I nomi delle cose

Non che io lavori a ritmi folli (anzi, in questo periodo non lavoro affatto), questo no, tuttavia a un certo punto di un pomeriggio con poca o nessuna ispirazione ci sta uno spuntino. Perciò sono andato in cucina e ho …Leggi tutto

Non che io lavori a ritmi folli (anzi, in questo periodo non lavoro affatto), questo no, tuttavia a un certo punto di un pomeriggio con poca o nessuna ispirazione ci sta uno spuntino. Perciò sono andato in cucina e ho visto le arance: da lì al Portogallo il passo è stato breve. Tutti sanno infatti che in numerosi dialetti italiani, e tra questi il mio, l’arancia si chiama appunto “portogallo”; ma la cosa davvero curiosa è che tale nome – burtukali – sia prevalso anche in arabo. Eppure è attraverso gli arabi che il frutto è arrivato in Europa (ivi compreso il Portogallo; ma è probabile che il nome dell’agrume abbia a che fare con le imprese commerciali dei lusitani più che con la comunque fiorente agricoltura del luogo). Soprattutto, è attraverso l’arabo che è giunto in Europa la parola persiana narang.

Le lingue romanze, ad ogni modo, hanno mantenuto tutte il termine arabo-persiano, assorbito in tempi remotissimi – tanto da avere una versione latina: aurantia, che ha peraltro dato vita al francese orange. L’italiano, però, lingua di un popolo di commercianti (non a caso si ha il greco “portokali”), ha rischiato a lungo di capitolare al “portogallo”, parola diffusa nella maggiorparte dei dialetti regionali sia a Nord che a Sud, dal Piemonte al Salento e da Ferrara a Napoli.  Il bastione dell’arancia, anzi, ben più filologicamente, della naransa, è stato il dialetto veneziano. Venezia, infatti, ha sempre mantenuto la vecchia versione persianeggiante, che sia stato per contatto più vecchio o più diretto con l’Oriente o piuttosto per non prendere dai concorrenti lusitani neanche il nome di una merce tanto preziosa.

Il veneto ha infine battuto gli altri dialetti e dettato legge al toscano e all’italiano; non solo, per via di Venezia i serbocroati e gli ungheresi chiamano tutt’ora naranča e narancsa (cheè poi la stessa parola) l’agrume. È grazie a Venezia, perciò, che quando a Zagabria, per dire, un tale porta alla bocca quel frutto lo indica con il nome di favorito dagli elefanti: ché questo vuol dire in sanscrito nagarang’a, nome passato poi in persiano e arabo e dagli arabi dimenticato.

E così, con un breve spuntino, il pezzo è fatto. Io, a dire il vero, alla fine ho preso una meno impegnativa clementina; ma raccomando comunque a tutti i miei lettori che assumano sempre la necessaria vitamina C.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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