Maria Chiara Castelli: «Così è nata la scenografia di Sanremo 2023»
Ufficio Stampa Rai
Televisione

Maria Chiara Castelli: «Così è nata la scenografia di Sanremo 2023»

Intervista alla scenografa del Festival, che svela a Panorama tutti i segreti del progetto che ha cambiato faccia all'Ariston, tra specchi segreti, effetto vetrata e tanta tecnologia. «Ci criticano, ma l'impatto televisivo è da grande show internazionale»

Una grande cupola ellittica, sospesa su ventiquattro motori, e un impianto scenico che si allunga fino alla platea. Sono queste le novità della scenografia di Sanremo 2023, realizzata da Gaetano e Maria Chiara Castelli, lui al ventunesimo Festival, lei al nono, che hanno puntato su un “ritorno al passato” per stravolgere la faccia dell’Ariston. Da teatro di provincia a grande palco internazionale. Al posto dei ledwall – che infestano ormai ogni studio televisivo –, quest’anno domina una vera e propria architettura scenografica ispirata alla cupola del Pantheon. Ma ad alto tasso di tecnologia. «Per anni abbiamo esasperato la motorizzazione, questa volta giochiamo con gli specchi segreti che grazie alle luci, consentiranno un effetto vetrata di grande impatto televisivo», racconta a Panorama.it la Castelli, che svela tutti i segreti del progetto.

C’è un “cupolone” all’Ariston. Com’è nata l’idea?

Amadeus ci ha fatto vedere dei video in cui c’erano delle reference, delle citazioni diciamo, che ricordavano una cupola. Siamo partiti da quello, ben sapendo che si trattava di una sfida molto.

Perché?

Perché la pianta del palco dell’Ariston è rettangolare e stretta, dunque abbiamo dovuto trovare un modo per non distorcerla e dare profondità: così l’abbiamo inclinata sull’asse ed elevata. Poggia su ventiquattro motori e le assicuro che non è stato semplice realizzarla e sollevarla: ci sono stati giorni di intense riunioni con i tecnici e gli ingegneri.

Le richieste di Amadeus?

Che ci fossero delle linee di continuità con le altre sue edizioni: dunque tornano la scala, l’orchestra posizionata in basso, il sipario. In un progetto avevamo eliminato il pianerottolo che scende verso la platea ma lui ci ha chiesto di inserirlo perché è una suggestione che è piaciuta molto.

Dopo quante versioni siete arrivati a quella definitiva?

Almeno sette, otto versioni. Ma non portiamo mai una cosa che piace solo a noi, piuttosto un progetto che sia funzionale al regista Stefano Vicario e al direttore delle luci Mario Catapano. Grazie ai nuovi programmi di progettazione possiamo già posizionare telecamere e luci, presentando così uno storyboard di ciò che si vedrà in tv. Un tempo al massimo si faceva un modellino.

Cosa nasconde la cupola?

Un rivestimento di cosiddetti “specchi segreti”: i buchi sono foderati da strutture tridimensionali che attraverso l’utilizzo delle luci permettono di realizzare un “effetto vetrata” molto speciale, che cambia ad ogni esibizione e viene colorata dalle luci di Catapano.

La vera rivoluzione è l’assenza dei ledwall, che “infestano” gli studi tv.

Soprattutto negli show musicali, perché attraverso la grafica consente la personalizzazione di ogni esibizione: per uno scenografo è molto più semplice utilizzare il led – e mio padre fu il primo ad utilizzarli a Sanremo, molti anni fa - ma è molto più stimolante tornare ad una scenografia costruita, inventarsi qualcosa di diverso. Per questo trovo assurde certe critiche.

Si riferisce alle critiche sui social?

Gli apprezzamenti sono la maggioranza, ma qualcuno ha scritto: “Le scene sono simili agli anni passati”. Il tratto è volutamente simile perché Amadeus ha chiesto degli elementi di continuità e perché appartiene al nostro stile. Avere un tratto riconoscibile per noi non è un demerito, anzi: ognuno porta qualcosa di sé, noi portiamo un approccio, dei segni riconoscibili come l’utilizzo delle curve e di forme organiche che sono più accoglienti e avvolgenti. Ma non è vero che sono identiche: un anno ci ispirammo a un’astronave – con un impianto scenico da 27 tonnellate, una follia -, un altro anno al teatro di Brodway, tanto per fare un esempio. Quella di quest’anno è diversa ancora. L'impatto televisivo è da grande show internazionale.

L’altra novità è che la scenografia si allunga verso la platea.

È un modo per prolungare il palco nel teatro ottenendo l’effetto di allargare lo spazio – visto che l’Ariston è un piccolo - senza ridurre i posti in platea. Anzi, recuperiamo alcune file. E questo ci consente di evitare la solita frattura tra palco e sala.

Oltre a Sanremo, di cosa si è occupata di recente?

Sempre con papà e con Manuel Bellucci abbiamo lavorato alla scenografia di Francesco, Il cantico, lo show evento di Roberto Benigni su Paramount+ e Canzone magica, un festival musicale albanese molto importante. L’altro impegno fisso è il Moulin Rouge, di cui papà è il direttore artistico. Dalla chiusura per il Covid hanno iniziato una serie di lavori di ristrutturazione, delle grosse modifiche per poter ampliare lo spettacolo: sono lavori che durano anni, molto complessi. Ma le sfide sono la parte bella del nostro lavoro, ci costringono ad un continuo aggiornamento, ci consentono un scambio con i colleghi oltre che con gli studenti dell’Accademia di belle arti dove insegno.

Il suo grande sogno professionale?

Se dovessi sognare in grande, direi l’Halftime Show del Super Bowl. Significa montare e smontare in una manciata di minuti la scena, un timing perfetto come in un balletto. È la sfida delle sfide.

Poche settimane fa è mancato Gino Landi, grande coreografo e regista che ha spesso lavorato con suo papà. Lei lo ha conosciuto?

Sì, perché già da piccola bazzicavo negli studi tv. Ho visto lavorare Baudo, la Carrà, Proietti, pezzi di storia della tv, che oltre a farla l’hanno rivoluzionata. Sono artisti difficili da sostituire, lasciano un vuoto. Così come ha lasciato un vuoto Franco A. Ferrari, grandissimo direttore della fotografia del Festival, cui abbiamo dedicato la scena quest’anno: ha collaborato con i più grandi, da Celentano in già, ha cambiato il modo di lavorare. Purtroppo, si sta chiudendo un’epoca.

Di recente è scomparsa anche sua Mamma. Che diceva della sua scelta di seguire le orme paterne?

All’inizio non era contenta, pensava fosse un ambiente troppo maschilista e tossico per una donna. E in fondo aveva ragione, anche se le cose sono molto cambiate in questi ultimi anni. Quando ha visto la mia determinazione, mi ha sostenuto, è stata una spalla orgogliosa. In questi anni in cui era a casa malata, ha avuto modo di vedere e apprezzare il lavoro che ho fatto e i risultati, in particolare Sanremo. Papà si è sposato tre volte, ma sono rimasti legati: fu lei a intuire per prima il talento di mio padre, che conobbe quando era un pittore e stava dipingendo un ananas per una pubblicità. Lo spinse a fare il concorso in Rai, negli anni ’60, e a credere in lui. Papà è rimasto al suo fianco, con me e mio fratello, fino all’ultimo minuto.

Lei cos’ha ereditato da suo padre?

La passione per il lavoro, la capacità di reiventarsi sempre per non restare fermi, l’incapacità di scendere a compromessi e di fare pr. Le occasioni arrivano comunque, basta farsi trovare pronti e saperle cogliere.

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Francesco Canino