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ANSA/FRANCO SILVI
Economia

1.500.000 italiani rischiano di perdere la casa

Sono 250 mila gli immobili finiti all'asta nel 2018; un numero in crescita legato alle difficoltà delle famiglie nel pagare il mutuo. E c'è chi ci specula

Altro che «Fascisti su Marte». Più che altro, «Locuste su Roma». La scorsa settimana, al processo per una truffa da almeno 400 mila euro subita dal proprio agente, Corrado Guzzanti ha raccontato il calvario di un debitore qualunque. Un debitore a sua insaputa. Uno che sei anni fa scopre dall’ufficiale giudiziario che il manager gli aveva soffiato i risparmi, non gli aveva versato le tasse e aveva lasciato anche un bel buco in banca. L’istituto gli ha naturalmente pignorato la casa.

«Per un lungo periodo sono andato avanti a scatolette di tonno; ho avuto difficoltà a dormire per gli incubi e gli scoppi di pianto nel sonno», ha detto l’attore al giudice. Per poi aggiungere un particolare non banale: «Questa cosa mi imbarazza molto a raccontarla, ma per fortuna, grazie alla mia compagna che mi è rimasta sempre vicina a farmi coraggio, con molta lentezza ho ripreso a vivere». Guzzanti aveva difficoltà perfino a fare la spesa, poi, nel 2014, gli sono arrivati due lavori con i quali si è «ricomprato» la casa dalla banca.

Ma per quanti italiani non finisce così? Quanti, anche senza colpa, si vedono sfilare l’appartamento in cui vivono, a prezzi di saldo e con la beffa di rimanere ancora con gran parte del proprio debito sul groppone e di essere «impacchettati» e scagliati nel girone ancora più infernale del recupero crediti? Eppure, su un fenomeno così importante e doloroso, c’è una cronica mancanza di dati.

Quello delle aste è un mondo neanche troppo «di mezzo», per dirla alla Massimo Carminati, il celebre affiliato alla banda della Magliana, dove spesso un cittadino normale ha difficoltà anche solo a fare una prima offerta, senza essere avvicinato da gente che gli fa capire che «non è cosa». Ma da qualche anno i big dell’immobiliare si sono dotati di una società che, dovendo lodare le ottime prospettive del settore «esecuzioni», ha alzato il velo su quello che spesso è solo il paradiso degli sciacalli.

La società si chiama Astasy (Gruppo Gabetti), talvolta opera con uno slogan di dubbio gusto come «Impara con noi a trasformare le aste immobiliari in una grande opportunità di guadagno!», però è interessata a uno svolgimento delle aste non solo più celere, ma anche meno opaco e costoso. Anche per il debitore.

Secondo Astasy, nel 2017 sono stati 234.340 gli immobili finiti all’asta, ovvero 27 ogni ora. E nel 2018 si è saliti a quota 245.100, per un valore di oltre 36 miliardi, con la Lombardia a fare la parte del leone (19,5 per cento), seguita dalla Sicilia (9,7), dal Veneto, dal Piemonte (8) e dal Lazio (6,9). E al 13 marzo di quest’anno, risultano già 93.288 immobili messi all’asta.

Applicando i normali coefficienti familiari, per Astasy abbiamo un totale di oltre 1.470.000 persone coinvolte e che, a causa di un mutuo non onorato, sono e restano obbligati in solido anche se inseriti solamente come garanti. Mirko Frigerio, 44 anni, a.d. di questa società di consulenza, ammette che il sistema oggi non funziona: «Anche le banche, che sono nostre clienti, vorrebbero esecuzioni più rapide e a prezzi di vendita più alti, ma la colpa è del sistema giustizia che mediamente fa passare quattro anni per vendere un bene sul quale c’è un mutuo non onorato e addirittura sei se l’immobile viene da un fallimento».

In media, se un cliente accende un mutuo da 120 mila euro e ne restituisce solo 15 mila, la sua casa verrà messa all’asta per 100 mila euro, ma la banca vedrà tornare indietro non più di 44 mila nell’arco di cinque anni. Tra banca e cliente, si mette in mezzo un nutrito drappello di professionisti dell’esecuzione, composto da avvocati, periti del Tribunale e custodi giudiziali, che secondo Astasy si porta a casa il 25,6 per cento del valore d’asta. Per Frigerio sarebbe necessaria anche «una giustizia più preparata e che magari si ricordasse, almeno ogni tanto, di informare il debitore che se non ha altre abitazioni ha diritto alle case popolari».

