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(Ansa)
Musica

Please Please Me dei Beatles è uno dei migliori debutti di sempre

Il primo album dei Fab Four, pubblicato il 22 marzo del 1963, è ancora fresco ed esaltante, nonostante alcune imperfezioni, a 60 anni dalla sua uscita.

Chissà se i Beatles, quel 22 marzo del 1963, si rendevano conto che il loro album di debutto Please Please Me non solo avrebbe cambiato per sempre la loro carriera, dopo cinque anni di febbrile attività live e di cambi di formazione, ma anche la storia del rock tout court. Prima di questo 33 giri, i quattro di Liverpool avevano pubblicato solamente due singoli: Love Me Do nell'ottobre 1962 e Please Please Me nel gennaio 1963. Il primo riscosse un discreto successo, mentre il secondo, grazie anche ai suoi gustosi doppisensi e alla sua struttura singolare, fu la prima canzone dei Beatles a raggiungere la posizione di testa nelle classifiche di vendita del Regno Unito, come lo stesso produttore George Martin aveva previsto. Pur lontano dai successivi capolavori Sgt. Pepper's, The Beatles e Abbey Road, Please Please Me è un album che aveva un suono diverso da qualsiasi cosa fosse stata pubblicata prima, nel quale si ritrovava tutta la freschezza e la contagiosa gioia delle loro esibizioni live, imperfezioni comprese. Fin da allora era evidente che Beatles fossero un gruppo diverso dagli altri: pur essendo giovanissimi, avevano già due compositori/autori dei propri brani (in un periodo in cui c'era una netta separazione tra interpreti e autori) e tutti e quattro cantavano, scambiandosi, a seconda del brano, il ruolo del frontman. Inoltre, i Fab Four avevano la singolare capacità di interpretare le cover in modo da farle diventare canzoni dei Beatles a tutti gli effetti, conferendo ai brani colori del tutto inediti. Il cameratismo e lo spirito di gruppo affinato nelle esibizioni al Cavern di Liverpool e nella loro esperienza ad Amburgo emerge fin dalle prime, esaltanti battute di I saw her standing there, un rock and roll trascinante con sorprendenti armonie e progressioni melodiche. Misery, dolce e malinconico, è uno dei primi brani soft rock a tema introspettivo, pochi mesi prima di In my room degli eterni rivali-amici Beach Boys: l'incipit «Il mondo mi tratta male» è folgorante e rivelatore di ambizioni ben più alte rispetto al mero intrattenimento del pubblico adolescenziale. In Anna(go to him), cover di un successo di Arthur Alexander, si avverte già il mix tra disillusione romantica e beffardo egoismo che diventerà un topos della sua poetica, così come le armonie vocali diventeranno un marchio di fabbrica dei primi Beatles. Una delle cose che colpisce di più dell'album è che perfino nei brani più lenti e romantici si avverte sempre un certo swing, un senso del ritmo affinato in innumerevoli concerti nei piccoli club. In There's A Place («C'è un posto dove posso andare quando mi sento giù/Quando mi sento triste, ed è la mia mente») e Ask me why è evidente la magia di quando John e Paul compongono un brano insieme. George Harrison se la cava egregiamente da frontman in Do You Want to Know a Secret e in Chains, anche se in quest'ultima la sua voce viene quasi sommersa dalle armonie dei suoi compagni di band, mentre Ringo Starr, oggettivamente il meno dotato dei Fab Four dal punto di vista vocale, interpreta con la sua consueta ironia Boys delle Shirelles, uno dei migliori gruppi vocali femminili di quel periodo, di cui riprendono anche la loro versione di Baby It’s You. Una grande storia, si sa, ha sempre un inizio e un finale folgorante: Please Please Me, non a caso, inizia con il rock and roll di I saw her standing there e finisce con la selvaggia energia di Twist and Shout, molto più che una cover degli Isley Brothers. La canzone doveva essere registrata per ultima perché Lennon aveva un forte raffreddore quel giorno e George Martin temeva che Twist and Shout avrebbe rovinato la voce di Lennon per l'intera giornata. Questa performance, imperfetta ma incredibilmente energica, registrata alla prima take, ha spinto Martin ad affermare: «Non so come facciano. Abbiamo registrato tutto il giorno (per 12 ore consecutive n.d.r.), ma più andiamo avanti, più migliorano». Forse nemmeno Martin poteva immaginare, però, che i Beatles sarebbero diventati ancora migliori nel giro di una manciata di anni, fino a lasciarci, nella seconda metà degli anni Sessanta, alcuni degli album più belli, innovativi e rivoluzionari della storia del rock: gioielli musicali che non ci stanchiamo mai di ascoltare e di tramandare alle nuove generazioni.

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Gabriele Antonucci