Giorgio Manganelli, 'Estrosità rigorose di un consulente editoriale'
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Giorgio Manganelli, 'Estrosità rigorose di un consulente editoriale'

Ti salto, ti saluto. Una raccolta di inediti dello scrittore che sapeva cantare la poesia del refuso

Intristito dai giochi di potere che si svolgono attorno all'ormai ex Salone del Libro - una battaglia che qualcuno si azzarda a chiamare culturale - mi rifugio in una solida testimonianza di sopraffina cura per i libri: Estrosità rigorose di un consulente editoriale raccoglie le centinaia di dispacci che tra il 1961 e il 1990 Giorgio Manganelli inviò agli editori presso i quali di volta in volta collaborava. Garzanti, Einaudi, Mondadori, fino ad Adelphi nell'ultima breve fase di carriera. Una messe di idee e giudizi senza ambiguità e spesso controcorrente, insolenti quanto basta ma alleggeriti da metafore sublimi come questa che usò nel 1969 per stroncare un romanzetto di Bernard Kops: "Lettura ferroviaria, da treni accelerati, novembrini".

Vergati a mano e spediti per posta ordinaria (sembra lontanissimo il mondo pre-internet, spazzato via da un meteorite), questi brani costituiscono un inedito compendio dell'opera di Manganelli, intellettuale la cui perenne modernità coincide con una sorta di misteriosa inafferrabilità. Un ossimoro in Lambretta, secondo il bel titolo del libricino in cui Patrizia Carrano racconta alcuni dettagli della sua amicizia e frequentazione con lo scrittore. Acuminato e beffardo, forte di una cultura enciclopedica ma capace di adattare il tono e i contenuti ai più disparati contesti, bulimico chiosatore e disordinato "perdicarte", nel lavoro editoriale Giorgio Manganelli fu un maestro rigoroso come una "talpa di redazione, seppur trattenuta", racconta Salvatore Silvano Nigro nella illuminante postfazione a Estrosità rigorose. Esordì tardi nella narrativa. Solo nel 1964 a 42 anni pubblicò per Feltrinelli (editore per cui non aveva mai lavorato come consulente) l'Hilarotragoedia che lo avrebbe lanciato nell'Olimpo della letteratura. Prima di allora nessuno, nemmeno il suo sodale e collega garzantiano Pietro Citati, sospettava che stava per svelarsi un grande scrittore.

Per tanti anni fu dunque quello il suo principale lavoro: preparare anonimi testi di servizio interno, senza firma. Risvolti, quarte di copertina, note critiche, pareri sulle scelte editoriali, su manoscritti italiani e stranieri ma anche consigli a traduttori, revisori e perfino opinioni nette sulla grafica, come quella volta che bocciò come "repulsivo" il vestito della serie straniera della collana Einaudi La ricerca letteraria, i cui volumetti rischiavano a suo parere di venire al mondo già vecchi, come "antichi, nobili epitaffi". Questa mole eccezionale di sapere è ora riportata alla luce nella sua formula originale, non codificata da alcun genere letterario eppure ben nota agli addetti ai lavori dell'editoria ma anche alle migliaia di ragazzi che come compito delle vacanze si ritrovano a tu per tu con un'incombenza insidiosa: la scheda libro.

Mentre nel saggio e nel romanzo lo scrittore milanese sarebbe poi stato libero di dispiegare il linguaggio in tutte le sue labirintiche declinazioni, nella scheda libro la concisione lo obbliga a concentrare la prosa sul bersaglio. Appassionatevi ragazzi e aspiranti scrittori, liberate la fantasia. Il "mirabolante fuoco d'artificio aggettivale" manganelliano, come lo definì Enzo Siciliano, fece palestra in queste schede libro. Il distillato letterario è già purissimo, abrasivo, liberatorio come una risata sospinta dall'intelletto. Dal provocatorio "Lo trovo repellente. Pubblichiamolo", al "sinistro sapore di decomposta ilarità" e ai mondi "affranti da una paranoia disonesta", fino a quei libri "che riconosco deglutibili ma per i quali non ho simpatia né reattività".

Manganelli aveva un'idea alta del mestiere. Amava con passione la pagina scritta, mettendosi al servizio del testo come un bibliomane giullare: giornalista, scrittore, recensore, redattore, consulente, traduttore, editor. I suoi giudizi senza pregiudizi, letti mezzo secolo dopo, obbligano a riflettere sull'evoluzione dell'idea di letteratura nell'epoca della sua assoluta riproducibilità tecnica. La letteratura può essere ancora fonte di libertà e fucina di idee o è solo una replicante di stilemi asserviti al commercio? Conta ancora la qualità di un'opera nelle scelte degli editori? E ancora, potrebbero esistere oggi figure come quelle di Giorgio Manganelli capaci di cooptare il mondo editoriale in una dialettica così intensa e foriera di stimoli?

Concludo con questa citazione dall'epigramma critico riportato sulla quarta di copertina di Narcissus, romanzo del "pornofonista" Sebastiano Vassalli (1968). "Il suo linguaggio miscela immagini felicemente impossibili, 'stelle pantagrueliche', grotteschi fonici, frammenti di ilari citazioni, schegge di nobili e fatiscenti edifici. Il risultato è un'euforica bisboccia verbale, sconnessa e avvampante, una sorta di furibonda, drammatica, enigmatica festa". Manganelli parlava (anche) di se stesso, chissà se lo ha fatto apposta.

Giorgio Manganelli
Estrosità rigorose di un consulente editoriale
Adelphi
332 pp., 15 euro

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Michele Lauro