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Riapriamo i Beni culturali, non per i soldi che portano ma per quello che trasmettono

Troppi amministratori e politici applicano l'equazione cultura=turismo=soldi. Ma i beni culturali sono molto di più sono qualcosa di profondo. Radice di un popolo e di una nazione

Riaprire i beni culturali alla vita delle persone è uno degli imperativi di questa coda di fine pandemia. Pur nella indecisione su coprifuoco e altre normative, in tutta la Penisola ferve una voglia di riaprire chiostri, rocche, musei, scavi, ville antiche, Chiese, monumenti alla visita delle persone, a eventi artistici e culturali. É come se la antica Italia (quella della cultura e dell'arte che è ben più antica della gracile amministrazione statale che prova a governarci) fosse percorsa da brividi e desiderio. Un brivido di giovinezza che la attraversa ogni volta che può mostrare i suoi gioielli. Il suo bene, appunto.

L'Italia che abbiamo visto, o meglio non visto, in questo anno è mezzo non è lei. È un posto modesto, abitato da gente che parla in tv, di gente mascherata per strada, di ospedali, ambulatori, burocrazie. Invece l'Italia è un bene culturale e, se vi è questo, c'ê anche quello sociale. Tanto è vero, come ricorda il Prof. Stefano Lombardi, autore di un fresco volume di studi di studi sul "Diritto dei beni culturali", che la nostra Costituzione pone il diritto alla fruizione di tali beni come oggetto di un articolo primario e immodificabile (art.9). Insomma, sul valore dei beni culturali, i Padri Costituenti avevano le idee chiare.

Ed esperti di caratura internazionale come Lombardi tornano a insistere sulla propulsione anche economica che dal valore di tali beni può venire al Paese. Il tema è sensibile e molto studiato e discusso, ma vorrei lanciare due questioni che mi sembrano attuali.

La prima: parlare della propulsione economica che viene dai Beni Culturali non significa la immediata e spesso banale equazione Cultura=Turismo. Saggiamente questo governo ha dato segnale di intendere i due campi distinti con due Ministeri. Vedo in giro troppi Assessori alla Cultura giustificare con presunti incrementi del turismo mostre, festival, eventi... Se è innegabile che Firenze, Venezia, Roma e varie altre città italiane attraggono turisti per la loro bellezza culturale, non è automatico che ciò avvenga, in un panorama gremito di proposte, per ogni borgo o provincia. Anzi. E il calcolo spesso agitato da Presidenti di Fondazioni bancarie, Comuni e altri soggetti che investono denaro pubblico o collettivo per loro iniziative secondo cui per ogni euro investito in cultura ne tornano tre in turismo è tutto da verificare, e, almeno sentendo l'Istat, nessuno lo ha mai verificato davvero. Del resto, ha osservato qualcuno, siamo sicuri che occorra investire in cultura per far guadagnare ristoratori albergatori e bar? Non dovrebbe semmai essere il contrario? Che un florido commercio possa aiutare la cultura?

Ma al di là di elementi quantitativi e remunerativi, c'è nella equazione cultura=turismo qualcosa di distorto nel concetto. La cultura come attrazione di persone è importante, ma non è l'unico modo con cui essa contribuisce al bene di un Paese. Altrettanto importante, se non di più, è il contributo che tali beni possono dare al formarsi di un senso storico e critico della popolazione, e su questo credo ci sia molto da fare, specie dei più giovani.

Apparentemente un'azione volta a questo scopo può pagare meno, creare meno indotto immediato. Ma è più utile e prospettica. Allo stesso modo, nuove tecnologie "editoriali" e comunicative suggeriscono un nuovo lavoro possibile di condivisione del valore. Molti esperimenti sono in corso. Ridurre il bene culturale a fonte di attrazione può essere non solo miope, in un posto gremito di bellezza come il nostro, ma anche agire come perversione.

Quanti Assessori si lamentano del fatto che i turisti non si fermano abbastanza nelle loro città, come se non sapessero che a pochi chilometri ci sono beni altrettanto belli e attrattivi, mentre i loro stessi cittadini non vivono, non conoscono, non amano i loro luoghi. Ed eccoci alla seconda questione. Un elemento che va considerato è che la cultura è scomoda, non è sempre allettante. In questa epoca di idiota politically correct, visitare le residenze di terribili e sanguinarie famiglie italiane, al tempo stesso promotrici di arte ineffabile, visitare i dipinti o sculture "non gender" di geni figurativi, conoscere le cristiane origini di tanta topografia culturale italiana può essere provocatorio, e giustamente. Se si annacquano o peggio nascondono queste cose per paura del mainstream - come avviene in tante università, fino a casi grotteschi- si dice che si fa cultura mentre si fa esattamente il contrario.

Ridurre i beni culturali a scenografia per evitare discussioni è un'operazione banale e sterile. Infine, come si è visto nel caso del Salvator Mundi o dell'Ecce Homo di Caravaggio, occorre una capacità di tutela dei Beni, rispetto alle pretese del mercato, che spesso le leggi non consentono in modo adeguato. I modi dunque con cui il grande patrimonio dei Beni Culturali promuove società ed economia, secondo la idea di Lombardi, sono in buona parte da inventare.

L'uso delle risorse del Recovery e gli ingenti investimenti nella digitalizzazione possono essere un passo verso una direzione giusta. Ma per fare in modo che la cultura sia viva e produca più vita occorre innanzitutto uno sforzo culturale, la generazione di pensieri e atti che non s'accontentino del presunto assodato, del ripetuto, del previsto. Occorre non avere paura, e non cercare innanzitutto il consenso, ma la verità. In Giugno ad esempio, in tre città significative come Bologna, Ferrara, Forlì, prenderanno vita tre festival che lungi dall'usare la città come puro scenario (quanti festival in giro che potrebbero essere fatti ovunque (a Mantova come a Modena o in un'altra bella città) non danno luce al luogo se non come scenografia. A Bologna "Amor gentile" (dal 9 giugno) Nella città dove nacque Guido Guinizelli, "padre" di Dante e dello Stil Novo quattro giorni di poesia e musica d'amore. Lì nacque lo stile che ha influenzato tutto il parlar d'amore Occidentale, e innalzato la nobiltà nell'amare quel che non si possiede (quanto attuale!). A Forlì in nome di Caterina Sforza, bellissima tigre, un festival sulla libertà, essendo la città di Mussolini e di Giovanni Senzani ideologo delle BR (tema attuale, pure questo), il 3, 4, 5 Giugno. E a Ferrara Fe.Fant Festival sulla Fantasia 10, 11 giugno. E dove se non nella città di Ariosto De Pisis e Antonioni ? E non abbiamo bisogno di tanta fantasia vera oggi? Sono solo esempi di cosa significa lavorare sui Beni Culturali. Per non fare solo retorica, facile, non arricchente in nessun senso.

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Davide Rondoni