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Sono tornato: al cinema quel Mussolini è un “divo” – Recensione

La spassosa commedia di Luca Miniero immagina un duce ridestato ai giorni nostri, destinato a diventare star della tv e a riconquistare (forse) l’Italia

Benito Mussolini, clamorosa rentrée. A Roma, naturalmente, ma in una Piazza Vittorio piena di cinesi e africani, poi in giro per l’Italia a collezionare successi e qualche insulto, infine alla televisione, ingollato e macinato dalla giostra mediatica che lo trasforma in una star. Sono tornato (in sala dal 25 gennaio) di Luca Miniero racconta tutto questo. Con un eccellente Massimo Popolizio nelle vesti di protagonista, senza facili e zotici sarcasmi, certo con ironia e giusta distanza, vocazione surreale e bell’inserimento in una contesto di commedia ariosa, insolita, ricreativa come poche.

Non è, va detto, un’idea originale, perché il film ricalca nei modi di remake il tedesco Er ist wieder da di Davis Wnendt, uscito anche da noi un paio d’anni fa col titolo Lui è tornato e a sua volta tratto da un romanzo (omonimo) scritto da Timur Vermes nel 2012. Con la differenza che, là, il protagonista era Adolf Hitler. Niente paura, però. Luca Miniero, anche nei remake, è maestro come ha dimostrato facendo le fortune di Benvenuti al Sud: capace, insomma, di elaborare con gusto personalissimo un canovaccio già tracciato e trasferirgli impulsi di nuova vitalità. In questo caso molto, molto comica.

Una Porta Magica al centro della Roma multietnica

Il duce, infatti, precipita dall’aldilà con un colpo ovattato, in verità attraversando quella Porta Magica (chiamata pure Alchemica) che nella piazza romana esiste per davvero e si porta dietro un cumulo di misteri e di leggende fin da quando fu edificata dopo la metà del 1600. Una di queste, per esempio, vuole che segni il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti e probabilmente viceversa. Il che farebbe al caso nostro considerato il tipo di revival e le sue dinamiche di svolgimento.

L’improvvisa fortuna del regista sfigato

Fatto sta che Mussolini ritorna. Ai giorni nostri. Sulle prime assai spaesato, stordito e perplesso. Specie quando gli tocca insistere sulla propria identità davanti a gente incredula che, naturalmente, lo prende per matto e qualcuno lo scambia addirittura per Bisio.

La stessa sensazione deve averla pure lo sfigatissimo regista di documentari Andrea Canaletti (Frank Matano), autore di proposte indecenti alle televisione dove collabora e dove, proprio adesso, hanno deciso di metterlo definitivamente alla porta. Però il ragazzo è sveglio, e pur immaginandolo uno svitato, al massimo un attore comico in cerca di notorietà, finge di dar credito a quello strano personaggio mascherato da duce proponendogli di fare un giro per l’Italia e vedere che succede: ovvio, sempre davanti all’obiettivo della sua telecamera per riprendere le reazioni della gente.

Un campione di “share” conteso dalle televisioni

Il tour rotola allora per città e paesi con le sue immagini di persone spesso tripudianti che, postate sui social, guadagnano milioni di contatti spingendo, alla fine, quella tv che aveva cacciato Canaletti a richiamarlo in fretta e furia, fiutando un bizzarro scoop con l’intuito della sua direttrice di produzione Katia Bellini (Stefania Rocca), più che mai cinica e rampante.

E i fatti successivi le danno ragione: Mussolini diventa una vera e propria star del teleschermo, campione di share , invitato in studio di qua e di là (si affacciano, a intervistarlo, pure Enrico Mentana e Alessandro Cattelan interpreti di se stessi) e sempre sul filo dell’incertezza sulla sua reale identità. Che, magari, potrebbe essere proprio lo svagato Canaletti a scoprire, aprendo la vicenda ad altri interrogativi e ulteriori, stravaganti sviluppi.

Ci si diverte parecchio, nel film, coi dialoghi, i fatti che vi accadono e il modo con il quale vengono proposti: il Mussolini di Popolizio, guidato Miniero, viaggia con spassosa leggerezza sulla storia, assistito da un Matano sempre più convincente da attore coi suoi personaggi dolcemente ingenuamente vaporosi.

Il vocabolario vintage del duce spadroneggia in umorismo, specie davanti alle scoperte di sconosciuti attrezzi tecnologici o alla sfrenata esterofilìa lessicale in voga nel linguaggio di adesso: sicché l’automobile diventa veicolo, l’email va abolita e sostituita con cablogramma e via così; per non tacere, durante il passaggio milanese, di una certa sensazione di malessere al transito in Piazzale Loreto.

Non solo risate: la storia fa anche riflettere

Gli spunti sono tanti. Non solo, ovviamente, nel felice svolgersi della commedia e sui modi scelti dalla regia per rappresentarla (valida la soluzione di “intervistare”, come dal vero e addirittura con immagini da cellulare, la gente nel reportage della tournée mussoliniana): ci sono riflessioni anche serie su un sistema mediatico goloso e irresponsabile capace di oltrepassare qualsiasi confine di moralità, buon gusto e logica pur di raggiungere i propri obiettivi d’ascolto; su un Mussolini che, ai tempi d’oggi, più che il balcone di piazza Venezia frequenterebbe gli studi della televisione; su un’Italia smemorata, ambigua e incasinata che, al netto dell’ipotesi fantastica agitata dal racconto, parrebbe molto meno convinta di ieri nel rifiutare le negatività d’un regime, accogliendone anzi a colpi di selfie e saluti romani il suo più noto esponente.

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Vision Distribution, ufficio stampa The Rumors, Ufficio stampa Vision Distribution
Benito Mussolini (Massimo Popolizio) preda di selfie a passeggio per le strade di Roma

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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