Enrico Ruggeri: "Lassù si parlano Gaber, Faletti e Jannacci"
"Tre signori" è un omaggio ispirato ai tre artisti che ci hanno lasciato. E che si reincontrano in un non luogo. Che qualcuno potrebbe chiamare paradiso...
Non è solo una nuova canzone, il brano che Enrico Ruggeri ha presentato nella serata finale del Festival. Scritta e musicata dallo stesso Ruggeri, Tre Signori è una canzone molto bella ed intensa, un ricordo intelligente ed ispirato di Giorgio Gaber, Enzo Jannacci e Giorgio Faletti, tre personaggi apparentemente diversi, ma accomunati da una grande umanità.
"Li ho immaginati in una sorta di non luogo che qualcuno potrebbe chiamare paradiso" ci racconta Enrico. "Ho cercato di immaginare con leggerezza un universo parallelo nel quale si muovono le grandi personalità che non si trovano più nella nostra dimensione. In questo caso i tre "abitanti" non perdono le loro attitudini e la loro indole: giocano tra loro, parlano e fanno musica, strappandosi sorrisi che, in qualche modo, tornano a nutrire le nostre anime". Quindi nonostante il tema, Tre signori è tutto fuorché una canzone lugubre.
Il pezzo farà parte di un nuovo album che Enrico sta completando nel suo studio di registrazione: "Finiremo ad aprile. C'era una mezza idea di presentarla in gara al Festival, ma ero in ritardo con la realizzazione" dice. Qui di seguito, per farvi entrare nell'atmosfera della canzone una delle strofe più incisive:
"IL SECONDO SIGNORE HA LE SCARPE DA TENNIS
E IL PRIMO RIDENDO GLI DICE DI NON ARROSSIRE
IL TERZO RIMANE A SENTIRE
E SCRIVE NEL SILENZIO RISATE A SEPPELLIRE MISERIE SUBUMANE
LE DIAGNOSI DEI MALI SI FANNO SURREALI SULLA SCENA
E IL TEMA è LO SHOW...".
Sanremo, per Ruggeri, è sinonimo di ricordi e successi, come Mistero o Si può dare di più in trio con Tozzi e Morandi. Ma anche di un esordio, quello con i Decibel e un leggendario 45 giri intitolato Contessa. "Altri tempi, altre storie. Eravamo reduci da Londra, dove era appena esplosa la new wave: avevamo respirato suoni nuovi, look inediti e ci eravamo presentati qui sapendo di essere un unicum, qualcosa di totalmente diverso da quello che era apparso fino a quel momento all'Ariston. Sapevo che in qualche modo avremmo lasciato un segno del nostro passaggio. Rimanemmo spiazzati dal fatto che qui ci spettavano ragazzine con gli orsacchiotti in mano, non era quello il nostro immaginario".