Roger Glover racconta Whoosh!, il nuovo album dei Deep Purple
Ben Wolf - Earmusic
Musica

Roger Glover racconta Whoosh!, il nuovo album dei Deep Purple

Abbiamo intervistato il bassista della leggendaria band alla viglia dell'uscita del ventunesimo e forse ultimo lavoro dei Deep Purple che uscirà in tutto il mondo il 7 agosto

Il segreto della magia del rock è custodito come un prezioso scrigno tra i solchi di Made in Japan, un doppio disco live del 1972 che restituisce pienamente l'atmosfera incendiaria dei concerti dei Deep Purple. Solo i Led Zeppelin sono riusciti a superare i Deep Purple nella classifica di migliore band hard-rock di tutti i tempi, ma è innegabile che i due gruppi sono i massimi punti di riferimento per chi voglia accostarsi a un genere che, partendo dal rigore del blues, ha trasformato il rock in una miscela esplosiva. E poco importa se la line up dei Deep Purple non è più da anni la leggendaria formazione chiamata «Mark II», il quintetto perfetto con il cantante Ian Gillan, il chitarrista Ritchie Blackmore, il tastierista John Lord, il bassista Roger Glover e il batterista Ian Paice. Don Airey è subentrato nel ruolo che fu del compianto John Lord, mentre l'americano Steve Morse è da ventisei anni il sostituto del leggendario Ritchie Blackmore, fra i più celebri e influenti chitarristi della storia del rock. Chi da sempre è un punto fermo è il bassista Roger Glover, con il quale abbiamo parlato del nuovo album Woosh, il ventunesimo della loro fortunata carriera, in uscita il 7 agosto e anticipato dagli eccellenti singoli Throw My Bones, Man Alive e Nothing At All.

Nel comunicato stampa del nuovo album Whoosh c'è scritto che "i Deep Purple stanno riportando il Profondo (n.d.r in inglese Deep) nel Viola (Purple)" è stato il vostro motto in studio mentre registravate le prime canzoni. Che cosa intendevate esprimere con quelle parole?

"É una frase che arrivata dopo il primo incontro con Bob Ezrin a Toronto prima di lavorare insieme per Now What?!, nove anni fa. La sera prima Bob è venuto a vederci suonare, mentre la mattina dopo c'è stato tra noi un meeting molto interessante, in cui ci ha detto cose molto carine e che voleva fortemente produrre l'album. Quella frase è venuta allora, ci ha chiesto che cosa volevamo da un album prodotto da lui e noi gli abbiamo detto quella frase, intendendo che vogliamo fare musica seria, più dura, non solo per avere successo e avere hit, ma per esprimere noi stessi e quello che siamo a questo punto del nostro lungo percorso. Bob ci ha spronati a rischiare, ma senza mai snaturare il nostro suono"

Come mai avete scelto una parola onomatopeica e breve come "Whoosh!" per intitolare il nuovo album?

É probabile che questo sarà il nostro ultimo album, non perché lo vogliamo, ma perché siamo consapevoli che potrebbe essere la fine di un percorso. Woosh rappresenta la velocità del tempo, la sua inafferrabilità, la transitorietà dell'esistenza, il passaggio continuo di situazioni ed eventi storici davanti ai nostri occhi. Cinquant' anni di carriera sembrano tanti ma in realtà non sono niente, sono stati velocissimi, è un nome strano, quasi da cartoni animati alla Looney Tunes, quando qualcuno fugge via e rimane solo la sua scia. Whoosh potrebbe rappresentare il fruscio della polvere che passa sulla tuta dell'astronauta in copertina mentre si dissolve. Ognuno può dargli, però, l'interpretazione che vuole.


Visti gli sviluppi strumentali di alcuni brani, tra cui il singolo Man Alive, si può affermare che Whoosh! sia meno hard rock e più prog rispetto agli altri album?

In realtà non siamo d'accordo, perché quando facciamo un album ci troviamo ogni volta davanti a una tela bianca, quando iniziamo a comporre non sappiamo che aspetto avrà il disegno finale, che evolve via via mentre suoniamo. Non categorizziamo mai quello che facciamo, è una sorpresa anche per noi quando registriamo in studio. Forse può sembrare più prog perché i musicisti nella band come Steve Morse e Don Airey possono suonare quello che vogliono, tra cui, naturalmente, anche il prog"

Whoosh!" sarà disponibile anche in CD + DVD Limited Mediabook, che contiene il filmato "Roger Glover e Bob Ezrin in conversazione" e, per la prima volta, l'intera performance live dell'Hellfest 2017 come video. Com'è stato lavorare insieme a Bob Ezrin, uno dei più grandi produttori viventi?

Suonare in una band ti permette di incontrare i tuoi eroi: magari per alcuni posso esserlo io, mentre Bob Ezrin lo è per me, fin dagli anni Settanta, quando ha prodotto i dischi di Roger Waters, Kiss e Alice Cooper. Whoosh è il terzo album al quale lavoriamo insieme, ormai siamo diventati molto amici, sono davvero fortunato a lavorare con lui, anche se è molto esigente, si è creata una bella squadra in studio. Ogni volta che finiamo di incidere un pezzo mi dice, mi dice 'Allora Roger, qual è la prossima canzone'?

