la-ragazza-nel-parco-burke-piemme
Piemme
Lifestyle

Intervista ad Alafair Burke, autrice de 'La ragazza nel parco'

Ecco la nostra chiacchierata con la scrittrice americana, che ci ha svelato come nascono i suoi thriller e la sua voglia di scrivere

La ragazza nel parco (Piemme) di Alafair Burke è un legal thriller particolarmente interessante, che avevamo già consigliato non molto tempo fa. La protagonista è Olivia Randall, brillante avvocato di New York incaricata di difendere Jack Harris, un famoso scrittore arrestato con l'accusa di aver ucciso tre persone in un parco. Il sospettato ha un solo alibi e non molto verosimile: un incontro romantico con una fantomatica e affascinante ragazza conosciuta online. Ma c'è da aggiungere anche un altro particolare: Olivia Randall ha un passato con Jack, un amore finito male. Il resto è da scoprire, ovviamente.

Abbiamo avuto la possibilità di fare qualche domanda ad Alafair Burke, che ci ha raccontato un po' del libro (non troppo, naturalmente), ma anche di come ha deciso di intraprendere la strada della scrittura, seguendo le orme del padre James Lee Burke, e i suoi metodi di lavoro.

Ne 'La ragazza nel parco', la tecnologia è quasi una seconda protagonista: telecamere, accessi internet, tabulati telefonici, caselle di posta elettronica, eccetera. Ha avuto difficoltà a gestire questi elementi?

A lungo ho pensato che la tecnologia fosse un nemico per uno scrittore di gialli. Per non rischiare di perdere le caratteristiche più classiche del genere, ti ritrovi a dover ricorrere a una serie di escamotage, come far scaricare la batteria del cellulare ai protagonisti nel momento in cui potrebbero usarlo per tirarsi fuori dai guai, o fare in modo che i personaggi secondari non siano sui social – perché altrimenti perderebbero il loro mistero. Ma ho imparato che la tecnologia può anche essere il migliore amico di un autore di romanzi crime. In un mondo dove siamo tutti connessi, in cui chiunque può avere una falsa identità, dove l’anonimato è potere, e dove anche un dilettante può improvvisarsi investigatore, la tecnologia offre agganci preziosi per la costruzione di una trama.

La sua esperienza di avvocato è certamente d'aiuto nella stesura delle linee di indagine, di istruttoria e di processo. Ma quanto del suo vissuto o di casi che ha seguito possiamo trovare in questo romanzo e in altre opere?

Ho lavorato come avvocato per cinque anni, di cui due in una stazione di polizia come consulente legale nelle indagini. Il sistema giudiziario in ambito criminale, che sia molto burocratizzato o governato completamente dal caos, potrebbe essere di per sé un personaggio di un romanzo. Non c’è dubbio che i miei romanzi sarebbero stati molto diversi se non avessi vissuto in prima persona quel mondo. Ne La ragazza nel parco, la protagonista Olivia Randall è un avvocato difensore – un lavoro che io personalmente non ho mai svolto. Ma quando dovrà difendere il suo ex fidanzato Jack Harris, si troverà a fare i conti con lo Stato e il suo potere. E realizzerà per la prima volta che una persona, innocente o colpevole che sia, può finire triturata dagli ingranaggi del sistema.

Come si fa a rendere interessante in un romanzo il mondo burocratico dei tribunali?

Il segreto è di centellinare la presenza dei tribunali e dei processi. I processi veri sono lunghi e spesso noiosi, mentre i romanzi possono saltare le lungaggini legali e passare direttamente alle parti più succose. Anche quando gli avvocati non sono in aula, il loro lavoro ha un sacco di potenziale narrativo: prove da raccogliere, testimoni riluttanti da convincere, segreti sepolti da portare alla luce. Gli avvocati sono esattamente a metà tra detective amatoriali e investigatori di mestiere. E poi tendono ad avere delle vite belle incasinate, il che aiuta.

