Interstellar: balle spaziali
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Interstellar: balle spaziali

2001: Incontri ravvicinati della terza gravity. Recensione semiseria del nuovo attesissimo film di Christopher Nolan

Interstellar di Christopher Nolan, al cinema da domani, recensione breve (anche perché dura 168 minuti). Matthew McConaughey, sempre più scavato per far dimenticare i pettorali pre-Oscar, deve salvare il mondo. Si è messo a fare l'agricoltore chilometro zero perché le risorse scarseggiano, e pure il suo rigogliosissimo mais del Midwest ha vita breve. Ma è un ex astronauta della NASA, perciò viene chiamato da Michael Caine e mandato – lui fra tutti – a salvare il mondo, appunto. La missione è cercar pianeti su cui possano attecchire nuove forme di vita.

Con lui parte Anne Hathaway, sempre più saputella, specie quando discetta di sistema binario. McConaughey è un po' giovane favoloso, dice che la natura è matrigna e nulla si può fare contro di lei. Hathaway crede nell'amore che vince su tutto, anche sull'odio (è una citazione) e dice che la natura non è cattiva: al massimo un leone si mangia una gazzella, ma è nell'ordine delle cose.

Troveranno sulla loro strada un collega che come Icaro vuole sfidare le leggi del cosmo (finirà bruciato); onde anomale su pianeti su cui in teoria non c'è vita; molti buchi neri, e ancor più buchi di sceneggiatura. Ma non spoilero oltre.

Il punto cruciale è che McConaughey ha lasciato sulla terra una figlia piccola con ansie d'abbandono. Il film è, nelle intenzioni, tutt'una riflessione sull'essere padri e l'essere figli, sulla sopravvivenza della specie umana, sul go vegan e tutte quelle altre cose che subito portano in territorio Terrence Malick, dunque meglio uscirne o è peggio che essere risucchiati in un wormhole.

Il punto cruciale è anche un altro. Quel tono – tipico di Nolan, ma comune a tanti cosiddetti autori di oggi – del tipo: «Ti sto facendo vedere una roba che non assomiglia a niente di quel che è stato fatto prima, anzi: sovverte tutte le leggi della visione». Sarà. Sarà anche che vediamo sempre più cose, che la tv è (semplificando) una figata pazzesca, che Facebook produce più algoritmi di uno scienziato di Houston. Sarà che siamo più disincantati, disillusi, e tutte quelle cose che si leggono nelle riviste di costume. Sarà.

Non mancano effetti speciali fighi, musicone tra l'epico e i Goblin, e un certo gusto nerd: il buco nero in cui finisce McConaughey è la ripetizione infinita di una cameretta di bambino, per la gioia di noi generazione Goonies. C'è 2001: Odissea nello spazio, ma senza la saggezza; Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma senza lo stupore; pure il recente bellissimo Gravity, ma senza la sintesi. Assomiglia a tutto quel che è stato fatto prima, già dal quarto dei 168 minuti totali. A me ha fatto venire in mente una cosa più di tutte. Balle spaziali. In senso strettamente letterale.

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Mattia Carzaniga

Nato nel 1983, giornalista, scrive per varie testate. Ha pubblicato i  libri «L'amore ai tempi di Facebook» (Baldini Castoldi Dalai, 2009) e  «Facce da schiaffi» (Add Editore, 2011). Guarda molti film, passa troppo  tempo on line, ruba pezzi di storie alle persone che incontra.

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