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(Ansa)
Economia

Torlizzi: «Il tetto al prezzo del gas non risolverà il problema»

Secondo il fondatore di T-Commodity lo sbandierato successo raccontato in Europa ha luci ma anche ombre

Price cap a 180 euro al megawattora in caso di superamento della soglia per tre giorni consecutivi se e quando la differenza di prezzo con il gnl sia superiore a 35 euro. Dopo mesi di negoziati l’accordo tra i 27 stati membri dell’UE per tenere sotto controllo il prezzo del gas è arrivato, ma secondo Gianclaudio Torlizzi, co-fondatore di T-Commodity, di positivo nella filosofia stessa sottesa all’idea di price cap c’è ben poco.

“L’aspetto positivo – spiega Torlizzi a Panorama.it - è che si spera che non se ne parli più. L’accordo politico è stato trovato ed è positivo che l’Europa sia riuscita a trovare una quadra su una materia tanto ostica come quella relativa agli energetici. Al di là, però, di quello che può essere il raggiungimento di un accordo carattere politico gli aspetti si esauriscono. Sono, infatti, davvero tante le criticità che possiamo muovere contro questo provvedimento”.

Il nodo chiave, ribadisce Torlizzi, è che si sbaglia l’obiettivo verso cui rivolgersi che non dovrebbe essere il tetto al prezzo del gas ma il razionamento dei consumi con una politica di riduzione forte dell’uso stesso delle materie prime – gas in primis.

“Il primo punto – argomenta l’esperto - si base sulla stessa critica che abbiamo più volte mosso contro tutto quello che riguarda il “cap”. La ratio ideologica dietro una manovra del genere poggia le basi sopra la convinzione che sia stata la speculazione ad alimentare il rialzo dei prezzi del gas cosa che non è affatto vera. In realtà dietro questi forti movimenti dei prezzi c’è di base un’incapacità dell’offerta di stare al passo con la domanda ed è una dinamica questa che ha coinvolto in questi ultimi 3 anni tutte le materie prime. Non esiste una specificità assoluta sul gas che ha solo seguito delle dinamiche relative alla restrizione dell’offerta comuni a tutto il settore delle materie prime. La parte energetica, però, ha un impatto maggiore in termini inflazionistici di altre materie prime”.

“C’è poi – continua - il problema dell’execution del piano perché nei fatti viene abbassato il price cap a 180 euro a MWH solo nel momento in cui il differenziale del prezzo con il Gnl (gas naturale liquido) supera i 35 euro. Quindi perché scatti il price cap deve esserci una certa congiuntura. Non si fa, poi, alcun accenno a quello che a oggi è l’unico antidoto contro il rialzo dei prezzi e cioè il razionamento dei consumi. E’ lecito attendersi quindi che il mercato nei prossimi mesi testerà questa soglia”.

“Poi c’è un secondo punto, quello relativo al fatto che il mercato europeo – con buona pace di quelli che sostengono che dietro ci sia un discorso speculativo – vive in una situazione di deficit strutturale che solamente un forte rallentamento dei consumi industriali e temperature autunnali più moderate rispetto al solito hanno allentato la morsa. Una morsa che comunque c’è ed è presente e si sentirà in maniera forte quando finirà la stagione invernale e cioè quando ad aprile inizierà la corsa allo stoccaggio invernale e l’Europa dovrà fare i conti con un ammanco di circa 60 miliardi di metri cubi di gas che non ci sono sul mercato perché l’offerta mondiale di Gnl il prossimo anno potrà aumentare appena di 20 miliardi di metri cubi quindi ci sarà il problema di trovare questo gas che manca e che non c’è; gas che verrà conteso con la Cina, Paese che è stato assente dal mercato del gas liquefatto per tutto il 2022 a causa del lockdown imposto dal governo per ragioni chiaramente politiche, ma ora con la rielezione presidenziale e con l’economia cinese che ha bisogno di tornare alla normalità per stabilizzarsi è chiaro che anche la Cina si affaccerà sul mercato del gas liquefatto il prossimo anno quindi imporre un price cap così basso rischia di dirottare i flussi di gas non in Euopa ma verso l’Asia che di price cap non parla. Questo provvedimento, quindi, sarà controproducente rispetto a quello che è l’obiettivo primario che è quello di tenere sotto controllo i prezzi”.