Olivia Randall, il grintoso eppure allo stesso tempo fragile avvocato protagonista de 'La ragazza nel parco' appare come un personaggio molto riuscito e completo, tratteggiato con precisione e verosimiglianza: quanto di Alafair Burke si può trovare in lei?

Tra i personaggi che ho creato, Olivia è probabilmente quello che meno mi assomiglia. O almeno lo spero, perché è piena di difetti! Ma ho molta empatia con lei. Tanto è imperfetta, quanto consapevole delle sue debolezze. Ha un profondo senso di colpa. Cerca inconsciamente dei modi per punirsi. Con questi aspetti del suo carattere sicuramente mi identifico. Ma soprattutto Olivia è un personaggio che sta scoprendo a sue spese che gli errori e i peccati del passato in qualche modo si ripercuotono sul suo presente – è tutto quello che posso dire di lei, credo, senza rivelare troppo della trama.

Il legal thriller è un filone già enormemente battuto da molti autori. Al di là della sua predisposizione professionale, cosa l'affascina di questo genere?

Questa è una domanda impegnativa. Sono stata a lungo una lettrice prima di cominciare a scrivere. Probabilmente il successo di mio padre, James Lee Burke, mi aveva in un certo senso protetta dal rischio di avere delle aspirazioni in quel campo. Ma più leggevo gialli, più mi rendevo conto che il sistema giudiziario criminale, che ben conoscevo da avvocato, non era mai descritto accuratamente. Così decisi di scrivere un romanzo su un avvocato, uno solo, e finirla lì. Invece poi ho capito di avere più di una storia da raccontare. Costruire una trama per me è come fare un puzzle. E da quando ho cominciato a vivere a New York, scrivere di questa città è diventato un ulteriore spunto, nonché una sorta di esplorazione culturale. E a quel punto, se non avessi continuato a scrivere, sarei impazzita.

Ha particolari influenze provenienti da altri autori?

Oh, ce ne sono troppi per nominarli tutti. Quando ho cominciato, il mio sogno era diventare come Michael Connelly e Sue Grafton messi insieme – mi accontentavo di poco, eh? A parte gli scherzi, ovviamente mio padre ha influenzato molto il mio modo di lavorare, specie nella dedizione alla scrittura. Parlando di gialli e thriller, ammiro molto autori come Karin Slaughter, Laura Lippman, Gillian Flynn, Harlan Coben, Lee Child. La lista di talenti è davvero lunga.

Processo creativo: da cosa parte per realizzare i suoi romanzi? Come procede?

Inizio a scrivere quando sento il richiamo della voce di un personaggio e di una situazione. Devono esserci entrambi. La situazione è la trama. Mi piacciono le storie in cui il passato condiziona il presente e quelle in cui le persone non sono mai solo buone o solo cattive: fanno le loro scelte in base a circostanze che non sempre dipendono da loro. Così, una volta che ho il là per la creazione di un singolo personaggio, comincio. E fino ad ora sono riuscita a finire ogni libro che ho iniziato.

Tre titoli fondamentali per chi vuole cominciare a scrivere?

In realtà, non sono molto d’accordo con la premessa di questa domanda. C’è così tanta gente che finisce per bloccarsi di fronte alla scelta di cosa leggere, come se ci fosse una lista magica che bisogna seguire. Io sono convinta che non si possa diventare scrittori senza prima essere lettori, ma credo anche che non si possa essere un vero lettore se non si seguono i propri gusti, e se non si legge semplicemente ciò che si vuole. Che si tratti di Faulkner, Hemingway, Dostoevskij, Jane Eyre, Ayn Rand, Shakespeare, James Joyce, Proust o di un moderno giallista, la lettura non dovrebbe essere giudicata. Leggere ti permette di viaggiare con l’immaginazione in mondi diversi, senza usare altro che la parola scritta. E questo, di per sé, è un valore.

I suoi tre libri più importanti?

Direi che i tre libri che, in diversi momenti della mia vita, mi hanno ricordato quanto ami la letteratura sono stati: Turista per caso di Anne Tyler, Le ore di Michael Cunningham, e Mystic River di Dennis Lehane.

I più letti

avatar-icon

Andrea Bressa