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ANSA/ANGELO CARCONI - CLAUDIO PERI
Economia

Fusione Repubblica-La Stampa, due pesi e due misure

Rivoluzione nella stampa italiana. Ma nessuno si scompone, a differenza del passato. Perché il potere non piace, solo se a concentrarsi non è il proprio

Bella questa fusione. Più che bella, inevitabile. Un matrimonio d’affari che mette insieme un paio di storici quotidiani già fusi tra loro (“La Stampa e “Il Secolo XIX”) e un gruppo, “Repubblica-L’Espresso”, che di suo ha mutato pelle col cambio di direttore: da Ezio Mauro a Mario Calabresi. Però lasciatemi dire: bella o inevitabile che sia, questa fusione mi lascia l’amaro in bocca, una delusione come di miccia bagnata o mina inesplosa. Un urlo silenzioso.

Siamo di fronte all’esplosione di una bomba atomica editoriale che smonta e ricompone il panorama della stampa (e non solo) italiana, concentrando testate e aggregandole, costruendo poli che in altri tempi, sotto altri editori, avrebbero fatto gridare alla dittatura mediatica il 99 per cento dei giornalisti di quelle stesse testate che oggi si fondono. E non c’è un’anima di giornalista una volta “impegnato” che alzi un filo di protesta.

La multimedialità ora diventa valore
Trovo formidabile il comunicato del Comitato di redazione di Repubblica, storicamente punta di diamante sindacale di una testata sempre fortemente ideologica, che sostanzialmente plaude alla concentrazione di potere in poche mani. Si limita ad avvertire che vigilerà sul rispetto dell’autonomia e specificità delle singole testate ma subito aggiungendo che l’azienda ha già dato risposte positive.

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Posizione che fa il paio coi titoli apparsi da un lato su Repubblica, dall’altro su La Stampa, che esaltano i numeri della concentrazione. In prima pagina Repubblica saluta la creazione di un polo leader che avrebbe come record positivo 5,8 milioni di lettori, 2,5 milioni di utenti unici giornalieri e 750 milioni di ricavi. La Stampa, a sua volta, si compiace delle 18 testate locali del gruppo L’Espresso e delle sue 3 radio. La multimedialità diventa valore, non disvalore o addirittura pericolo come ai tempi in cui bisognava dare addosso al Biscione.

Dove sono finiti i girotondi?
Poco importa che la nascita del nuovo polo o gruppo editoriale porti sotto un unico ombrello editoriale testate dalle tradizioni molto diverse. Poco importa l’annuncio del disimpegno della FCA dal Corriere della Sera, che va nella stessa direzione. Le testate della borghesia industriale del Nord arretrano o si fondono con quelle della militante sinistra romana.

E sono soltanto un ricordo (fastidioso) i girotondi e gli incatenamenti, i bavagli e le denunce agli organismi internazionali circa la libertà di stampa e di pensiero, e il ricorso all’Onu e alle associazioni per l’indipendenza dei giornalisti. Ricordate quando l’accusa era che Berlusconi volesse mettere un piede nel Corriere della Sera? Ricordate l’allarme democratico sulla proprietà delle reti Mediaset? Sembrava, allora, che fosse a rischio la democrazia italiana. I giornalisti tremavano (fingevano di tremare?) all’idea di essere epurati o costretti a scrivere ciò che non pensavano.

Abbiamo capito ora, leggendo i comunicati dei Cdr e certi encomiastici articoli di colleghi entusiasti dell’espansione del loro gruppo, quanto valessero quelle preoccupazioni per la libertà d’espressione. Tutto ciò che oggi viene presentato come un grande successo e una storica opportunità per il paese e per l’editoria, un tempo avrebbe portato in piazza migliaia di anti-berlusconiani visceralmente indignati.

Il potere che piace e quello che non piace
A sinistra non ci sono, no, boss dell’editoria e dell’informazione! Non ci sono dittatori né Grandi Fratelli. Ci sono, invece, bravi manager e capitani d’industria, editori che meritano encomi e medaglie. Più il polo dell’editoria politicamente corretta è vasto, vende e ha lettori, più va a genio a giornalisti cresciuti nella snobistica presunzione della propria superiorità culturale e ideologica. Il potere non piace, solo quando a concentrarsi non è il proprio.

Nel fondersi, purché dalla parte “giusta”, all’improvviso non c’è nulla di male. La Stampubblica o Repubblampa non evoca alcuna demonizzazione dei “padroni dell’editoria”, introduce invece nel mondo nuovo di giornali e radio e tv che nell’uniforme pensiero unico trova la sua cifra nel prevalere del politicamente corretto. Dell’equilibrio. Il mondo è ribaltato, ma certuni si ritrovano sempre in alto. Sempre in piedi. Sempre dalla parte giusta. Sempre sulla metà illuminata della luna. E la verità soccombe sotto il peso della smemoratezza.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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