Kwak Dong-yeon: «Ognuno di noi deve lottare a modo proprio contro l'ingiustizia e il male»
Televisione

Kwak Dong-yeon: «Ognuno di noi deve lottare a modo proprio contro l'ingiustizia e il male»

A soli 25 anni e con 2.9 milioni di followers su Instagram, Kwak Dong-yeon è uno degli attori più promettenti del panorama Hallyu. A svoltare la sua carriera, come ha più volte dichiarato, il ruolo di Jang Han-seo nel K-drama Vincenzo (disponibile in Italia su Netflix). La realtà, è che la vita di Kwak Dong-yeon era cambiata molto tempo prima. Forse già da quel cameo in It's Okay to Not be Okay in cui interpreta magistralmente il ruolo di Kwon Ki-do, il figlio di un politico locale, affetto da disturbi psichiatrici. Un ruolo interpretato magistralmente, al punto da portarlo in vetta alle liste degli attori più influenti della Corea del Sud.

Abbiamo parlato con Kwak Dong-yeon in esclusiva.

«Non mi sarei mai immaginato di ricevere una richiesta di intervista dall'Italia. Innanzitutto desidero ringraziarvi per avermi dato l'occasione di salutare tutti coloro che hanno seguito "Vincenzo"». Ci anticipa. Il sorriso sul volto.

Siamo noi a ringraziarti per il tempo che ci stai dedicando. Partirei da una domanda sul tuo personaggio in "Vincenzo". Quando prepari un ruolo sappiamo che studi a fondo il suo background. Chi è Ha-seo dal tuo punto di vista?

«Jang Han-seo è un personaggio con tante ferite che ha vissuto senza ricevere il dovuto amore dalle persone che gli stanno attorno. Perfino il padre e il fratello che lo dovrebbero tutelare in qualità di familiari, negano la sua esistenza. Cresciuto in un contesto del genere, Han-seo ha vissuto obbedendo al fratello e gestendo l'azienda secondo il suo volere, ma, al contempo, mostrando volutamente comportamenti violenti ed prepotenti non necessari poiché riteneva che la posizione di presidente della Babel fosse un'armatura protettiva».

Da presunto villain a eroe, il tuo personaggio è quello che ha avuto una storyline di crescita personale estremamente accattivante. Credi che il finale scritto per Han-seo sia meritato?

«Penso che sia un finale accettabile da parte di Jang Han-seo. È stata una fine dolorosa e difficile, ma accettabile poiché Han-seo si è reso conto dei propri errori e ha ricevuto il riconoscimento da qualcuno per cui è morto nell'intento di proteggerlo».

In Italia, la mafia è una piaga sociale estremamente grave. All'estero, il mafioso, viene a tratti romanticizzato al punto da divenire quasi affascinante. Questo non accade in "Vincenzo" dove si ripete più volte che Vincenzo Cassano è solo un cattivo che elimina i più cattivi di lui. Cosa ti ha spinto a scegliere un copione così complesso?

«Penso che il motivo per cui "Vincenzo" sia stato apprezzato non solo in Corea, ma in tutto il mondo sia probabilmente la rabbia delle persone nei confronti dei crimini assurdi che accadono realmente intorno a noi o che vengono presentati dai media, e dei poteri consolidati che sfuggono alla giustizia. Delle volte tutti noi desideriamo che una forza assoluta come Vincenzo punisca i malvagi che eludono la legge e la giustizia. Pur offrendo una catarsi soddisfacente grazie alla punizione inflitta ai cattivi come voluto dal pubblico, ciò che ha voluto sottolineare questa serie televisiva è che Vincenzo ricorda sempre allo spettatore di essere lui stesso un cattivo e non pensa di essere un eroe o un paladino della giustizia. Io ho deciso di prendere parte a "Vincenzo" perché mi è sembrato attraente il messaggio che la serie vuole trasmettere agli spettatori, cioè che ognuno di noi deve lottare a modo proprio contro l'ingiustizia e il male».

