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ANSA/CIRO FUSCO
Economia

Com'è difficile riciclare la carta

Il prezzo della carta da riutilizzare è crollato. Il recupero e la raccolta vanno a rilento e molto città non riescono così a smaltirla

Ci sono pochi gesti che soddisfano la nostra (cattiva) coscienza ecologica come riciclare la carta. È facile, non ci si sporca le mani come con le scatolette di tonno che grondano olio, ogni tanto si pensa agli alberi salvati e all’Amazzonia che ci ringrazia. E ci sono tutti quei comunicati stampa trionfali dei Comuni, che annunciano percentuali di riciclo svedesi, dal 70 per cento in su.

Ma poi succede che negli ultimi mesi sempre più cittadine sono costrette ad ammettere che la raccolta della carta va a rilento, in alcuni casi si blocca, per un motivo che non è nella nostra disponibilità e si potrebbe tranquillamente registrare alla voce «globalizzazione pazza». Come il clima. Perché dopo la guerra commerciale con gli Usa di Donald Trump, la Cina ha magicamente elevato gli standard di qualità della carta riciclata che importa anche dall’Europa e ha iniziato a fare da sola. Peccato che molta carta venisse dall’Italia, che a sua volta ha un’industria che negli ultimi anni ha perso terreno e non può assorbire tutta la materia prima (tecnicamente, sarebbe materia secondaria) che ricicliamo ogni giorno con le migliori intenzioni.

Il racconto della favola virtuosa del riciclo della carta comincia a incrinarsi lo scorso autunno, come effetto di un prezzo della materia ritirata che nel giro di un anno crolla da 50 euro la tonnellata a pochi spiccioli. Molti impianti stanno in sostanza lavorando in perdita e in alcune zone d’Italia la raccolta della carta potrebbe presti diventare a rischio. Come in Brianza, area ricca e virtuosa, dove alle abitazioni si aggiungono anche parrocchie, oratori e associazioni di volontariato che si fanno in quattro per non sprecare un singolo cartone.

Eppure a fine novembre il Centro Brianza Maceri, il CBM, ha quasi alzato bandiera bianca e ha lanciato l’allarme: «Abbiamo i magazzini stracolmi di carta e non sappiamo proprio come smaltirla» hanno detto al quotidiano Il Giorno i fratelli Alessandro, Mauro e Luca Pellegatta.

Ogni anno il CBM riceve oltre 90 mila tonnellate di carta e cartone, che rappresenta quasi il totale dei conferimenti della Brianza. Ma nelle ultime settimane, non potendo rifiutare quanto arriva dai Comuni, alcuni impianti del Nord hanno iniziato a mandare indietro il materiale spedito da associazioni e parrocchie.

Certo, la crisi che cova sotto il ciclo della carta mal si concilia con quello che sindaci e amministratori locali sono sempre più ansiosi di far sapere ai cittadini, anche solo per spronarli a comportamenti più ecologici e responsabili. In tutta Italia, dalle Alpi alla Sicilia, non si contano le rassegne stampa di Comuni che annunciano incrementi a doppia cifra del riciclo, anno su anno. E i dati messi a disposizione dall’Istat lo scorso 24 ottobre sono davvero incoraggianti: ormai l’86 per cento della popolazione effettua regolarmente la separazione e il riciclo della carta. 

Se poi si sente la campana del Comieco, il Consorzio nazionale per il recupero e il riciclo degli imballaggi a base di cellulosa, torna davvero il buon umore. Nel suo rapporto sul 2018, presentato quest’estate, si legge che l’Emilia-Romagna ha raggiunto i 90 chili per abitante, seguita dal Trentino Alto Adige (83 chili) e dalla Valle d’Aosta (79,6 chili). Ormai gli italiani raccolgono in media oltre 56 chili di carta per cittadino, un paio in più del 2017 e secondo quanto ha dichiarato il Comieco a luglio, «tutto il materiale cartaceo è poi interamente riciclato dalle cartiere italiane» e «siamo di fronte a un sistema industriale, quello del riciclo della carta e del cartone, che è tra i primi del Vecchio continente ed è punto di riferimento internazionale».

Sarà che quando le cosiddette categorie produttive vanno in Parlamento tendono un po’ tutte alla lagnanza, ma durante i lavori della commissione Ambiente della Camera, che ha in piedi un’indagine conoscitiva su carta e imballaggi, il trionfalismo ha lasciato spazio alle reali preoccupazioni del settore.

Nell’audizione del 7 maggio scorso Giuliano Tarallo, presidente di Unirima (l’organizzazione delle aziende che provvedono al recupero e al riciclo e gestisce il 90 per cento del ciclo con 1,2 miliardi di fatturato e 3.500 dipendenti), innanzitutto ha spiegato che le cartiere italiane assorbono circa 4,5 milioni di tonnellate all’anno (nel 2018), ma quasi due milioni di tonnellate finiscono all’estero, in gran parte in Europa ed Estremo Oriente. E ai deputati, Tarallo aveva sottolineato con diversi mesi d’anticipo un concetto che spiega molto delle difficoltà di oggi: «Ogni volta che parliamo del ciclo della carta, del Comieco e dell’accordo con i Comuni, delle cartiere o del sistema industriale cartario italiano, dobbiamo sempre ricordarci che in realtà parliamo di un sistema che, dal punto di vista di un’economia circolare, non è autosufficiente. Noi siamo produttori di fibre in eccesso rispetto a quelle che il nostro sistema industriale riesce effettivamente a riutilizzare».

Una tonnellata su tre, dunque, va all’estero. O così dovrebbe per non imballare la macchina del riciclo in un mercato ormai saturo da oltre un anno. Il mese scorso, Unirima ha rotto gli indugi e ha lanciato l’allarme occupazionale per 5 mila lavoratori, indotto compreso. L’Italia sta producendo oltre sei milioni e mezzo di tonnellate di carta pressata, ma le cartiere italiane ne possono accogliere non più di cinque, e adesso Pechino ha alzato le barriere nell’ambito delle sue disfide commerciali con la Casa Bianca.

Da noi il prezzo del cartone da riciclare, secondo la Camera di commercio di Milano, è crollato dell’83 per cento nell’ultimo anno.

Va detto che tutto questo pessimismo non è condiviso da Assocarta (Confindustria), che rappresenta 117 cartiere per sette miliardi e mezzo di fatturato oltre 19 mila lavoratori. Innanzitutto perché il riciclo non è certo l’unica fonte di approvvigionamento di fibre e poi perché in effetti mancano alcuni impianti di trasformazione. Ma soprattutto, Unirima ha fatto notare già a fine novembre che «l’intenzione cinese di limitare le importazioni di rifiuti e di carta da riciclare, era stata annunciata ampiamente e non può essere considerata una sorpresa. Negli anni passati i commercianti di rifiuti e materiali per il riciclo sono stati “abituati” da attraenti mercati asiatici, con prezzi fissati da soggetti che, spesso, prescindevano dai meccanismi dell’economia di mercato».

Gli squilibri del mercato, e il crollo dei prezzi della carta da riciclare, in ogni caso restano. E anche in un comparto che si credeva virtuoso e conveniente per tutti possono arrivare gli effetti imprevisti di una globalizzazione decisamente disordinata. Il rischio è che la raccolta della carta diventi puro volontariato. 

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Francesco Bonazzi