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"Io come Saman, mi sono salvata scappando"

La storia di Layla Barkat, oggi fotografa a Berlino, fuggita dal padre quando le fu chiesto di accettare un matrimonio combinato. I ricordi dell'infanzia, il rapporto con il padre e il ruolo dei nonni nel suo racconto

Saman Abbas è stata uccisa dalla sua famiglia perché ha rifiutato un matrimonio forzato ed ora finalmente il ritrovamento del suo corpo potrebbe mettere la parola fine a questa tragica vicenda. Ma quante Saman ci sono ancora la fuori costrette a sottostare alla volontà di una cultura che le vuole spose e schiave? Donne che non possono mostrare il volto e se osano farlo vanno incontro a punizioni esemplari se non alla morte. Saman infatti è stato uccisa e sepolta dalla sua famiglia perché la cultura islamica per queste persone è valsa molto di più della vita della loro stessa figlia.

Per fortuna c'è anche chi riesce a fuggire prima che sia troppo tardi come Layla Barkat che ha lasciato alle sue spalle una storia di enorme sofferenza. Layla ha 28 anni ed ha vissuto parte della sua adolescenza con suo padre, un uomo pakistano. La madre italiana ha tentato di salvare la sua famiglia cercando di sradicare quell’integralismo che faceva parte della cultura di suo marito, senza riuscirci. La gelosia, la violenza e l’imposizione delle leggi del Corano hanno trasformato la loro vita in un inferno. Ma se entrambe non si fossero ribellate anche Layla come Saman avrebbe forse rischiato la vita. Invece il coraggio di queste due donne ha portato le loro esistenze altrove. Panorama.it ha incontrato Layla per farsi raccontare la sua storia.

Com’è stata la tua infanzia?

«La mia infanzia come quella di tante altre persone purtroppo, è stata in generale molto infelice. La mia famiglia era per metà islamica pakistana e per metà molto cattolica. Io sono stata a casa con mamma e papà fino all'età di 5 anni e dai 5 ai 16 anni sono praticamente cresciuta dai nonni. Mi ricordo che papà non era "cattivo", ma c'erano delle regole da rispettare: non si poteva mangiare maiale, il corpo doveva essere ben coperto dai vestiti, quindi zero scollature e nessun capo di abbigliamento troppo aderente».

Ti picchiava?

«Ci picchiava papà, tanto e spessissimo. Mamma piangeva e urlava e io piangevo e tremavo tanto, non capivo perché dovesse essere così. Ma questo credo che succeda in tutte le culture dove regnano il patriarcato e il sessismo, purtroppo. Recita il Corano: “Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono per esse i loro beni. Le donne virtuose sono le devote, che proteggono nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui temete l’insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è altissimo, grande”. Un altro giorno invece papà mi disse che doveva parlarmi e mi chiese in cosa credevo (riferito a Dio) e la risposta che gli detti non fu sufficiente. Per lui non era abbastanza che credessi fermamente nell'esistenza di un Dio benevolo. Non capii quale era la "risposta corretta". Così mi regalò una copia del Corano in italiano ed io iniziai a leggerlo con curiosità, come mi piaceva leggere anche la Bibbia e il Vangelo. Interruppi la lettura quando lessi dei versi sul sacrificio degli animali».

Quali sono i ricordi che ti hanno più colpito?

«Papà macellava la carne alla maniera halal nel giardino di casa. Oggi non si può più fare ma tra il 1990 e il 2000 era ancora permesso. Ciò significa che comprava dei capi di bestiame dai contadini (pecore, agnelli, polli) ancora vivi e li uccideva alla maniera tradizionale ossia pregando. Voleva che assistessi a quei "sacrifici" per poter rifare poi un giorno la stessa cosa per sfamare la famiglia. Come reazione sviluppai invece un amore ossessivo per gli animali che ancora mi porto dietro. Invece un’altra volta eravamo al mare e vidi un granchio morto, gli chiesi: "papà, non possiamo mangiare questo?" e lui mi disse: "non è sicuro, perché non sappiamo di cosa è morto". Ma conservo anche ricordi "felici" e sono grata per tutto ciò che mi è stato insegnato, nel bene o nel male»

Quando ti chiesero di sposarti?