In una recente intervista hai parlato di un Kwak Dong-yeon prima di "Vincenzo" e dopo "Vincenzo". Questo drama ha rappresentato la chiave di volta della tua carriera. Puoi spiegarci meglio questo sentimento?

«Il frutto più grande che ho ricavato lavorando per la serie 'Vincenzo' è aver conosciuto e fatto amicizia con il regista come Kim Hee-won. Lavorando con il regista Kim Hee-won, ho capito il mio valore come attore e, rivedendo i miei pregi e difetti, ho trovato le forze per andare avanti verso una direzione migliore. Inoltre, attraverso l'amore e l'interesse degli spettatori nei miei confronti, ho avuto la conferma che la mia recitazione sia orientata nella stessa direzione di quella voluta dal pubblico e ciò mi ha reso più forte di prima».

In "It's Okay to Not be Okay" avevi un ruolo a mio avviso incredibile. Essere folli e geniali allo stesso tempo è difficilissimo. Come hai preparato il personaggio di un ragazzo affetto da disturbi psichiatrici?

«La preparazione per recitare in "It's Okay to Not be Okay" non è stata troppo difficile perché i sentimenti del personaggio Ki-do erano descritti accuratamente nella sceneggiatura. La cosa più importante che ho dovuto fare era sentire le emozioni del personaggio nel modo più profondo ed accurato, e avvicinarmi a questo personaggio con sincerità per non renderlo comico».

Hai lasciato casa a 13 anni per inseguire il sogno di entrare nel mondo dello spettacolo. Rimpiangi qualcosa di quegli anni?

«Ora che è passato parecchio tempo, delle volte penso "come sarei stato se fossi rimasto con la mia famiglia e i miei amici in quel periodo?". Ma non ho rimpianti sulla strada che ho deciso di seguire. Fin dalla giovane età, i miei genitori mi hanno insegnato ad assumermi le responsabilità delle mie scelte e penso di averci guadagnato dalle scelte che ho fatto».

Oltre a essere un attore sei parte anche di un gruppo musicale. Pensi che gli anni di training ti abbiano aiutato a crescere come attore?

«Il periodo di training è stato faticoso, ma durante questo periodo ho realizzato cosa fosse "la forza dell'impegno". Mi sono convinto che con il massimo dell'impegno si può realizzare ciò che si vuole. Inoltre, oggi vivo la mia quotidianità in maniera più divertente ascoltando musica di vario genere grazie a quel periodo in cui sono stato a contatto con diversi generi musicali».

Nel tuo portfolio ci sono personaggi con caratteristiche sempre differenti e unici nel loro genere. Quale credi sia stato il tuo ruolo più difficile?

«Ricordo quando avevo interpretato il ruolo di Oh Se-ho nella serie televisiva "My Strange Hero". C'erano alcune scene riguardanti il periodo liceale, ma ho recitato principalmente la fase in cui il mio personaggio diviene adulto e ricopre la carica di presidente della fondazione di un liceo. Quindi ho fatto del mio meglio per non apparire troppo giovane e cercare di non uscire dalla linea emozionale del personaggio Oh Se-ho che vive anche una situazione familiare complessa».

Chi è il tuo modello nel mondo dello spettacolo? Con chi ti piacerebbe lavorare?

«Ci sono tanti attori con più esperienza che ammiro di cui vorrei seguire l'esempio. Rifletto spesso su ciò che ho provato recentemente durante riprese con gli attori Song Joong-ki e Kim Soo-hyun. Lavorando con loro nelle rispettive serie televisive, ho imparato molto sulla recitazione e sull'atteggiamento da assumere sul set. Se ci fosse la possibilità, mi piacerebbe poter lavorare anche con l'attore Cho Seung-woo».

C'è un ruolo che ti sarebbe piaciuto interpretare?

«Io preferisco sempre ruoli mai interpretati prima che mi permettano di tirare fuori nuovi lati di me stesso. È sempre un piacere interpretare un ruolo nuovo e divertente che induce gli spettatori a vedermi come un personaggio ben integrato nella storia, piuttosto che riconoscermi e far pensare "Lui è Kwak Dong-yeon!", perché a me piace ingannare e sorprendere gli spettatori».

