I dati più recenti raccontano che il grosso del carico fiscale e del finanziamento del welfare pesa sul 13 per cento dei contribuenti con redditi da 35 mila euro in su. Mentre il 48 per cento della popolazione dichiara di non guadagnare nulla. Un’efficace riforma tributaria non può ignorare questi squilibri. Ma il coraggio politico di redistribuire imposte e «doveri» non si vede.
di Alberto Brambilla (presidente Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali)
Redistribuzione della ricchezza, lotta alle disuguaglianze, riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro e «diritti» (mai che càpiti una citazione del sostantivo dovere/i); sono le frasi fatte della nostra politica in perenne clima elettorale o di cambio di governo dove, da almeno 25 anni, manca un «progetto Paese», ma si promettono soldi e bonus a tutti, per la gran parte a debito cioè a carico di quelle giovani generazioni che gli stessi partiti, ormai svuotati di qualsiasi aggettivazione, destra, sinistra, liberali, socialisti, vorrebbero proteggere.
La necessità di una riforma fiscale con particolare riguardo alla riduzione dell’Irpef è ormai diventata un tema di stretta attualità anche per il governo Draghi e la parola d’ordine sembra essere «progressività». In effetti la pressione fiscale è alta per il combinato di imposte dirette e indirette ma è anche falsata da oltre 160 deduzioni, detrazioni, bonus che azzerano le imposte ai più e accentuano la progressività a quelli che le tasse le pagano davvero. A parte ideologie e demagogie che non hanno mai portato a buoni risultati, è possibile ridurre le tasse sul lavoro e per la classe media e fino a quali redditi? È vero che siamo oppressi dalle tasse? E infine: come si coniuga una riduzione delle imposte con la nostra altissima spesa sociale e assistenziale? Insomma, se riduciamo le tasse chi pagherà il nostro generoso welfare?
Sulla base dei dati del ministero dell’Economia, elaborati dal Centro studi Itinerari Previdenziali, analizziamo i redditi relativi al 2018 (ultimo anno disponibile), dichiarati nel 2019 ed elaborati nel giugno 2020; ne esce la fotografia di un Paese diverso e meno oppresso da quello narrato dalla politica e dai media:
a) intanto, su 60,36 milioni di residenti in Italia a fine 2018, i contribuenti dichiaranti sono 41.372.851 ma i versanti, cioè quelli che pagano almeno 1 euro di Irpef, sono 31.155.444 (oltre 400 mila in meno rispetto al 2011); quindi quasi la metà degli italiani, 29,204 milioni pari al 48,38 per cento, non ha redditi e vive a carico di qualcuno: una percentuale atipica per un Paese del G7, dove per il solo gioco d’azzardo gli italiani si «giocano» 127 miliardi ogni anno di cui 110 regolari secondo l’Agenzia delle dogane e dei monopoli e almeno 20 irregolari in circa 210 mila tra ricevitorie, sale da gioco, bingo, scommesse, slot; più soldi e più locali dell’intero Servizio sanitario nazionale.
b) Dalla tabella riportata qui sotto si evince che i contribuenti delle prime due fasce di reddito (da zero o negativi fino a 7.500 e da 7.500 euro a 15 mila di reddito lordo annuo) sono 18.156.997 pari al 43,88 per cento del totale contribuenti (cui corrispondono 26,49 milioni di abitanti – rapporto tra abitanti e dichiaranti), e versano il 2,42 per cento di tutta l’Irpef pari a 4,15 miliardi di euro (meno di 32 euro a testa, 22 considerando i cittadini) e, di conseguenza, si suppone anche pochissimi contributi sociali per cui, con molte probabilità, saranno futuri anziani assistiti dalla collettività.

I dichiaranti tra i 15 mila e i 20 mila euro di reddito lordo sono 5,724 milioni, versano il 6,56 per cento dell’Irpef totale pari a 11,255 miliardi e un’imposta media di 1.966 euro, che si riduce a 1.348 euro per cittadino: un importo ancora insufficiente a coprire per intero anche il solo costo pro capite della spesa sanitaria (1.886,51 euro); questi primi tre scaglioni di reddito, che rappresentano circa il 60 per cento della popolazione, versano 15 miliardi di Irpef (l’8,98 per cento del totale) e sono quindi a quasi totale carico di altri cittadini: non sono certamente oppressi dalle tasse!
