Franco Arminio, 'Cartoline dai morti 2007-2017' - La recensione
Un libro inattuale, come tutta l'opera dello scrittore irpino, capace di far dialogare i morti con quel che resta dei vivi
Per Franco Arminio la morte è una "spina piccolissima finita dentro il sangue chissà quando". La scena nascosta dell'essere, la sua compresenza gemella, il principio e l'approdo, il tutto e il nulla. Nelle sue Cartoline dai morti, prezioso libricino giunto a una seconda edizione ampliata e rivista, la morte è la fonte da cui sgorga la potenza oscura dell'atto creativo: un atto pieno di vita.
Di questo niente che sorregge ogni cosa
Non esiste mi pare un corrispettivo nel parco dei nostri generi letterari. Nemmeno fra quei poeti, filosofi, pensatori antichi che avevano un'intima consonanza con la morte, Mimnermo e Orazio ad esempio per i quali la vita umana come tutte le cose belle aveva il medesimo destino di un fiore. E nemmeno nella Spoon River di Edgar Lee Masters, coi suoi "scandalosi" epitaffi. I defunti di Arminio non hanno messaggi né una biografia da tramandare, sono i morti "rurali" che avresti potuto incontrare fino a ieri a zappare un campo o al bancone di un bar. La loro cartolina è un'impressione qualunque spedita da un aldilà qualunque.
E tuttavia - ironici malinconici o beffardi, cinici appassionati o raggelanti, commoventi, amari, poetici - le loro voci toccano le strutture affettive profonde del codice vivente. Vado in giro a tracciare l'umore dei posti e delle persone, ha detto Arminio a proposito del suo mestiere. Allora non c'è in questo libro l'ossessione per il tramontare perpetuo delle cose ma un'ipotesi di minima fratellanza, un'ontologia affettiva a federare le ferite, a ritualizzare un lutto collettivo. Vivi e morti coesistono nelle Comunità provvisorie della Casa della Paesologia, quella scienza difettosa "che consente di perdere tempo senza sentirsi fuori dalla corsa".
Le Cartoline si possono leggere tutte d'un fiato, anche perché gli spazi bianchi occupano molto più spazio delle righe stampate. Il flusso ha un andamento ipnotico che ora fulmina con la sua immediatezza ("Io passeggiavo, mangiavo poco, cercavo di non arrabbiarmi con nessuno. Non è servito a niente."), ora indugia sulle corde del quotidiano ("Ero al mare, ero appena uscito dall'acque, mi stavo asciugando. Sono caduto su un castello di sabbia"), ora intenerisce con lampi di dolcezza ("Eravamo così amici che io sono andato al suo funerale e lui è venuto al mio"), ora si allarga nelle maglie di una poesia ("io sono per le imprese enormi / per questo la morte mi tallona...") e ogni tanto costringe a trasalire: "Nessuno mi aveva spiegato niente. Ho dovuto fare tutto da solo: rimanere fermo e muto, raffreddarmi, iniziare a decompormi".
In una cosa reale, il fascino di una cosa sognata
Oppure le Cartoline si possono tenere con sé come un talismano. Da aprire ogni tanto a caso, magari quando ci si sente smorti, esausti del chiacchiericcio del mondo. A volte un pensiero vi brilla con semplicità inaudita. "Ora che sono morto io vi dico: fate attenzione quando salutate un vecchio, quando guardate un bambino, sentitevi contenti di avvitare una lampadina..." Vista dalla prospettiva della morte, di colpo la vita appare non dico portatrice di senso ma almeno di una luce: benedire una mattina di sole, accorgersi di ogni piccolo gesto, mostrare agli altri che importano per noi, che li stiamo guardando, proprio loro, adesso.
Dobbiamo tornare a metterci in contatto. Con la stessa forza il mantra di Franco Arminio risuona nei cimiteri e nei post sui social, nelle liriche e nelle lettere spedite ai ragazzi, come quella bellissima che inizia così: "Siate dolci con i deboli, feroci con i potenti / Uscite e ammirate i vostri paesaggi / prendetevi le albe, non solo il far tardi". Il miracolo della parola poetica - ricucire le lacerazioni del tempo, allargare la nostra finitezza, curare gli sbalzi emotivi o, per usare le parole dello scrittore, "togliere il colesterolo dall'anima" - non basta se non si accompagna a un segno affettuoso: tra il poeta e i lettori, tra il mondo dei morti e quello dei vivi.
Sono andato a sperimentare di persona. Le presentazioni in pubblico di Cartoline dai morti sono tutt'altro che spettrali, sono anzi momenti di coinvolgente gaiezza. Perché abbiamo sempre una meta più grande da raggiungere? Un altro posto dove andare? "Se potessi tornare indietro", dice una voce, "starei tutto il giorno a fare festa per il fatto che ci sono tante cose e io posso guardarle". Settimana scorsa lo scrittore di Bisaccia ha scaldato perfino i Frigoriferi milanesi, convincendo tre signore a leggere una cartolina nel proprio dialetto. È stato bello ascoltare lo stesso pezzo in barese, in catanese e subito dopo in milanese. Un momento di rara empatia: una piccola cura a base di diversità.
Franco Arminio
Cartoline dai morti 2007-2017
Nottetempo
172 pp., 12 euro