Sei giovanissimo ma hai recitato a fianco di alcuni dei più grandi nomi della Hallyu wave e oggi anche tu sei uno degli esponenti di spicco di questo fenomeno culturale. Secondo te perché i k-drama hanno così tanto successo?

«Penso che i coreani abbiano una strana capacità di riuscire nel proprio intento quando ci si immergono. Naturalmente, non sono tutti così, ma l'unione di questa particolare passione dei coreani di dover raggiungere l'obiettivo a tutti i costi dà vita ad una buona sceneggiatura, una buona recitazione e a delle belle scene».

Durante la pandemia, molte persone in Italia hanno scoperto i k-drama e ora sono a conoscenza della Hallyu e delle sue celebrità. Sei mai stato in Italia?

«Non sono mai stato in Italia, quindi ho davvero tante curiosità. Quando il COVID19 si sarà calmato, spero di poter essere invitato in Italia e poter parlare e passare del buon tempo con voi».

Puoi svelarci qualcosa dei tuoi progetti futuri?

«Al momento sto partecipando ad un programma televisivo di intrattenimento intitolato "Delicious Rendezvous" e sto girando anche un film comico intitolato "6/45". Il film "6/45" è una commedia in cui soldati sudcoreani e nordcoreani finiscono per incontrarsi a causa di un biglietto della lotteria vincente della somma di 5,7 miliardi di won (4,2 milioni di euro). È un film che uscirà nei cinema coreani l'anno prossimo per regalarvi delle grandi risate, in un periodo difficile come quello attuale a causa del COVID19. Non appena concluse le riprese del film "6/45", mi preparerò già per le riprese del prossimo progetto. Spero che possa essere un progetto a cui possano assistere anche gli spettatori italiani».

Se c'è qualcosa per cui sei noto agli addetti ai lavori è la serietà e il rispetto che hai per il lavoro e per chi è al tuo fianco, cast tecnici e addetti ai lavori. Quanto conta l'educazione oggi per sfondare nel mondo dello spettacolo?

«La cultura può cambiare da paese a paese, ma penso che l'essere rispettoso e gentile nei confronti delle persone con cui si lavora insieme sia educazione fondamentale ovunque. Inoltre, io solitamente cerco di avvicinarmi per primo e comunicare il più possibile con i colleghi perché vorrei che io e miei colleghi ci divertissimo lavorando insieme. Penso che questi tipi di pensieri e atteggiamenti unendosi diano vita ad opere migliori».

Hai 25 anni, la strada davanti a te è lunga e siamo certi ricca di sorprese. Ma chi è Kwak Dong-yeon oggi?

«Sono sempre felice quando lavoro, ma soprattuto in questo momento sto vivendo giorni più felici che mai per il grandissimo amore ricevuto grazie alla serie appena conclusa ("Vincenzo"). Penso che sia un miracolo il poter essere apprezzato da spettatori di altri paesi cosi' lontani e poter parlare dei miei lavori. Sono sempre grato che mi sia capitata una tale fortuna. Ritengo di essere una persona molto felice che, attraverso una mentalità positiva e la buona recitazione, può ambire al proprio sogno di esercitare una buona influenza sulle persone».





Si ringrazia l'Istituto Culturale Coreano per la traduzione.

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Marianna Baroli

Giornalista, autore

(Milano, 1986) La prima volta che ha detto «farò la giornalista» aveva solo 7 anni. Cresciuta tra i libri di Giurisprudenza, ha collaborato con il quotidiano Libero. Iperconnessa e ipersocial, è estremamente appassionata delle sfaccettature della cultura asiatica, di Giappone, dell'universo K-pop e di Hallyu wave. Dal 2020 è Honorary Reporter per il Ministero della Cultura Coreana. Si rilassa programmando viaggi, scoprendo hotel e ristoranti in giro per il mondo. Appena può salta da un parco Disney all'altro. Ha scritto un libro «La Corea dalla A alla Z», edito da Edizioni Nuova Cultura, e in collaborazione con il KOCIS (Ministero della Cultura Coreana) e l'Istituto Culturale Coreano in Italia.

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