c) Considerando il gettito Irpef 2018, al netto del bonus Renzi e di tutte le agevolazioni, pari a 171,63 miliardi di euro tra Irpef ordinaria (l’89,93 per cento del totale), addizionali regionali (7,17 per cento del totale) e addizionali comunali (2,89 per cento), il grosso del carico fiscale e del finanziamento del nostro welfare state grava sul 13,07 per cento di contribuenti con redditi da 35 mila euro in su che versano circa il 58,95 per cento di tutta l’Irpef e che non beneficiano, se non marginalmente, dei bonus, sconti, agevolazione, detrazioni e deduzioni: un dato su cui riflettere quando si affronta lo spinoso tema della riforma fiscale; in dettaglio sopra i 300 mila euro di reddito lordo annuo dichiarato si trova solo lo 0,10 per cento dei contribuenti, 40.880 soggetti, che pagano il 6,05 per cento dell’imposta complessiva; lo 0,10 per cento paga più del doppio del 43,88 per per cento degli italiani! Tra 200 e 300 mila euro cento degli italiani! Tra 200 e 300 mila euro si colloca invece lo 0,14 per cento dei contribuenti che versa il 3,06 per cento di tutta I’Irpef, mentre con redditi lordi sopra i 100 mila euro c’è l’1,22 per cento, dei contribuenti, che tuttavia pagano il 19,80 per cento dell’Irpef. Sommando a questi scaglioni anche i titolari di redditi lordi da 55 mila a 100 mila euro, si ottiene che il 4,63 per cento dei contribuenti paga il 37,57 per cento dell’imposta totale e, considerando anche i redditi dai 35 mila ai 55 mila euro lordi, si arriva al famoso 13,07 per cento che paga il 58,95 0,10 dei contibuenti, 40.880 soggetti, che pagano il 6,05% dell’imposta complessiva; lo 0,10 per cento paga più del doppio del 43,88 per cento degli italiani! Tra 200 mila e 300 mila euro si colloca invece lo 0,14 per cento dei contribuenti che versa il 3,06 per cento di tutta I’Irpef, mentre con redditi lordi sopra i 100 mila euro c’è l’1,22 per cento, dei contribuenti, che tuttavia pagano il 19,80 per cento dell’Irpef. Volendo infine ricomprendere anche il 7,77 per cento dei contribuenti con redditi dai 29 ai 35 mila euro che tuttavia versano imposte non sufficienti a pagarsi tutti i servizi di cui beneficiano. In primis sanità, assistenza sociale e istruzione, si ottiene che il 20,84 per cento versa quasi il 72 per cento di tutta l’Irpef, il 21,43 per cento dei contribuenti tra 20 mila e 29 mila euro l’anno versa il 19,54 per cento, insufficiente per pagarsi tutti i servizi (3.782 euro per contribuente e 2.593 euro per cittadino), mentre il restante 58 per cento circa paga solo l’8,98 per cento.
d) Un dato interessante è la percentuale di aliquota media pagata da ogni singolo scaglione di reddito: fino a 12 mila si aggira intorno al 2 per cento; passa tra il 5 per cento e il 9 per cento per redditi da 12 a 20 mila per salire al 16 per cento fino a 29 mila; sopra i 29 mila e fino ai 40 mila si va dal 19 per cento al 21 per cento; poi si sale fino al 39-40 per cento. Se l’idea, per esempio, fosse quella di ridurre le aliquote medie per i redditi tra i 20 e i 35 mila euro di 3 punti percentuali, le entrate si ridurrebbero di circa 10 miliardi. A pagare il conto sarebbe ancora quel 13 per cento che certamente si vedrebbe ridotto il già esiguo numero di deduzioni e detrazioni (polizze sanitarie, fondi pensione, ristrutturazioni), con il rischio, paventato da alcuni partiti politici, di doversi pure pagare la sanità pubblica in quanto ricchi.
La domanda è: perché uno dovrebbe pagare le tasse per poi non ricevere alcun servizio; perché lavorare tanto, magari in proprio senza ferie e malattie, sacrificando se stessi e le famiglie se poi lo Stato si riprende oltre la metà dei redditi del lavoro, vuole aumentare l’imposta sui risparmi frutto di guadagni già tassati, aumentare le tasse di successione e dulcis in fundo, applicare anche una patrimoniale? Forse è ora di finirla di dire che i soldi si prendono dove ci sono perché questo non si chiama solidarietà, si chiama «furto».
È persino ovvio che siamo in presenza di un’evasione fiscale di massa perché non si potrebbe spiegare diversamente la capillare distribuzione di beni e servizi. Soluzioni come la Flat Tax invocata da alcuni partiti politici, come abbiamo visto dalla distribuzione delle aliquote percentuali sui redditi, sarebbe inefficiente per oltre il 70 per cento dei contribuenti; mentre per il restante circa 20 per cento, i liberali «de noantri» non prevedono ovviamente riduzioni di imposta, se no chi paga il nostro welfare?
E poi questi contribuenti sono pochi e non votano questi partiti, come nel caso dei 35.600 vecchietti che dopo una vita di contributi e tasse si sono visti «tagliare» le pensioni da M5S e Lega perché definite «d’oro» (già il termine dispregiativo aumenta l’odio sociale verso queste persone); il tutto senza alcun ricalcolo, un vero aumento della tassazione. Solo il contrasto di interessi di cui beneficerebbero oltre 25 milioni di famiglie potrebbe ridurre questa enorme evasione delle tasse e redistribuire meglio il carico fiscale; ma manca il coraggio politico di farlo.