Cina Presidente Xi Jinping
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Economia

Xi Jinping in Italia: quanti soldi porta

Quali sono le implicazioni politico economiche della sottoscrizione del memorandum sulla Via della Seta

Dietro al corteo di 50 macchine, all'arrivo al Quirinale con la scorta a cavallo e alla cena offerta dalla Presidenza della Repubblica a 300 ospiti non c'è tanto il desiderio di far bella figura col Presidente della seconda potenza economica mondiale, quanto piuttosto la precisa volontà politica di far capire al leader cinese Xi Jinping che la marea di soldi che intende investire in Italia è ben spesa.

Perché la firma del memorandum d'intesa italo cinese sull'apertura italiana al progettoBelt and Road Initiative - Bri - (la cosiddetta Via della seta) è la conditio sin equa non per inaugurare anche altre prospettive di investimenti economici bi-laterali tra Italia e Cina. 

Quanto costano i rapporti commerciali Italia Cina

Per capire di che giro d'affari si sta parlando è bene partire dai numeri. Solo nel 2018 i rapporti commerciali tra Italia e Cina sono stati stimati per un valore di 44 miliardi di euro di cui il 40% nella sola Lombardia per un giro d'affari da 17,6 miliardi di euroDal 2017 l’Italia è la terza meta europea per i capitali provenienti da Pechino.

Ma già tra il 2014 e il 2015 la società cinese China national chemical ha acquistato una quota maggioritaria di Pirelli con un investimento da 7,3 miliardi di euro cui vanno aggiunti i 400 milioni di euro versati da Shanghai Electric per entrare nel capitale di Ansaldo Energia, oltre ai 2,81 miliardi di euro investiti dalla società elettrca China state grid per acquisire il 35% di Cdp Reti.

Invece secondo i dati diffusi dalla Fondazione Italia Cina le imprese cinesi a partecipazione italiana sono al momento oltre 1700, con circa 150 mila addetti e un giro d’affari di 22 miliardi di euro.

A queste vanno aggiunte le 450 imprese a capitale italiano presenti a Hong Kong (8 mila addetti per un giro d'affari di oltre 2,3 miliardi di euro).

Negli ultimi 15 anni il numero è raddoppiato e dietro le parole pronunciate stamane da Xi Jinping a margine dell'incontro con il Presidente Sergio Mattarella s'intuisce l'intenzione politico economica di mantenere le porte aperte all'Italia nella terra del Dragone.

Xi Jinping: "Un incontro fruttuoso"

Il leader unico cinese ha infatti parlato di un "incontro fruttuoso" aggiungendo poi: "Cina e Italia sono partner strategici con mutuo rispetto e fiducia. Fra di noi non c'è nessun conflitto di interesse e sappiamo entrambi come rispettare le preoccupazioni della controparte".

Simbolo stesso della rinnovata apertura cinese all'export nostrano l'arrivo - dopo lunga e difficile trattativa - del primo container di arance siciliane al porto di Ningbo, nella Cina Orientale. Si tratta di circa 40 tonnellate di agrumi qualità moro e tarocco che nei prossimi giorni verranno distribuite sul mercato cinese.

Anche l'export di agrumi rientra all'interno del quadro di scambi bi-laterali tra Italia e Cina contenuti nel memorandum sulla Via della seta.

Cos'é (davvero) la Belt and Road initiative

Non si parla però certo di una manciata di arance a Pechino. La premessa, infatti, è che la Belt and Road non è un semplice progetto infrastrutturale e commerciale ma un disegno geopolitico dalla lunghissima gestazione atto a invertire l'ordine costituito e far sì che la Cina destituisca gli Usa dal tetto del mondo come prima potenza globale.

Si tratta del più colossale piano economico diplomatico di sempre che punta alla capillare penetrazione della Cina in Occidente attraverso infrastrutture, industrie, telecomunicazioni, commerci e scambi di ogni natura. Il progetto è nato nel 2013 con un primo stanziamento di 40 miliardi di dollari, cui ne sono stati aggiunti altri 100 nel 2017.

E' considerato il più grande progetto infrastrutturale e di investimenti della storia. Coinvolge al momento 68 paesi e circa il 65% della popolazione mondiale.

Il ruolo dell'Italia

L'Italia, primo Paese tra i grandi del G7 a sottoscrivere il MoU, ha una posizione molto importante nella partita a Risiko che la Cina sta giocando con il resto del mondo specialmente per quanto riguarda i suoi porti, punto d'approdo e di partenza marittima verso l'est, l'ovest e il sud del mondo. La finestra verso ovest è rappresentata dal porto di Genova dove già ora passa il 30% della merce cinese che arriva nel nostro Paese.

