Soji Arai: «Pachinko racconta la storia di un popolo ferito che non deve essere dimenticata»
Televisione

Soji Arai: «Pachinko racconta la storia di un popolo ferito che non deve essere dimenticata»

L'ultimo episodio della prima stagione di Pachinko è stato rilasciato qualche giorno fa su Apple TV+. La fine di un'era, potremmo dire. Ma l'inizio di una nuova per gli amanti dei drama. Perché la casa di Cupertino ha annunciato che Pachinko arriverà presto con una seconda stagione, che è già in lavorazione. E c'è di più. Le aspettative che questa mastodontica serie tv riscriva ancora una volta la storia della televisione con nomination nelle principali categorie degli Emmy è ormai alle stelle.
In attesa di qualche notizia, vogliamo concentrarci con voi su un personaggio in particolare dello show: Mozasu. Chi è Mozasu? Sei anni più giovane di Noa, Mozasu è l'unico figlio biologico sopravvissuto di Sunja e Isak. Il suo nome deriva da Mosè, e come la sua famiglia, è uno Zainichi. Nella fiction tv, Mozasu è interpretato da Soji Arai. Nato a Niigata, Giappone, è un vero figlio di terza generazione di una famiglia Zainichi. Ora vive negli Stati Uniti ed è un attore molto conosciuto. È apparso in Cobra Kai di Netflix, e in 2009 era Toshi, l'interesse amoroso di Brittany Murphy nel film The Ramen Girl.

Quando l'abbiamo contattato per un'intervista, mi ha rivelato che ha trascorso alcuni anni in Italia e - spoiler - è bravissimo a parlare italiano.

Mozasu è quello che qualcuno potrebbe considerare "solo un personaggio secondario", ma in realtà è molto di più. Nel libro di Min Jin Lee, Mozasu Baek aveva solo 16 anni quando iniziò a lavorare in una sala Pachinko. Una scelta particolare, ma fatta per allontanarsi dalla strada. Ben presto divenne un nome nell'industria del pachinko, prima a Osaka, poi, verso i 20 anni, divenne in qualche modo il proprietario di un salone a Yokohama. Nel drama vediamo solo un piccolo lato della vita di Mozasu, incentrato sul suo forte rapporto con la madre Sunja e il figlio Solomon che Mozasu ha cresciuto come padre single sognando che diventasse un uomo di mondo, lontano dal Giappone.

Abbiamo avuto la possibilità di collegarci con un'intervista a cuore aperto, in esclusiva per il pubblico italiano e per Panorama, con Soji Arai, che in Pachinko interpreta un ruolo così complesso.

«Se dovessi descrivere Pachinko in una parola», ci ha detto rispondendo alla domanda che è diventata la nostra firma sulle interviste di Pachinko, «direi "me". Pachinko racconta la storia della mia vita, della mia famiglia e le storie di migliaia e migliaia di Zainichi».

Se non avete familiarità con la storia coreano-giapponese, il termine Zainichi deriva dalla parola giapponese che significa "stare in Giappone" e descrive i milioni di Coreani che si trasferirono in Giappone durante l'occupazione nipponica del loro Paese, alla ricerca di una nuova possibilità di vita. Con la sconfitta del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale, la maggior parte dei Coreani etnici lasciò il Giappone per tornare in Corea, ma oltre 600.000 di loro rimasero in Giappone e costituirono la popolazione Zainichi. Soji Arai conosce bene questo lato della storia e lo stigma nascosto in una semplice parola come Zainichi. «Anche adesso, ci sono molte celebrità in Giappone che sono Zainichi», ha rivelato, «ma vanno dicendo che sono giapponesi. E capisco perfettamente il perché. La generazione dei miei genitori è stata fortemente discriminata e ha dovuto trovare un modo per sopravvivere. Come succede in Pachinko a Sunja e alla sua famiglia. Alcuni sono diventati cantanti, altri hanno aperto saloni, e altri ancora, come Hansu, hanno preso la strada della yakuza». Anche se per qualcuno che essere chiamato Zainichi potrebbe essere un motivo di imbarazzo, Soji rimane a testa alta: «Sono molto orgoglioso di quello che sono e delle mie origini». Chiedendogli se Pachinko sarà d'aiuto per guarire questa profonda ferita, ha sorriso durante il nostro incontro allo Zoom. «No», ha detto, «perché a volte gli Zainichi sono discriminato anche dai Coreani per aver scelto di continuare a vivere in Giappone. Ma credo che Pachinko aiuterà molto la parte Coreana a conoscere meglio la nostra storia fuori dalla patria». La critica ha definito Pachinko un'opera d'arte, ma per il cast è molto di più. «È un modo per far conoscere alla gente un'altra parte della storia che è in qualche modo dimenticata e che la maggior parte delle persone non studia a scuola», ha spiegato Soji Arai «ci saranno sempre persone e politici che approfitteranno di questo lato della storia mal letto, ma ora, anche grazie a Pachinko, più persone sapranno cosa è successo e abbracceranno il vero lato della storia». Essere uno Zaninchi e interpretare uno Zanichi in un programma televisivo può risultare spiazzante. Parlando della scena più delicata da girare, Soji Arai ci ha detto, senza esitare un secondo, che è stata «quando Mozasu e Sunja sono tornati a Busan, e stavano cercando la tomba del padre di Sunja. In quel momento, potevo sentire la rabbia crescere in Mozasu, quella scena è così intensa e urla davvero "Noi siamo Zainichi. Questo è ciò che significa essere Zainichi"».

