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Babbel
Tecnologia

Imparare una nuova lingua? Bastano dieci minuti

Lo assicura Markus Witte, creatore di Babbel, l’applicazione che aiuta a studiare su pc, cellulare o tablet nei ritagli di tempo

da Berlino

A ispirare e guidare Babbel, l’azienda più innovativa al mondo nel campo dell’istruzione (l’investitura arriva dall’autorevole rivista americana Fast Company), è una frase vecchia oltre un secolo. Elaborata a inizio Novecento dal filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, è appesa al muro di una sala riunioni affacciata sui tetti bassi di Berlino: «I limiti del mio linguaggio» recita «sono i limiti del mio mondo».

«È così vera: mettere un piede in una nuova lingua significa aprirsi a un altro modo di pensare. Diventare una persona diversa, più consapevole. Stabilire contatti autentici e densi di emozioni. Una connessione che Google Translate non può sostituire». A parlare è Markus Witte, un passato da docente e ricercatore universitario negli Stati Uniti e nella sua Germania, programmatore autodidatta, occhi espressivi protetti da una montatura essenziale. È il numero uno di Babbel, l’inventore di un sistema che rende semplice abbattere quella barriera della conoscenza teorizzata da Wittgenstein: un sito e un’applicazione per apprendere dall’inglese al francese, dal tedesco allo spagnolo, persino russo e turco (le opzioni disponibili dall’italiano sono tredici in tutto) in maniera semplice, studiando su uno schermo brevi lezioni concentrate in pillole. Ovunque: in treno o su un autobus, in un bar come sul divano. Quando si ha tempo, anche molto poco.

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Panorama incontra Witte in un palazzo elegante della capitale tedesca vicino alla centralissima Alexanderplatz. Qui, in parallelo con gli uffici di New York, lavorano 450 persone da 39 Paesi. Una torre di Babele in miniatura (il nome della società viene dal riferimento biblico), dove i diversi idiomi non sono considerati un ostacolo, ma un’opportunità d’arricchimento accessibile: «Grazie a un metodo estremamente pratico. Già dopo tre sessioni» assicura il ceo «si acquisiscono le basi per imbastire una conversazione». Per presentarsi, ordinare al ristorante, ottenere informazioni utili. I pilastri: meno teoria, la giusta enfasi sulla grammatica, al centro molta concretezza. Si scrivono frasi, le si ascolta e le si ripete al microfono a un insegnante di bit: «Quante volte si desidera, senza l’imbarazzo di fare brutta figura davanti ai compagni di classe. Per tanti, il confronto dal vivo è un grande freno. Impedisce di provarci, di cominciare».

Babbel fa leva su trucchi e scorciatoie mnemoniche: per esempio, si visualizzano oggetti e occorre spostarli con le dita per associare una parola a un’immagine. Però, niente giochini o distrazioni ludiche: «Sono un velo di zucchero che spesso addolcisce la mancanza di contenuto». I risultati? Se c’è impegno, arrivano eccome: uno studio indipendente condotto dalla New York University ha confermato che 15 ore complessive spese sul programma regalano a un principiante le stesse competenze di un corso di sei mesi in un ateneo.

«Avremo sempre bisogno di docenti e di aule. Delle nuove tecnologie di successo si dice siano “disruptive”. Distruttive. Ecco, è un termine che a me non piace. Noi non vogliamo demolire nulla. Piuttosto andiamo incontro alla necessità di chi, almeno all’inizio, non desidera frequentare un classico corso»

Sembra incredibile, non è inverosimile: «Basta rifletterci. Qualsiasi attività condotta per una decina di minuti al giorno cambia la vita. Vale per lo yoga, per lo sport». La sfida è essere costanti, non distrarsi, resistere alla tentazione di controllare le notifiche sui social o concedersi una partita a Candy Crush e fenomeni ipnotici affini: «Ma la disciplina è una risorsa scarsa e ne siamo consapevoli. Le lezioni possono essere messe in pausa e riprese dal punto in cui si è interrotti. I progressi raggiunti sono un ottimo stimolo» ragiona Witte. Così, gli utenti paganti (da 5 a 10 euro circa al mese) sono diventati più di un milione. E in media usano i servizi per oltre dodici mesi. Un atto di fedeltà: «La prova che funzionano». Grazie, anche, a una graduale introduzione dell’intelligenza artificiale: oggi, sistemi che riconoscono la nostra pronuncia e la valutano in modo accurato; presto, sono in fase di test, chat con assistenti virtuali per simulare conversazioni. Botta e risposta di bit. Fino ad arrivare, in prospettiva, a lezioni personalizzate cucite su misura addosso al livello del singolo studente. «Per accelerare un po’ il processo d’apprendimento. Anche se» è cauto Witte «non esisteranno mai scorciatoie o formule magiche».       

Babbel, infatti, non promette miracoli: leggere, ascoltare musica, vedere serie televisive e film nella lingua prescelta è un valido ausilio. Il servizio, inoltre, non vuole essere un sostituto integrale dell’insegnamento tradizionale: «Avremo sempre bisogno di docenti e di aule. Delle nuove tecnologie di successo si dice siano “disruptive”. Distruttive. Ecco, è un termine che a me non piace. Noi non vogliamo demolire nulla. Piuttosto andiamo incontro alla necessità di chi, almeno all’inizio, non desidera frequentare un classico corso». Fondamentale per perfezionarsi.

A differenza di altri concorrenti, la società berlinese ha poi deciso di puntare sulla vastità della scelta: affiancando al nostro, altri alfabeti come l’indonesiano o il russo. Non quello cinese: «A lungo» spiega Witte «si è creduto che sarebbe diventata la nuova lingua franca, uno strumento di comunicazione internazionale. Non è stato così. Imparare il cinese è una di quelle cose di cui tutti parlano ma che nessuno fa. Non c’è mercato perché apprenderlo è troppo complicato. E infatti a Pechino e Shanghai studiano l’inglese». Come in Italia d’altronde, dov’è scelto dal 52 per cento degli utenti di Babbel, seguito dal tedesco (20 per cento) e dallo spagnolo (16 per cento). Per scopi che variano per fasce d’età: i più giovani, tra i 25 e i 34 anni, per lo sviluppo personale (56 per cento), prima ancora che per la carriera; i professionisti per la comunicazione in viaggio (64 per cento) e l’allenamento mentale. Per estendere i limiti del proprio mondo, smantellare barriere tanto all’esterno quanto dentro se stessi. Continuando, cent’anni dopo, a dare ragione a Wittgenstein.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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