Janis Joplin, la struggente voce bianca del blues
Ansa
Musica

Janis Joplin, la struggente voce bianca del blues

L'indimenticabile artista texana, morta il 4 ottobre 1970 di overdose a soli 27 anni, è ancora oggi un'icona della controcultura americana grazie a quel mix irripetibile di rabbia e fragilità

Da Amy Winehouse a Cat Power, da Pink! a Joss Stone, sono davvero numerose le cantanti che si sono ispirate apertamente all'arte di Janis Joplin che, meglio di chiunque altra, ha dato voce alle speranze, alle delusioni e al coraggio di un'intera generazione.

L'artista texana, morta il 4 ottobre del 1970 di overdose, è stata la più importante cantante blues bianca di sempre, una vera e propria icona della controcultura e della musica del "secolo breve" grazie a quel mix irripetibile di rabbia e fragilità, di sensualità e di insicurezza, di grinta e di autodistruzione. La difficile adolescenza nella bigotta e razzista provincia texana, le disperate ribellioni beat fino alla trionfale esibizione al Monterey Festival del 1967 e al tragico decesso per overdose da eroina a soli 27 anni nel 1970, in una squallida stanza del Landmark Hotel. Nel mezzo il rapporto conflittuale con la famiglia e con i ragazzi al liceo, il riscatto attraverso la musica, gli amori bisessuali, le amicizie, le fughe in autostop verso la San Francisco della controcultura psichedelica, la black music scoperta in dischi semiclandestini e bettole della Louisiana, le disillusioni, le umiliazioni subite, sei overdose, l'aborto, i folgoranti e fugaci incontri con Leonard Cohen e Jim Morrison, il dolore per non essere mai stata capita del tutto.

Ogni sua esibizione sembrava essere l'ultima, la definitiva, senza risparmio e senza rete, in una totale comunione con il pubblico al quale offriva metaforicamente pezzi del suo cuore, del suo lacerante dolore blues, della sua grintosa fragilità. La sua inconfondibile voce, unica per potenza, per estensione, per timbro, per capacità interpretativa ed emozionale, è il segreto del successo di una delle più grandi cantanti della storia del rock, oltre che una delle più influenti ancora oggi. Una voce che usciva dalle viscere e si faceva rito, messa pagana, canto e incanto. Parafrasando proprio Cohen, che a lei ha dedicato la magnifica canzone Chelsea Hotel #2, Janis è stata una "bellissima perdente", che sul palco perdeva ogni imbarazzo, lasciando che il fuoco del blues divampasse attraverso le sue vene e fuoriuscisse attraverso le sue urla strazianti, alternate sapientemente a momenti più dolci e intimisti. Da pochi giorni è disponibile anche in Italia Janis. La biografia definitiva di Holly George-Warren (DeAgostini). Nel ripercorrere la sua vicenda umana e musicale, l'autrice è ripartita da zero, raccogliendo una miriade di testimonianze inedite dalla viva voce di chi Janis l'ha conosciuta da vicino.

Scopriamo così che la cantante è stata una beatnik on the road, un'aspirante casalinga, un maschiaccio, una ragazza fragile in cerca di amore e di attenzione, una tossicodipendente, una pittrice mancata, una pioniera queer, una vittima dello sguardo maschile che si faceva proteggere da una gang di motociclisti, una mangiauomini, una giovane donna di successo che viaggiava per l'America con libri e bottiglie di liquore stipati nella borsa di pelliccia, una ribelle con una causa. "Sul palco faccio l'amore con 25 mila persone. Poi torno a casa e sono sola", ha dichiarato Janis in una delle sue frasi più celebri. Una solitudine che probabilmente l'ha uccisa, mentre le sue canzoni, figlie di un tempo in cui il rock non si accontentava di intrattenere ma aveva l'ambizione di cambiare le nostre vite, sono ancora incredibilmente vivide, dirette, forti ed emozionanti. Immortali.

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Gabriele Antonucci