Essere così simile al suo personaggio è stata una vera sfida per Soji Arai. Nonostante sia nel settore da più di vent'anni, «Mozasu è stato un vero e proprio game-changer per me». «Ho iniziato a recitare subito dopo il college, ma Mozasu era troppo vicino a me, al vero me stesso e mentre lo interpretavo non riuscivo a trovare lo spazio per recitare davvero», ammette «a un certo punto, mi sono detto: "Cosa posso fare? Questo sono io. Questo è mio padre". Ho continuato a pensarci per un po' e poi un giorno mi è venuto in mente improvvisamente. Ho buttato via tutto e sono diventato Mozasu».

Nella nostra chiacchierata con Soji Arai abbiamo voluto sottolineare un dettaglio: il significato dei nomi di famiglia Baek. Isak, Noa, Mozasu. Sono tutti nomi biblici. «Non succede mai in Giappone di dare a un neonato un nome biblico», ci ha spiegato Soji. «Penso che i nomi di Noa e Mozasu siano ciò che dà forma ai nostri personaggi. Mentre Noa è intelligente ma potrebbe sembrare troppo intelligente e in qualche modo delicato, penso che Sunja e Isak volessero che il loro secondo figlio fosse forte. Un leader, capace di condurre la sua famiglia in un luogo più sicuro, come fece Mosè».
Lavorare con un cast stellare come quello di Pachinko non è stata una novità per qualcuno come Soji Arai, abituato a vivere davanti alla macchina da presa. Ma lavorare con Lee Minho e Yoon Yuh Jung era probabilmente scritto nelle stelle. «La prima volta che ho incontrato Minho è stato dieci anni fa o più», ha ricordato. «Ero in Giappone a lavorare come giornalista, e c'era questo K-drama chiamato City Hunter, e c'era una incontro con il cast e mi ricordo la presenza di tantissime donne che lo aspettavano. Gliel'ho raccontato. Ne abbiamo riso. Minho è sempre stato molto gentile; dopotutto, avevamo lo stesso obiettivo recitando in Pachinko. Facevamo parte di un progetto molto coraggioso». La vera sorpresa è arrivata dopo aver girato la prima scena con il premio Oscar Yoon Yuh Jung. «Quando l'ho sentita parlare per la prima volta in giapponese ho improvvisamente visto mia nonna. Era come averla lì, di nuovo. Sentirla mi ha fatto quasi piangere, e penso che sarà qualcosa che toccherà davvero il cuore degli Zainichi». «Era davvero interessata alla mia parte e alla mia visione della storia» ha rivelato, «mi ha fatto un sacco di domande su tutto. Chiedere è davvero importante per gli attori, molti non lo fanno per orgoglio, ma con Yoon Yuh Jung è stato diverso. Abbiamo finito per bere ogni sera dopo le riprese e abbiamo parlato di tutto».
Soji Arai è profondamente legato all'Italia. «Sono stato a Roma quando avevo 20 anni; ho vissuto lì per un po' e ho studiato italiano. Mio padre parlava sempre dell'Italia, così ho scelto di vivere lì per un po'. Ancora adesso, ascolto e canto canzoni italiane, le mie preferite sono Mina e Lucio Battisti, e amo la canzone "E Penso a te"».
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Marianna Baroli

Giornalista, autore

(Milano, 1986) La prima volta che ha detto «farò la giornalista» aveva solo 7 anni. Cresciuta tra i libri di Giurisprudenza, ha collaborato con il quotidiano Libero. Iperconnessa e ipersocial, è estremamente appassionata delle sfaccettature della cultura asiatica, di Giappone, dell'universo K-pop e di Hallyu wave. Dal 2020 è Honorary Reporter per il Ministero della Cultura Coreana. Si rilassa programmando viaggi, scoprendo hotel e ristoranti in giro per il mondo. Appena può salta da un parco Disney all'altro. Ha scritto un libro «La Corea dalla A alla Z», edito da Edizioni Nuova Cultura, e in collaborazione con il KOCIS (Ministero della Cultura Coreana) e l'Istituto Culturale Coreano in Italia.

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