Lo Stato ha anche deciso, nel 2015, di risparmiare sulle perizie, che ora vengono saldate solo al momento della vendita della casa, con il risultato che il perito, pur di incassare più in fretta, è invogliato a deprezzare il valore della stima. Anche in questo caso, a danno tanto del creditore quanto del debitore. Ma le banche, pressate dalla Bce, sugli Npl - i crediti inesigibili - vanno di fretta e quindi accettano i saldi. La platea di debitori delle quale stiamo parlando, però, non è certo fatta di ricconi. Il 74 per cento degli immobili ha un valore d’asta inferiore ai 115 mila euro e solo il 16 per cento arriva a 250 mila; mentre il 10 per cento va oltre questa soglia. Significa che otto esecuzioni su dieci si concentrano su un ceto medio-basso. Anzi sul famoso «ceto medio impoverito» del quale parlano tutti i politici, ma che qui non ha volto e volto non deve avere.

In totale, secondo Astasy, oltre 1,1 milioni di italiani ha perso, o rischia di perdere, la casa dove vive. E di loro non sapremo nulla perché non sono attori famosi e perché non sempre, purtroppo, trovano il coraggio di un Sergio Bramini, l’imprenditore lombardo che era fallito perché lo Stato non lo pagava ed è diventato una (triste) celebrità con il risultato, almeno, che l’asta della sua abiazione è andata deserta, a ottobre, perché nessuno ha avuto il coraggio di speculare sulle sue sventure. William Shakespeare scriveva che «ognuno, con la morte, salda i propri debiti», ma la vita, purtroppo, è meno poetica.

In questo milione abbondante sottoposto alle cosiddette esecuzioni immobiliari, locuzione involontariamente sinistra, ci saranno anche coloro che si sono comprati macchinoni che non si potevano permettere o che sono stati beccati a non pagare le tasse. Ma ci sono anche figli che ereditano i pasticci finanziari dei genitori, coppie che senza colpa perdono il lavoro, divorzi sanguinosi, attività commerciali travolte dalla crisi, lavoratori autonomi che hanno il torto di ammalarsi. Non solo, ma sono tantissimi anche i piccoli imprenditori che non avevano contratto alcun mutuo, però avevano fatto investimenti «sfortunati» consigliati dalla banca stessa, che alla fine gli porta anche via la casa.

In Veneto, dove sono saltate due Popolari, ne sanno qualcosa. Il savonese Giovanni Pastore, settant’anni dei quali 40 passati a Milano da imprenditore, è uno dei fondatori dell’associazione Favor debitoris e alla fine è uno dei massimi esperti del ramo. Pastore ha calcolato che il creditore recupera solo il 30 per cento del dovuto, mentre il debitore che si vede sfilare una casa da 130 mila euro, mediamente rimane comunque con 50-60 mila euro da saldare. «Non solo gli portano via la casa, ma gli resta metà del debito e a volte gli immobili vengono rilevati da soggetti sui quali ha lanciato l’allarme anche la Procura nazionale Antimafia».

Mercoledì 13 marzo, la Dda di Venezia ha sequestrato alla cosca Grande Aracri di Cutro ben 146 appartamenti nel Parmense. E un centinaio di immobili, la settimana prima, erano stati requisiti anche alla nuova cupola di Palermo. Ebbene, gli inquirenti fanno notare che molto spesso queste montagne di case e capannoni sequestrati alle mafie erano state comprate «cash» in asta. Chi riesce a comprare alle aste, di solito rileva la casa a un terzo del valore di chiamata, per poi rivenderlo al 70-80 per cento del valore di mercato. Pastore riassume così la faccenda: «Il drappello dei professionisti guadagna quasi un terzo di quanto recuperano i creditori. Invece gli speculatori, solo comprando e rivendendo lo stesso appartamento, lucrano più del creditore».

Rimane incredibile, al netto della sofferenza e delle ingiustizie, che alle banche e alle loro fondazioni socie (spesso impegnate nel sociale) sfugga quanto sia suicida accettare un sistema così diseconomico e con un potenziale danno reputazionale tanto elevato. Oltre al fatto che non ci sarà mai una vera ripresa economica se oltre un milione di italiani resta stritolato in una macchina del recupero che riesce a essere contemporaneamente così spietata e inefficiente.
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