massimo Ranieri 70 anni
Massimo Ranieri / Ansa
Musica

Massimo Ranieri: 70 anni tra musica, cinema, teatro e tv

Giovanni Calone si è distinto, nel corso di una lunga e fortunata carriera, per la disinvoltura con cui si è messo alla prova in ogni ambito dell'entertainment. La sua Perdere l'amore è stata votata nel 1999 come «La canzone del secolo»

Definire un artista eclettico come Massimo Ranieri in una sola categoria è praticamente impossibile o, comunque, limitante, visto il suo multiforme talento. Il «cantattore» napoletano, che oggi compie 70 anni, si è distinto, nel corso della sua lunga e fortunata carriera, per la disinvoltura con la quale è passato dalla musica al cinema, dal teatro e alla televisione. In tutti i campi in cui si è cimentato, i risultati sono stati i medesimi: grandi numeri e il gradimento sia da parte della critica che del pubblico. Un'attività intensissima, che non ha mai conosciuto battute d'arresto. «Il momento che stavo vivendo era splendido»- ha dichiarato un anno fa in un'intervista su Sette, il magazine del Corriere della Sera- «Il ritorno a Sanremo assieme a Tiziano Ferro, il nuovo disco, l'omaggio di Aldo Giovanni e Giacomo in Odio l'estate; un film di Francesco Antonio Castaldo, Qualcosa di normale; l'idea di riprendere a fine anno in teatroIl gabbiano di Cechov per la regia di Giancarlo Sepe. Niente, tutto fermo, sospeso. Ma io sono napoletano e so bene che cosa significa affondare e rinascere». Quarto di otto figli, cresciuto nel popolare quartiere Pallonetto di Santa Lucia, Giovanni Calone (è questo il suo nome di battesimo) fin da bambino si è guadagnato da vivere attraverso i lavori più diversi, come quello di cantare alle feste di matrimonio. A soli tredici anni fa da spalla a Sergio Bruni in una tournée a New York e a quindici incanta per la prima volta il pubblico di Scala realecon lo pseudonimo di Massimo Ranieri, scelto perché evocava il Principe di Monaco. Nel 1969 vince il Cantagiro, nella sezione dei big, con la ormai storica Rose rosse, che gli spalanca le porte di una carriera prodiga di successi, culminata nel 1988 con il primo posto al Festival di Sanremo con l'emozionante Perdere l'amore, votata successivamente nel 1999 «La canzone del secolo» nell'omonimo show su Canale 5.

Parallelamente alla carriera musicale, Ranieri recita a teatro in L'anima buona di Sezuan diretto da Giorgio Strehler, Pulcinella e Liolà per la regia di Maurizio Scaparro, Rinaldo in campo con la premiata ditta Garinei & Giovannini nel ruolo che fu di Domenico Modugno, oltre in Barnum, Poveri ma belli e Canto perché non so nuotare. Sono indimenticabili le sue interpretazioni nelle commedie di Eduardo De Filippo Filumena Marturano, Napoli milionaria, Questi fantasmi e Sabato domenica e lunedì, trasmesse della Rai, dove ha condotto anche il programma Sogno e son desto. Negli ultimi quindici anni, il cantattore ha trovato la sua dimensione preferita a teatro, grazie al clamoroso successo degli spettacoli Canto perché non so nuotare (con oltre 500 repliche) e Sogno o son desto, dove ha dato prova della sua indiscutibile vena istrionica ripercorrendo cinquant'anni di carriera attraverso il canto, il ballo e la recitazione. Canto perché non so nuotare…da quarant'anni è stato anche immortalato in una corposa raccolta in due dischi dove troviamo i suoi brani più famosi, accanto ad alcune delle canzoni più belle della musica italiana come Vita spericolata di Vasco Rossi, Il cielo in una stanza di Gino Poli, Almeno tu nell'universo di Mia Martini e Pensieri e parole di Lucio Battisti, che traggono nuova linfa dall'interpretazione appassionata di Ranieri.

«Quest'album è un omaggio che mi sono fatto» - ha dichiarato Ranieri- «per festeggiare i quarant'anni di carriera. Per questo mi sono autoprodotto con la mia etichetta. Meglio investire in arte piuttosto che comprare case». Il successivo recital Sogno e son desto (che a breve tornerà in scena in una versione rinnovata), scritto a quattro mani con il fedele compagno d'avventure Gualtiero Peirce, non è solo una serie di canzoni legate da un filo conduttore, ma uno spettacolo con una dimensione scenica nel quale, ai numerosi brani, si alternano letture di poesie e passi tratti da opere di Aldo Palazzeschi, Alda Merini e Carlo Collodi. La musica e le parole narrano storie di coraggio, d'amore e di dignità. Il coraggio non degli eroi ma degli antieroi, degli umili, dei vinti, gli uomini e le donne cantati dalla musica di Raffaele Viviani e di Pino Daniele o i protagonisti del teatro di Eduardo De Filippo e Nino Taranto. Alle storie di vita si intrecciano anche aneddoti personali, offrendo agli spettatori diversi spunti di riflessione. Lo spettacolo è un inno incoraggiante alla vita e non è casuale la scelta di concluderlo con il brano spagnolo Gracias a la vida di Violeta Parra. La canzone recita: «Grazie alla vita che mi ha dato tanto, mi ha dato il sorriso e mi ha dato il pianto. Così io distinguo la buona o brutta sorte. Così le sensazioni che fanno il mio canto. Grazie alla vita»

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Gabriele Antonucci