Come ha vissuto il periodo del lockdown? Come pensa che cambierà l'esperienza dei concerti rock dopo il Covid-19?

Non ho aspettative, ma solo speranze. Tutti noi viviamo nella speranza che torni tutto come prima, ma non si può tornare indietro e ho paura che ci vorranno ancora anni prima che si normalizzi la situazione dei concerti. Personalmente, è stato un periodo molto pesante, ma ho anche passato molto tempo con la mia famiglia, come non mi accadeva da anni, visto che ero sempre in tour. Inoltre, ho avuto molto tempo per riflettere, quindi ha avuto anche degli aspetti personali positivi.

Lei è stato uno dei pochi bassisti, negli anni Settanta, a utilizzare il plettro invece che i polpastrelli in ambito hard rock. Come mai questa scelta singolare?

Ottima domanda. Quando ho iniziato a suonare con i Purple nel 1969, la musica era molto più complessa rispetto alla band nella quale suonavo prima, gli Episode Six. dovevo essere più accurato nel suono e migliorarmi come bassista, suonare con un plettro mi consentiva di avere un suono più pulito, mentre suonare con le dita ti dà maggiore feeling. Adesso, dopo tanti anni con la band, preferisco suonare senza plettro, come nel brano dell'ultimo album, Nothing at all

Il 2020 ha celebrato i cinquant'anni dall'uscita di Deep Purple In Rock, pubblicato il 5 giugno 1970, il primo album della leggendaria line-up Mark II e forse il vostro capolavoro. È anche il suo album preferito dei Deep Purple? Che cosa ha reso In Rock così speciale?

Non ho un solo album preferito, ma ne ho diversi, naturalmente, ma In Rock ha segnato un nuovo inizio, ha dato il via a quello che siamo diventati, ed è nato così perché suonare dal vivo era allora completamente diverso rispetto allo studio. Mentre registravamo In Rock, era come se il palco fosse stato portato all'interno dello studio, eravamo tuti molto potenti e rumorosi, volevamo portare nel disco quel tipo di esperienza live

Made in Japan del 1972 è universalmente riconosciuto come uno dei migliori live album di sempre. Qual è il segreto che ha reso quel disco così influente e rilevante ancora oggi?

Made In Japan era un album registrato senza trucchi di studio, con grande accuratezza e al tempo stesso con grande spontaneità, pervaso da un grande senso di libertà. La sensazione che ti dà quando lo ascolti è simile a un live di Hendrix, in cui la musica sembra fluttuare nell'aria. Il messaggio che stavamo dando inconsapevolmente in quei brani è che puoi fare quello che vuoi. L'ho riascoltato un anno fa, e devo dire che suona ancora benissimo e fa impressione pensare che quando avevo 26 anni facevo queste cose. Sono davvero fortunato, è tutto quello che posso dire.

Ha prodotto album per Deep Purple, Rainbow, Judas Priest, Dream Theater, Status Quo e molti altri. Sta lavorando a qualcosa in questo momento come produttore?

É molto che non produco altri artisti, la maggior parte delle mie produzioni risale agli anni Settanta e inizio anni ottanta, ma adesso voglio produrre solo la nostra band. Non è facile produrre i Deep Purple, perché sono uno dei componenti della band, ma è fondamentale avere una persona di cui ti fidi, che osservi e di cui dice cosa va bene e cosa no. Sono stato molto impegnato nei tour e adesso mi godo il lavoro in studio in questo doppio ruolo di musicista e produttore aggiunto.

Com'è suonare oggi con Steve Morse rispetto a Ritchie Blackmore negli anni Settanta? Quali sono le principali differenze tra questi due guitar hero?

Non li paragono, perché sono molto diversi tra loro. Suonare con Steve è più facile perché ti aiuta molto, inoltre lui ci ha portato nuove idee musicali. Ritchie come chitarrista è assolutamente geniale, ma come personalità era completamente diverso. La personalità viene fuori nel modo in cui suoni, se vuoi. Quando Steve ha iniziato a suonare con noi negli anni Novanta, mi ha chiesto con grande umiltà 'Che cosa vuoi da me?' Gli ho risposto che doveva solo essere se stesso, non puoi essere nessun altro, né emulare Ritchie. Avevamo bisogno di cambiare direzione musicale e lui, che è dotato di una tecnica prodigiosa, era perfetto per questo scopo.

Nel 2016 i Deep Purple sono stati finalmente introdotti nella Hall of Fame del Rock N Roll, dopo tantissimi anni in cui erano già eleggibili. Per voi è stato un problema questa strana decisione o l'avete vissuta bene, magari scherzandoci sopra?

Era diventato ormai uno scherzo, siamo stato bocciati due volte, alla seconda volta abbiamo detto: fanculo! Non ci interessava più di tanto, ad essere onesti, lo stesso è accaduto ai Metallica, ma alla terza candidatura abbiamo pensato che non era tanto importante per noi, che avevamo già avuto le nostre soddisfazioni in cinquant'anni di carriera, ma lo era diventato per i nostri fan e per la nostra famiglia. Il loro riconoscimento è, per noi, il più importante di tutti.


Whoosh!, Deep Purple

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Gabriele Antonucci