

Deludente e tutt'altro che coinvolgente, è un dramma cupo dai personaggi monolitici e volutamente orfano della tipica ironia del regista romano. Ma la mancanza di leggerezza non è compensata dalla profondità di sguardo

Finalmente vedi il film Titane, delirio di olio di motori, assassinii e trasmutazioni corporee di Julia Ducournau, e ti chiedi come possa aver vinto il recente Festival di Cannes. Poi vedi Tre pianidi Nanni Moretti, anch'esso in concorso in Costa Azzurra e uscitone a mani vuote, e già qualche spiegazione te la dai. Ok, ben venga Titane Palma d'oro (al cinema dal 29 settembre).

Ovviamente stiamo parlando per iperbole: per la Croisette sono passati altri film oltre ai due citati (come il valido Drive my car del giapponese Hamaguchi Ryusuke, in sala dal 23 settembre), ma a gorgogliare ora, stupita e dolente, è la delusione successiva alla visione di Tre piani. Ma davvero è un film di Nanni Moretti? E la sua capacità di cogliere sfumature e stratificazioni dei personaggi? E la sua abilità di scrittura che non concede il fianco a soluzioni telefonate? E il suo rifuggire il sentimentalismo? Ecco, Tre piani non sembra un film di Nanni Moretti.

Tratto dall'omonimo libro dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, Tre piani (dal 23 settembre al cinema) inquadra tre famiglie che vivono nello stesso palazzo romano. Tutte e tre così cupe, immobili e nel loro determinismo senza luce, così incapaci di cambiare. Personaggi rigidi e monolitici, in traiettorie già segnate dalla prima scena, in situazioni esagerate. Ed ecco, la prima scena: già lì c'è la carambola morettiana. È un'ouverture senz'altro forte, come il tonfo dell'auto contro il muro. E già tutte e tre le famiglie si ritrovano drammaticamente intrecciate. Un'apertura che ricorda quelle d'impatto di film come L'amore fatale (lì c'era l'incidente della mongolfiera), ma già staglia emozioni e sentimenti con colpi di scure, invece che con la capacità dello scalpello di tracciare linee e segni mutevoli e sensibili alle nervature.

Nanni Moretti, Margherita Buy, Adriano Giannini e Alba Rohrwacher nel film "Tre piani" (Foto: 01 Distribution)

Alba Rohrwacher è una donna alle prese con la prima maternità. Quella notte è lì per strada a cercare un passaggio per l'ospedale. Il suo compagno (Adriano Giannini) è spesso lontano per lavoro. Poi ci sono Riccardo Scamarcio ed Elena Lietti, due genitori abbastanza presenti, che quando gli impegni lo richiedono si affidano ai vicini anziani (Anna Bonaiuto e Paolo Graziosi) perché si prendano cura della loro figlioletta. Ma dopo che la bimba e il vecchio scompaiono per alcune ore, la fiducia bonaria del padre verso il vicino si tramuta in ossessione malfidente e violenta.
E poi non manca Nanni Moretti, affidabile come attore, che accanto a Margherita Buy, ormai sua fedelissima (ha recitato per lui anche ne Il caimano, Habemus papam e Mia madre), è un genitore disilluso: sono entrambi giudici, attenti alle regole, e loro figlio (Alessandro Sperduti) sembra essere l'opposto di come è stato cresciuto, ventenne ostile e tutt'altro che empatico.

Ed è proprio l'empatia che manca, per ogni personaggio. Non si è mai profondamente coinvolti dalle loro vicissitudini. Si aspetta con pazienza e un po' di noia che le trame si sciolgano, dopo i «Cinque anni dopo» e i «Cinque anni dopo» ancora, mentre la sceneggiatura cede a volte al didascalico e, soprattutto sul finale, sbanda nel melodrammatico.
Sul fronte recitazione, i personaggi più giovani, figli o nipoti delle famiglie protagoniste, sembrano usciti da fiction.

Moretti entra dietro la facciata della borghesia romana ma non trova quel tocco da alchimista che rende tutto così fluido e credibile. Il sospetto, il senso di colpa, la solitudine: sono tematiche evidenti, messe lì davanti alla camera, ma non pulsano.
È la prima volta che Nanni Moretti non si affida a una sua storia e traduce un romanzo altrui, forse per questo la sensazione è che manchi qualcosa di prettamente suo. L'ironia che ha reso memorabili suoi film come Ecce bombo e Caro diario è del tutto assente: è una scelta stilistica ovviamente lecita, ma la mancanza di leggerezza non è compensata dalla profondità di sguardo che sappiamo riconoscere al maestro romano.

Dopo il Festival di Cannes, probabilmente deluso, Nanni su Instagram aveva scritto: «Invecchiare di colpo. Succede. Soprattutto se un tuo film partecipa a un festival. E non vince. E invece vince un altro film, in cui la protagonista rimane incinta di una Cadillac. Invecchi di colpo. Sicuro».
Nanni, ti aspettiamo al prossimo film. Perché l'arguzia a volte prende granchi, ma non invecchia.

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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