Ora, però, il Dragone punta a triplicare l'influenza e vorrebbe fare con i porti di Trieste e Palermo (porta verso l'Africa) quello che ha fatto nel 2016 con il Pireo di Atene di cui ha acquisito il 67% del capitale tramite la China Ocean Shipping Company (Cosco) trasformando l'approdo greco in un hub cinese nel Mediterraneo.

Dopo aver firmato un assegno da 368,5 milioni di euro e sottoscritto un piano di investimenti di 350 milioni in 10 anni il Pireo è diventato il terzo porto container del Mediterraneo con quasi 4,5 milioni di tonnellate di merci di passaggio e l'obiettivo di arrivare a 10 milioni entro i prossimi otto anni.

Ora toccherebbe all'Italia. Trieste, in primis per la sua collocazione strategica che guarda al nord Europa, ma anche Palermo.

La toccata e fuga in Sicilia di Xi Jinping nel corso della due giorni italiana avrebbe anche lo scopo di vagliare la fattibilità del progetto di far transitare presso lo scalo palermitano 16 milioni di container l'anno dando occupazione a 435.000 persone per un'operazione da 5 miliardi di euro.

A cosa serve il memorandum italo cinese

La firma dell'accordo sulla Via della Seta dovrebbe, quindi, da una parte garantire gli investimenti cinesi in Italia e dall'altro tranquillizzare gli alleati europei (per nulla contenti dell'iniziativa italiana) circa la buona volontà - per lo meno sulla carta - della Cina di rispettare standard occidentali in fatto di produzione, manodopera, rispetto dell'ambiente e sicurezza.

Secondo alcuni il documento è poco più della promessa reciproca alla collaborazione in molti campi, secondo altri potrebbe essere un primo passo per una lenta occidentalizzazione del Dragone, mentre una grande maggioranza intuisce il rischio che la piccola Italia corre nel mettersi sotto l'influenza del gigante cinese.

Gli accordi con le imprese

Contestualmente al MoU, sabato verranno firmati anche una quindicina di memorandum fra aziende italiane e cinesi tra cui Snam, Fincantieri, Sace, Danieli, Eni, Bracco e Cassa depositi e prestiti. Il numero uno di CdP, Fabrizio Palermo, sottoscriverà, tra l'altro, un accordo per l'emissione di obbligazioni in remimbi.

I cosiddetti Panda-bond verranno offerti a investitori istituzionali cinesi e serviranno a sostenere la crescita delle imprese italiane in Cina.

Gli interessi nel campionato italiano

E poi c'è la questione della Serie A. Nell'agenda del tour del presidente cinese in Italia c'è anche un incontro con i vertici del calcio italiano per studiare la possibilità che la Cina ospiti alcune partite di calcio italiane (amichevoli? Coppa Italia? Campionato?) per, da una parte promuovere il calcio italiano in Cina e dall'altro favorire la formazione di aspiranti calciatori cinesi nelle scuole calcio nostrane.

Inoltre gli operatori turistici italiani sperano che la visita del presidente Xi Jinping in Italia convinca i cinesi a scegliere il nostro paese per le prossime vacanze con particolare attenzione al meridione ancora fuori dalle rotte dei viaggiatori che arrivano dalla terra del Dragone soprattutto per assenza di infrastrutture in grado di soddisfare i gusti dei turisti cinesi (in primis l'assenza di campi da golf).

Il tutto in un quadro di ipotetico do ut des dove il bilateralismo politico commerciale della scommessa italo-cinese è nelle premesse dell'intero progetto anche se la marcata differenza in termini di potenza politica ed economica tra Italia e Cina fa pendere l'ago della bilancia in una sola direzione e per questo i timori sono tanti.

I maggiori timori

In primo luogo l'approccio spregiudicato della Cina al business rischia di scontrarsi velocemente con gli infiniti paletti europei e poi si teme che il Dragone utilizzi l'Italia (e poi il resto dell'Europa) come un grande serbatoio di crediti e che, a fronte degli investimenti in infrastrutture e opere, un giorno o l'altro la Cina chieda il conto rivendicando pezzi d'Italia a mo' di risarcimento, come già successo in Sri Lanka, oppure comprando i nostri titoli di Stato e trasformandosi in reggente delle sorti nostrane.

Inoltre se la Cina entrasse a gamba tesa in Europa con l'idea di dominare il mondo il vecchio continente con uno schiocco di dita si ritroverebbe alla periferia geopolitica della lotta di potere tra Cina e America nello scomodo ruolo di valletto di una o dell'altra potenza.




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Barbara Massaro