L'Internet delle cose diventa realtà
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Tecnologia

L'Internet delle cose diventa realtà

Dalla pianta che parla allo spazzolino che scopre le carie. Microchip e sensori stanno per entrare negli oggetti di uso comune. Ecco come cambieranno la nostra vita. E anche la nostra privacy

Le piante chiederanno di essere annaffiate o di essere spostate perché prendono troppo sole. Lo spazzolino ci dirà se ci stiamo lavando bene i denti e su quale molare o incisivo conviene insistere perché,  negli ultimi giorni, lo abbiamo trascurato un po’.

I calzini, grazie a uno speciale tessuto, non si limiteranno a registrare chilometri percorsi e calorie bruciate: daranno consigli su come appoggiare il piede durante gli allenamenti per evitare infortuni. Potremo accendere la lavatrice inviandole un sms, spegnere le luci o la tv con un semplice comando vocale. Anche il sesso, o almeno un suo surrogato, a breve non sarà più come prima grazie alla mutandina con vibrazione incorporata attivabile da chi la indossa oppure  dal partner con una app.

Benvenuti nel futuro: ogni abitudine, qualsiasi gesto quotidiano si arricchirà di un valore aggiunto quando l’internet delle cose diventerà, dalla grande promessa che è oggi, la nuova, solida e onnipresente frontiera dell’hi-tech. Quando il diluvio di novità, di inedite consuetudini che porta con sé, finirà per invadere le nostre vite. Oggi ad avere una connessione a bordo sono soprattutto computer, telefonini, tablet, in misura ancora relativa televisori e automobili.

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Presto ad avere accesso al web, a essere abilitati per trasmettere informazioni, saranno tutti gli oggetti, inclusi i più piccoli, insignificanti e ordinari: lampadine, vestiti, braccialetti, elettrodomestici e così via. Le cose connesse erano appena 900 milioni nel 2009. Saliranno, secondo la società di consulenza Gartner, a quota 26 miliardi nel 2020, con un impatto da capogiro sull’economia: un giro d’affari pari a 1,9 mila miliardi di dollari. Sarebbero stime per considerevole difetto secondo i dati forniti dalla società Cisco, che punta molto su questo settore: in ottobre ha creato una divisione ad hoc e prevede che nei prossimi anni il mercato raggiungerà la soglia dei 19 mila miliardi di dollari, di cui solo 4.600 nel settore pubblico.  

L’internet delle cose non è solo un lungo elenco di effetti speciali domestici,  coinvolge tutto il tessuto cittadino. Ci sono già casi virtuosi come Barcellona, che sta risparmiando circa 3,1 miliardi di dollari l’anno con una rete di sensori installati nelle condutture dell’acqua in grado di individuare con immediatezza eventuali guasti. Lo stesso hanno fatto San Paolo e Pechino dimezzando le perdite del prezioso liquido. Ma i risultati maggiori si avranno quando il sistema sanitario riuscirà a cogliere in pieno tutti i benefici di questo fermento: se i medici saranno messi in condizione di monitorare in modo costante lo stato di salute dei loro pazienti, per esempio grazie a indumenti oppure orologi che registrano i parametri vitali, si potranno ridurre le emergenze e, in parallelo, l’incidenza dei costi delle cure. Il fenomeno si estende poi a tutti i livelli della produzione dei beni. 

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È una «terza rivoluzione industriale», riprendendo l’efficace definizione data dal settimanale The Economist per descrivere l’ingresso di soluzioni basate sul web nelle fabbriche: catene di montaggio controllabili a distanza, per intervenire con prontezza se qualcosa non va per il verso giusto; reti di sensori che analizzano i flussi, minimizzano gli sprechi e ottimizzano la logistica; robot che, quando è possibile, fanno il lavoro dell’uomo.