“Poi c’è un terzo elemento – ancora più preoccupante – che deriva dal fatto che questo tetto si applica soltanto sui future dei contratti scambiati al TTF, ma non si applica ai contratti OTC (over the counter) che sono dei contratti bilaterali che rappresentano la dorsale di interscambio delle materie prime. La maggior parte delle negoziazioni di materie prime avviene sul base OTC – non nelle borse - quindi nel momento il cui applichi un price cap sui contratti future e non sui contratti OTC il rischio è che i già esigui flussi finanziari che sono presenti nel TTF vadano via e vengano tutti dirottati in un mercato parallelo e molto più opaco che è quello OTC. Questa manovra, quindi, andrà a ridurre i flussi finanziari nel TTF e questo elemento andrà ad accrescere fortemente la volatilità perché, a dispetto di quello che dicono a Bruxelles, in realtà la volatilità la combatti con alti flussi finanziari; meno flussi finanziari hai e più bastano poche operazioni per produrre grandi oscillazioni di prezzi. Quindi il TTF che già soffre di una carenza di liquidità finanziaria con il price cap rischia di andare ulteriormente a ridurre la liquidità sul mercato a vantaggio del contratti OTC”.

E allora, se il nodo non è quello del price cap, perché oggi sembrano tutti trionfatori? E cosa cambierà (se cambierà qualcosa) per famiglie e imprese?

“L’Unione Europea aveva bisogno in maniera assoluta di fare vedere che c’era un’unità di fondo e e che prima o poi un accordo si sarebbe trovato sul tema energetico che è un grande vulnus dell’alleanza che non ha fatto assolutamente nulla di concreto per aiutare i Paesi in un momento tanto difficile tanto è vero che ogni paese va in ordine sparso; chi ha più spazio in bilancio – tipo la Germania – si permette oggi di mettere in condizioni le imprese di poter comprare gas il prossimo anno a 70 euro a MWH (quindi si va in direzione opposta a quello che si dovrebbe fare ovvero razionalizzare i consumi) gli altri si accontentano del pacchetto ‘price cap’. La realtà è che questo price cap non avrà alcun impatto per famiglie e imprese quindi anziché mettere in condizioni oggi i paesi di affrontare la crisi di offerta di gas - ma anche di petrolio e di materie prime - allentando l’austerity fiscale ci sta facendo l’opposto ovvero si persegue un’austerity monetaria e fiscale cercando di compensare la carenza di offerta con un cap imposto dall’alto perché c’è questa convinzione che sia la speculazione ad alzare i prezzi; qui siamo in una condizione di una totale mancanza di consapevolezza sul funzionamento del mercato. In pratica stiamo decretando la fine del TTF che può anche avere un senso politico. Ma il punto è che le contrattazionu devono sempre avvenire da qualche parte e il rischio è che passiamo dalla padella alla brace perché per dannerggiare il TTF andiamo a foraggiare un mercato parallelo sui cui non c’è un minimo controllo”.

Ma perché avviene questo? E’ ingenuo pensare che il problema sia solo l’ignoranza e che nessuno sappia dove mettere le mani procededo a tentoni

“Il problema – spiega Torlizzi è che manca la volontà di mettere mano alle politiche fiscali o climatiche e quindi non si agisce sugli elementi reali che determinano il prezzo dell’energia e così si è costretti a industriarsi di provvedimenti artificiali per far vedere che si fa qualcosa, ma in realtà non si stanno toccando i driver veri che determinano i prezzi delle materie prime. Non si toccano perché questo va a ledere l’impianto ideologico dell’UE perché sulle politiche climatiche l’UE ci ha costruito tutta una narrativa quasi ontologica (sembra quasi che l’UE possa sopravvivere solo se persegue dei piani climatici super ambiziosi). Il tema climatico è come fosse una propaggine delle politiche di austerity economica che è una forma dirigistica di dirottamento di liquidità verso quei settori che a monte sono stati decisi prima. Il punto chiave è che il price cap denuncia la totale mancanza di volontà di andare a riformare il funzionamento stesso dell’UE”.

“Negli USA – conclude Gianclaudio Torlizzi - dove la consapevolezza è molto più profonda è vero che si stanno alzando i tassi di interesse come da noi, ma è anche vero che il Governo ha intrapreso l’inflacion reduction act e cioè sta perseguendo delle politiche fiscali che incentivano l’aumento dell’offerta di energia e materie prime e l’Europa reagisce come il compagno di scuola cui hanno rubato la merenda dicendo ‘Maestra, guarda che l’America sta dando soldi alle sue imprese’; ma è quello che dovremmo fare anche noi e non si fa. Noi ci lamentiamo della politica fiscale americana - che è quella corretta - perché non vogliamo andare a violare gli equilibri di fondo che da 20 anni governano l’UE e che sono la causa vera della crisi energetica. Se oggi abbiamo la crisi energetica è a causa dell’austerity fiscale che ha impedito ai Paesi di poter effettuare gli investimenti in capacità produttiva che sono oggi necessari. Si delega alla BCE il compito di stroncare i consumi con una restrizione monetaria più forte di quella che sarebbe necessaria senza considerare che oggi possiamo uscire da questi colli di bottiglia solamente aumentando l’offerta in capacità produttiva. Se non si fa quel passaggio lì non si uscirà mai da questa morsa e saremo costretti a riparlare tra qualche mese di questo price cap e di quanto sia inefficace.”

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Barbara Massaro