«The Batman», Pattinson dolente in un film monumentale. La recensione
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«The Batman», Pattinson dolente in un film monumentale. La recensione

Finalmente arriva al cinema il nuovo film sull’Uomo pipistrello. Un’impresa complessa e titanica, che coglie il lato più sofferente del suo protagonista, così vicino a noi e terreno. Senza action fracassona. E con un messaggio per l’oggi: la vendetta non cambierà il passato, serve qualcosa di più

Chi l’avrebbe mai immaginato? L’Uomo pipistrello di Robert Pattinson non fa per niente rimpiangere quello di Christian Bale della trilogia de Il cavaliere oscuro. The Batman di Matt Reeves arriva al cinema, il 3 marzo, dopo attese e rinvii, e si staglia come un film monumentale (e non solo per le quasi 3 ore di durata), stratificato, buio e doloroso, dall’anima nera e gonfia di sofferenza e rabbia. Poca action, ma tanta densità che si apre a letture profonde. Che sa anche commuovere.

E lui, Robert Pattinson, su cui non puntavamo una fiche, si toglie di dosso lo «stigma» dell’esordio da vampiro belloccio per adolescenti di Twilight. Ora è Batman. Ed è un Batman che ci indica la strada: la vendetta lasci il campo alla cooperazione.

Con Pattinson un Batman stentoreo, altro che Diabolik

A Gotham City non esiste il giorno. The Batman rievoca le atmosfere dark di notti con qualche neon e perennemente bagnate di pioggia di Blade Runner. «Vent'anni di oscurità mi hanno trasformato in un animale notturno», dice come voce fuori campo lo sgusciante vigilante della città, Batman, alter ego dello schivo miliardario Bruce Wayne. La voce di Pattinson incede lenta e cupa, per tutto il film: sembra portare addosso un penoso fardello. Una voce che contribuisce a costruire il personaggio solitario e cavernoso, straziato dalla morte del padre e della madre, per mano di criminali, quando era bimbetto. Da allora la sua missione è solo la vendetta, nascondendosi nel buio e nel caos per sbucare all’improvviso e scagliarsi contro delinquenti, scippatori, violenti.

«Credono che mi nasconda nell’ombra ma io sono l’ombra». E tutto su di lui richiama l’ombra, interiore. Occhi senza luce, anche tolta la maschera da Batman segnati da cerone nero, come un novello Brandon Lee ne Il corvo. Corpo chiuso su se stesso. Mascella volitiva ferma. Quando è costretto a tornare Bruce Wayne, al pallore che gli conosciamo, Pattinson aggiunge dei capelli scuri che sembrano dimenticati addosso, di chi non ha la vita e la cura di sé come priorità. Così si costruisce un signor personaggio (messaggio in bottiglia per chi ha mancato l’occasione con il nostro fiacco Diabolik).

Reeves, già autore di Cloverfield e dei due sequel de Il pianeta delle scimmie, riporta Batman alle sue radici da detective, eliminando l'aspetto fantasy da supereroe DC Comics. Questo Batman si è messo la divisa da Uomo pipistrello da poco più di un anno, ancora non è accettato dalla polizia di Gotham e dai cittadini, non è completamente formato come eroe. Il suo superpotere? Sopportare qualsiasi cosa pur di svolgere il suo dovere, ma con un fine non propriamente altruistico: il fine principe è quello di dar sfogo alla sua rabbia e vendicare i genitori.

La scelta è affascinante: questo Batman è così terreno e vicino a noi, così pieno di umanità dolente.

John Turturro edizione deluxe. Colin Farrell: indovinate qual è

Con la sua cicatrice nel cuore, Batman ha pochi alleati fidati, il fedele maggiordomo che è anche molto di più Alfred Pennyworth (Andy Serkis) e il tenente James Gordon (Jeffrey Wright), che lo coinvolge in un caso che tocca molto da vicino sia Batman che Bruce Wayne: un killer ha preso di mira l'élite di Gotham City, li smaschera nelle loro nefandezze e li inchioda con una serie di crudeli stratagemmi. È l’Enigmista (Paul Dano). Nel vortice di enigmi da risolvere, il cappio sembra stringersi sempre di più attorno a Bruce, e a Batman.

Accanto ai politici e ai sommi poliziotti, corrotti, entrano in gioco personaggi da bassifondi, dal Pinguino, malvivente rozzo di mezza età interpretato da un irriconoscibile Colin Farrell (ci sono volute quattro ore di trucco e protesi facciali per renderlo così), passando per un John Turturro edizione deluxe, sgargiante e infimo capo del crimine Carmine Falcone (criminalità organizzata? Cognome italiano, puoi scommetterci). E poi c’è lei, la scaltra Catwoman, un po’ complice, un po’ gatta solitaria, un’ottima Zoë Kravitz anche lei zampillante di umanità e drammi famigliari.


Le debolezze umane e i danni della vendetta

The Batman è un film che smuove più testa e cuore che non i sensi. Sono lontani i combattimenti fracassoni da Avengers (campo Marvel), c’è solo un inseguimento da grandi effetti visivi, tra Batman e il Pinguino, ma è proprio uno di quei rari momenti, in tre ore di film (175’ per la precisione), in cui la mente si distrae e si mette a pensare alla lista della spesa.

The Batman cattura la mente con gli intrighi che ogni volta propone l’Enigmista, anche noi dentro la tela di ragno alla ricerca dell’uscita. E poi buca il cuore con lo sguardo che Batman/Bruce punta sul figlio del sindaco (Rupert Penry-Jones) appena ucciso, orfano come lui.

The Batman si dipana titanico come un arazzo, trame di fili, con una narrazione cesellata. Il dramma interiore di Bruce si stratifica: oltre alla perdita dei genitori, deve imparare ad accettare che suo padre non era l’integerrimo che credeva. Deve accettare le debolezze, e perdonarle.

L’animo umano è fatto di luci e di fragilità, che a volte bisogna accogliere: altro macro tema che si affianca a quelli del lutto, delle colpe dei padri, della famiglia, dell’importanza dei legami da famiglia allargata.

E poi, eccola là, l’illuminazione finale che è l’insegnamento più grande: «La vendetta non cambierà il passato, devo diventare qualcosa di più». La vendetta innesca una valanga di vendetta e ancora vendetta, che può annientare tutto. E invece serve speranza. Serve un aiuto a ricostruire, non solo a sgominare. Serve una mano tesa, di solidarietà e cooperazione. «La città è arrabbiata come me». Ma la rabbia è soffiar sul fuoco. Ora serve un messaggio di pace, in tempi terribili di guerra.

Sceneggiatura e colonna sonora evocative

La sceneggiatura sa essere ora sfaccettata ora essenziale, epica e poetica, scritta da Reeves insieme a Peter Craig. Solida ed evocativa. C’è solo un neo: la registrazione catturata al telefono, che inchioda Falcone, non è un errore un po’ grossolano per un gangster siffatto?

Per la colonna sonora Reeves si è riunito con il compositore Michael Giacchino, al quinto film insieme. L’Ave Maria di Schubert è il tema principale del film, drammatica e solenne. E poi con Something in the way dei Nirvana ci immergiamo completamente nei turbamenti di Bruce…

Dopo i lunghi titoli di coda c’è un finale nascosto? Sì e no. C’è una burla finale.

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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