Durante l’ultima edizione del Ces, l’annuale fiera dedicata alla tecnologia che si è appena conclusa a Las Vegas, l’internet delle cose è stato il protagonista assoluto. Innanzitutto nei discorsi di visione dei grandi dell’hi-tech, che nella tendenza stanno investendo denaro e risorse dei loro reparti di ricerca e sviluppo. «Finora la potenza di un computer era qualcosa da tenere in mano, in tasca, su una scrivania. Questo scenario sta per cambiare» ha detto Brian Krzanich, ceo di Intel. La multinazionale dei processori osserva con naturale interesse questa invasione dei chip negli oggetti e nel suo stand ha messo in mostra tutta una serie di soluzioni, come un paio di cuffie che monitorano il battito cardiaco di chi le indossa o un sensore integrato in una tutina per tenere sotto controllo un neonato dallo smartphone. «Sono tecnologie del tutto nuove. Che, prima di tutto, dovranno essere molto facili da usare» ha sottolineato John Chambers, numero uno di Cisco. Nel suo spazio espositivo, l’azienda americana ha mostrato le potenzialità di una casa ma anche di un negozio connesso. Provando che il futuro sarà più semplice per ogni membro della famiglia: una madre, per esempio, potrà sapere in tempo reale quante ore i figli stanno passando davanti al televisore, ma anche se uno di loro sta per mangiare un alimento al quale è allergico. Come? Grazie ai soliti onnipresenti sensori che popoleranno le etichette dei cibi. Persino fare la spesa sarà più rapido: basterà ordinare da una app salumi e formaggi e passare a ritirarli al bancone saltando la fila; non ci sarà fila alle casse perché ogni carrello comunicherà la sua posizione, consentendo ai gestori dei supermercati di aprire nuove postazioni in caso di alta affluenza.

L’internet delle cose ha fatto breccia nel cuore dei grandi produttori di dispositivi elettronici, a partire da Lg e Samsung, che sempre al Ces hanno presentato elettrodomestici intelligenti, capaci di riconoscere frasi semplici e di accendersi o spegnersi ubbidendo, a seconda dei casi, a un messaggio di testo o a un comando vocale. Nemmeno i colossi del web sono rimasti a guardare: Google ha appena speso 3,2 miliardi di dollari per comprare Nest, società californiana che produce termostati e altri oggetti connessi per la casa. È la seconda acquisizione più onerosa dopo quella di Motorola per il motore di ricerca, che ha deciso di entrare in grande stile nel settore: in attesa dell’auto che si guida da sola, a inizio anno ha anche lanciato un’alleanza che porterà Android, il sistema operativo per telefonini più diffuso a bordo delle vetture Audi, General Motors, Honda e Hyundai. Mentre Apple ha già dalla sua partner di rilievo tra cui Nissan, Volvo, Chevrolet e Mercedes-Benz. Un’auto connessa non significa solo servizi d’intrattenimento evoluti o informazioni sempre aggiornate sul traffico, ma anche formule inedite a disposizione delle assicurazioni, che possono proporre pacchetti ad hoc in base ai chilometri percorsi da ogni vettura.

Questo enorme fenomeno non è privo d’incertezze e zone d’ombra. Innanzitutto manca un linguaggio comune: alcuni oggetti usano il Bluetooth per collegarsi alla rete, altri il wifi, altri metodi proprietari imposti dal loro produttore. Se non dovesse intervenire un’autorità a stabilire uno standard comune, si potrebbe arrivare al paradosso dell’incomunicabilità: molte cose non riusciranno a parlarsi tra loro. Altro punto dolente è, a oggi, lo scarso livello di sicurezza di queste tecnologie. «L’internet delle cose è terribilmente insicuro» titola un articolo della rivista americana Wired, in cui si afferma che un oggetto con un chip al suo interno è estremamente vulnerabile da attacchi esterni. Gli hacker di domani potrebbero prendere il controllo della nostra auto o della nostra casa, esponendoci a rischi non di poco conto.

Infine, addio privacy. Se ora i grandi marchi ci offrono pubblicità in target con i nostri gusti grazie ad algoritmi che esaminano le nostre mail, i «mi piace» lasciati su Facebook o i siti che visitiamo abitualmente, presto non avremo più segreti. Un sensore ha rilevato che dormiamo male? Sul telefonino potrebbe lampeggiare la pubblicità di una camomilla o di un sonnifero. L’auto ha registrato che andiamo sempre allo stesso supermercato? Sul cruscotto potrebbe apparire lo sconto per provarne un altro nei paraggi. Serviranno nuove tutele, nuovi strumenti normativi per cogliere le tante potenzialità dell’internet delle cose senza subire incontrollate invasioni del proprio spazio personale. Nel frattempo, finché non ci sentiremo tranquilli, nessuno potrà vietarci di continuare a usare il nostro caro vecchio spazzolino. (Twitter: @HoBisognoDiTech; @MarMorello)

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Guido Castellano

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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