«Nel 2007 all'età di circa 13 anni, mio padre e la mia famiglia paterna mi dissero che dopo gli studi dovevo accettare un matrimonio combinato con un cugino. All'epoca trovai la cosa assolutamente folle, mi ero perdutamente invaghita di Bill Kaulitz cantante dei Tokio Hotel e non ci pensai due volte a staccarmi. Cosi proprio in quell’anno tagliai i contatti con mio padre insieme a tutta la famiglia paterna e paradossalmente mi rammarico che le cose siano andate così. Ho commesso peccato (tagliare i ponti con la propria famiglia è peccato grave per l'Islam) e se fosse possibile vorrei chiedere perdono a mio padre».

Layla perché vorresti chiedere perdono a tuo padre?

«Perché ho fatto soffrire sua madre. È brutto morire sapendo di aver causato sofferenza soprattutto a mia nonna paterna, lei mi voleva bene. Purtroppo è morta nel 2011 e l'ho scoperto solo ora. Di mio padre invece non ho saputo più nulla».

Cosa puoi dirci della tua famiglia materna?

«Ho ricordi di continue liti furiose, ma a litigare non erano solo i miei genitori ma anche i miei poveri nonni materni intrappolati in un matrimonio e che era diventato un terribile incubo conclusosi con la triste e progressiva reciproca distruzione di entrambi. Sono stata molestata sessualmente da due preti cattolici uno all'età di 5-6 anni e uno all'età di 12 anni. La mia famiglia italiana non lo comprese in un caso e lo tacque nell'altro. Nonna quando mi faceva il bagno mi strofinava la pelle (che in estate col sole può abbronzarsi molto) "per sbiancarla" perché ero "troppo nera". Mio nonno levò completamente la parola a mia madre per almeno un decennio, soltanto per aver sposato uno "straniero". In più i miei miei nonni mi costringevano a mangiare "per ripicca" nei confronti di mio padre, la carne di maiale letteralmente tappandomi il naso per forzarmi a deglutire. Infatti sviluppai poi una forma di anoressia che dovettero curare».

Perché vivi a Berlino ora?

«Sono a Berlino perché un cambio di scenario era l'unica alternativa al suicidio. Iniziai a soffrire di attacchi di panico nel 2010 e nel 2015 tentai di uccidermi 3 volte».

Cosa ne pensi di Saman Abbass?

«Mi dispiace tanto per quello che è accaduto a Saman. Pregherò per lei e spero che tutti coloro che commettano omicidi e crimini contro i minori in genere ricevano la giusta punizione. Inoltre ritengo che sia un bene poter parlare e raccontare queste cose soprattutto per chi in questo momento non può farlo. La questione indubbiamente è estremamente delicata e complessa, l'errore che certamente non bisogna commettere è di fare di tutta l’erba un unico fascio e usare questi accadimenti estremi per fomentare una qualsiasi forma di xenofobia, questo dev'essere chiarissimo fin dal principio».

Cosa vuoi dire a chi vive quello che hai vissuto tu e Saman?

«Alle ragazze che si trovano in situazioni pericolose adesso direi: "siate forti e ponderate bene la vostra scelta. Consiglio loro di valutare la situazione. Se non è più gestibile e si rischia, bisogna chiedere aiuto e distanziarsi dalla propria famiglia il prima possibile».

Hai un ragazzo?

«Sono uscita con un giovane ragazzo pakistano di recente, lui è brillante ed è stato gentilissimo. Mi ha detto che il matrimonio combinato nelle grandi città non è più in uso e il velo non più così obbligatorio. Il Pakistan è un Paese bellissimo, letteralmente ricco di tante cose. Ci vuole tempo, pazienza e compassione e le cose cose cambieranno».

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Linda Di Benedetto